ANNA CARUSO: DAL CUORE DI UNA FIABA AL DISORDINE DELLA REALTA'.

 

Onirismi che si sbucciano tra gli spigoli della contemporaneità. Sono le fiabe esplose di Anna Caruso.

Alice, il Bianconiglio, Cappuccetto Rosso, Biancaneve: solitudini smarrite nell'irrealtà di un mondo che ha perso la capacità di ‘sentire’. E se l’arte è soprattutto visione, come affermava Jean Dubuffet, le visioni metropolitane di Anna Caruso si animano di personaggi simbolici, per indagare i vuoti del nostro tempo.

Le fiabe nascono come narrazioni dal chiaro intento educativo, e ciascuna di esse puntualmente si conclude con un lieto fine: Cappuccetto Rosso esce intatta dal ventre del lupo, Cenerentola, calzando a perfezione la sua scarpina di cristallo, riesce a sposare il principe,  Biancaneve si libera definitivamente dalla sua matrigna. Insomma, il buono ha sempre la meglio sul cattivo. Perché nelle fiabe i personaggi sono nettamente divisi tra buoni e cattivi, come in una sorta di etica manicheista. Tra le pagine di Carroll, Perrault o dei Fratelli Grimm i buoni vincono o si salvano, e tutti finiscono per vivere felici e contenti.

Non è esattamente quello che accade nelle opere della Caruso, in cui la trama della fiaba viene interrotta, e la sua eroina viene strappata dal contesto narrativo per essere letteralmente teletrasportata in una dimensione che non le appartiene. È quel singhiozzo della storia, che come un sussulto sismico la spiazza, la infrange, e la disorienta.

Anna Caruso pone come principale operazione della sua azione pittorica una decontestualizzazione di evidente matrice duchampiana. Cappuccetto Rosso che vaga smarrita col suo cestino tra i cartelloni pubblicitari di una grande città, non è che un ready made: una creatura avulsa dal suo contesto originario e collocata laddove nessuno si aspetterebbe di incontrarla.

Lo sguardo immenso,  smarrito, spaventato... e le labbra dischiuse, che sembrano voler dire "C'ero, una volta...",  sono quelli dell'artista stessa, che per la regia di Antonio Lootek Fatano, ha deciso di interpretare personalmente l'eroina diosoientata che abita ogni sua non-fiaba dipinta, in un cortometraggio decisamente surreale.

" Una volta, io ero.

Non un frammento, ma l’intero. Ero il sogno, compatto, che non temeva la realtà.

Ero il cuore di una fiaba. La bambina, la principessa. L’anima. Lo specchio nascosto in ogni stagno. La voce e la visione. L’infrangibile magia di una storia senza tempo.

Percorrevo i sentieri dell’innocenza, cercando luoghi di stupore. Poi, un giorno qualunque di un anno che non c’è, cerca, cerca… cammina, cammina… inseguendo un inganno ho smarrito la strada. Pollicino senza briciole, non l’ho più ritrovata!

Tutt’intorno non era bosco e non era notte. E non era neppure la luce lontana di un tunnel aperto al di là di una tana. Era rumore, piuttosto. Era un eccesso di luci e colori. Un caleidoscopio di vetri e ridondanti  fluorescenze. Era un tempo che non abita le fiabe. Era un’altra vastità. Sconosciuta e spaesante. Una dimensione capovolta, nella quale ero piombata all’improvviso. Come catapultata da un singhiozzo della storia. Forse per errore. Forse per capire. Forse per aprire un dialogo tra questo mondo e il mio.

No, non sono venuta per portare un cestino di vivande alla nonna. E non sto sfuggendo a nessuna matrigna.

Forse sono giunta qui mentre rincorrevo un coniglio dagli occhi rosa?

Non lo so. Non ho orologi da guardare. Resto attonita a giganteggiare nella confusione di un mondo che non comprendo. E che non so abitare. Sono alta quasi quanto queste torri vitree tappezzate di volti e parole. Tutto questo colore è divertente, ma non ne capisco il senso, la ragione, la funzione. Gli abitanti di questo luogo sono così fragili! Una legione di piccolissimi soldati tutti ben vestiti, che corrono chissà dove, sempre con il fiatone. E sbuffano, fremono, si arrabbiano al telefono. Mi camminano tra le caviglie, senza accorgersi di me. Hanno fretta. Hanno rabbia. Hanno ambizioni unte di paura. E non trovano il tempo per fermarsi, non trovano il tempo per cercarsi, non trovano il tempo per ascoltarsi. Non trovano il tempo per me. Mi domando, allora, chi di noi è reale? 

Disorientata e infranta, inizio a sparpagliarmi. Mi sfoglio come fossi un’apparizione fatta di strati. Fluttuo, svetto, mi raccolgo o torreggio, nel vortice frastornante della vostra realtà.

Una volta, in un luogo lontano, in un tempo sospeso vi assicuro, io ero..."

 

(Giovanna Lacedra)

 

 

Informazioni su 'Gio Lacedra'