Basquiat

The beginning
Jean-Michelle Basquiat nasce nel 1960 a Brooklyn, da padre haitiano e madre portoricana. I suoi primi passi, nel campo dell’arte, sono disegni d’infanzia ispirati a cartoni animati e fumetti e la visita ai musei con la madre; nel 1977, con l’amico Al Diaz, inizia a scrivere sui muri versi e aforismi oscuri e sincopati di protesta o dichiarazione esistenziale, fortemente spiazzanti, firmando come SAMO (Same Old Shit), tag che verrà abbandonata l’anno successivo. La sua ispirazione è tratta dal mondo contemporaneo, di cui riprende la stratificazione, la polimatericità, la pluralità di temi e le variazioni stilistiche, e dai libri (tra questi, Anatomia di H. Gray, letto durante una convalescenza d’infanzia, I sotterranei di Kerouac, La scimmia sulla schiena di Burroughs). Per i due anni successivi, alterna l’attività di musicista a quella di artista: continua a dipingere e realizza cartoline, t-shirt, collage sui temi della violenza, del crimine, della politica, sulla questione dell’identità; nel 1979 incontra Haring e l’anno successivo espone alla mostra collettiva “Times Square Show”, è inoltre protagonista del film documentario “Downtown 81” di Glenn O’Brien (uscito solo nel 2001); nel 1981 espone insieme ad altri graffitisti (Rammelzee, Lady Pink, Phase II, Crash) alla mostra “Beyond Worlds” e l’anno successivo ad un evento simile: è l’inizio dello sfruttamento commerciale del graffitismo.
The fame
In questo periodo inizia dunque la sua fortuna nel circuito ufficiale: in particolare si interessa alle sue creazioni la gallerista Annina Nosei che ospita il suo studio nei sotterranei della galleria stessa; nel 1982 si tiene la prima personale con grande successo di critica e vendite. Questa gallerista sarà fondamentale per Basquiat, facendone un astro nascente, presentandolo a numerosi collezionisti e permettendo alle sue opere di arrivare a quotazioni molto alte.
Il biennio 1981-1982 viene indicato come il primo periodo della sua produzione di dipinti su tela: i soggetti sono in particolare scheletri, particolari anatomici e volti simili a maschere, che comunicano la sua ossessione per la morte; ma anche poliziotti, edifici, giochi di bambini, temi sociali (critica contro il consumismo, ingiustizia sociale e razzismo), immagini tratte dal mondo quotidiano, dal settore della comunicazione, riferimenti a culture tradizionali, affiancati da frasi enigmatiche con un linguaggio criptico, oscuro, simbolico, anticomunicativo ma seducente. La scrittura è molto presente nelle opere di Basquiat, che usa la parola come segno, la muta, ci gioca o semplicemente la inserisce, talvolta cancellando le parole stesse per attirare lo spettatore e spingerlo a riflettere sul senso. 
 Le fonti di Basquiat sono numerose e differenti: si ispira a Dubuffet e all’Art Brut, a Picasso, a Klee, a De Kooning, all’espressionismo americano e all’Action Painting di Pollock, mescolando il tutto nelle sue opere, prive di prospettiva, caratterizzate da frontalità, schematizzazione delle figure, grado minimo di rifinitura delle tele, presenza di “sbagli” o sgocciolamenti.
Andy
Dopo la rottura con Annina Nosei alla fine del 1982, il suo agente sarà Bruno Bishofberger, che lo presenta ad Andy Warhol (in cui Basquiat si era già imbattuto, avendo cercato, nei primi tempi della sua carriera, di vendergli una cartolina da lui realizzata, in un ristorante di Soho). Con quest’ultimo, e con Francesco Clemente, a partire dal 1984, inizia un ciclo di “Collaborations”; la Factory di Warhol sarà un luogo fondamentale di attività artistica, anche se negli ultimi tempi se ne distaccherà cercando una maggior autonomia dal re della Pop art. Inoltre in questi anni si può distinguere una sorta di “secondo periodo” nella produzione di Basquiat, costituito da opere su più pannelli, con attenzione all’aspetto materiale e coloristico della vernice (combinando acrilico e pittura ad olio o colori metallici come oro, rame e argento), con superfici dense di colore e scritte: i soggetti più indagati sono, oltre alle ingiustizie e ai soprusi subiti dalle persone di colore nel corso della storia, figure particolarmente significative della storia “black” haitiana e nordamericana, una sorta di richiamo all’identità nera (sportivi, soprattutto giocatori di baseball o boxeur, e musicisti jazz o blues, assunti come eroi). Nel 1983 viene ospitato in un’istituzione ufficiale per la prima volta: partecipa ad una mostra al Whitney Museum con Haring e altri artisti. Basquiat è sempre più amato da collezionisti e mercato, in un’ascesa fulminea ma di breve durata: in soli 8 anni riesce a creare una quantità impressionante di opere, introducendo un nuovo approccio alla figurazione e all’espressività. Nel 1985 il “New York Times” gli dedica l’articolo “New art, new money: the marketing of an american artist”, in cui si evidenzia l’importanza dei media e del marketing nel creare dei miti e si tirano le somme della sua produzione: l’articolo segna il culmine della sua importanza ma anche l’inizio della discesa, dopo anni ricchi di fama, successo incontrollato, ma anche di problemi causati dall’uso di droga, dalla paura della solitudine e di veder svanire la propria notorietà.
The end
Gli anni 1986-1988 segneranno la fase finale della carriera di Basquiat, il quale svilupperà un nuovo tipo di figurazione, espandendo le sue fonti, simboli e contenuti: in particolare si può notare come le opere siano caratterizzate da un’alternanza tra vuoto e abbondanza di segni, una sorta di horror vacui. A partire dal 1986, inoltre, sarà percepibile un minor entusiasmo per la sua opera da parte di mercato, critica e collezionismo, che non faranno altro che peggiorare la dipendenza dalla droga e la sua sregolatezza, fino a portarlo alla morte per overdose, nel 1988.
More info:
G. Mercurio, Basquiat, Art dossier n. 227, Giunti, 2006.
http://mam.paris.fr/en/node/243 sulla mostra appena conclusa a Parigi
 


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