Koji Yamamoto. Un’Altra Natura e Vecchio Pino Vivente

di Ivan Quaroni

 

 

L’arte è imitazione della natura delle cose, non della loro apparenza.
(Ananda K. Coomaraswamy)[1]

Chi si limita a conoscere senza vedere non comprende il mistero.
(Soetsu Yanagi)[2]

 

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Veduta della mostra, Lorenzelli Arte, Milano

Per il filosofo giapponese Nishida Kitarō, l’essenza della natura consiste in una sorta di percezione istantanea in grado di annullare la differenza tra soggetto e oggetto. Il grande pensatore della Scuola di Kyoto, infatti, era convinto che sperimentare significasse conoscere le cose in modo diretto, cogliendole nell’attimo immediatamente precedente la formulazione di un giudizio. “Quando si sperimenta il proprio stato conscio”, affermava, “non c’è soggetto né oggetto; il conoscere e l’oggetto della conoscenza sono la stessa identica cosa”.[3]

Mi sembra un pensiero affine a quello di Koji Yamamoto, il quale sostiene che “quando tu guardi un quadro, il quadro guarda te”. Anche in questo caso il soggetto e l’oggetto si annullano, compenetrandosi l’un l’altro.

Nel pensiero e nelle opere di Yamamoto, che pure ha studiato in Spagna ed ha frequentato (e continua a frequentare) molti paesi occidentali – dagli Stati Uniti all’Italia – si può cogliere tutta l’eredità della visione orientale. Una visione non-duale che, contrariamente a quella occidentale, fondamentalmente binaria, non esaspera le differenze, ma le compone in una nuova sintesi.

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Un’altra natura-luna-serata, inchiostro di china e acrilico su tela, 12×324 cm, 2015

Tutte le grandi tradizioni sapienziali, dall’Induismo al Buddismo, dall’Ermetismo al Sufismo, dal misticismo ebraico a quello cristiano, promuovono la ricerca all’interno dell’uomo di uno spazio di consapevolezza silente, in cui convergono tutti i concetti, le esperienze, le percezioni e le emozioni.

Si tratta di un “luogo” raggiungibile per esempio attraverso le pratiche meditative, che permettono all’individuo di sperimentare una condizione di unità tra sé e il mondo. Eppure anche l’arte, in alcuni casi, può diventare uno strumento di consapevolezza. Tanto per chi la pratica, quanto per chi la osserva. D’altra parte, l’umanità si è dedicata all’arte fin dall’alba dei tempi proprio perché essa è un linguaggio simbolico primordiale, che cerca di esprimere in immagini il significato sottile dell’esistenza. Mi pare che l’arte di Yamamoto possa essere interpretata come un tentativo di sviluppare, attraverso la pittura, la capacità di penetrare il senso stesso della natura e dell’esistenza.

La natura è, infatti, un elemento centrale nella sua ricerca. In un suo recente scritto, egli sostiene che “tra tutte le attività umane, solo l’arte si erge di fronte alla natura”.[4] Letteralmente, ciò significa che l’arte – e per estensione l’uomo – ha la capacità di misurarsi con la natura imponendosi come qualcosa di distinto da essa. L’immagine che l’artista usa per avvalorare tale intuizione è il Pettine del Vento di Eduardo Chillida, una scultura di ferro incastrata negli scogli della spiaggia di San Sebastian, nei Paesi Baschi, che fronteggia il mare come un monolitico frangiflutti.

Metaforicamente, la scultura di Chillida è un segnale che attesta l’esistenza dell’arte (e dell’individuo) nel più vasto contesto della creazione. “Da un punto di vista microscopico”, scrive tuttavia l’artista, “l’uomo è in grado di ergersi di fronte alla natura attraverso l’arte, ma da un punto di vista macroscopico, anche l’uomo, in fondo, è parte di quella stessa natura”.[5]

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Pino nero, inchiostro di china e acrilico su tela, 114×162 cm., 2016

Yamamoto intitola alcuni suoi dipinti Un’Altra Natura, alludendo, così, a quella parte dell’anima umana capace di avvertire l’aspetto essenziale (e non meramente fenomenico) della creazione. Ma, tale terminologia può chiarire anche la ragion d’essere della sua pittura astratta, che è giunta a maturazione proprio in un serrato confronto con le forme naturali. Forme di cui l’artista coglie quel particolare aspetto che il poeta del XVII secolo Bashō Matsuo chiamava “fluidità immutabile”.[6]

Per capire questo concetto, è utile considerare il lavoro svolto da Yamamoto intorno al tema del Vecchio Pino (Kagami-ita), elemento essenziale nel palcoscenico del Teatro Nō, una forma di rappresentazione drammaturgica sorta nel Giappone feudale del XIV secolo.

Il primo Vecchio pino, realizzato nel 2011 per la palestra di arti marziali Gaifukan di Kobe, mostra immediatamente un approccio divergente rispetto all’iconografia classica. Il wall painting eseguito da Yamamoto trasforma, infatti, il tradizionale stile manga del Kagami-ita in qualcosa di astratto e, tuttavia, ancora capace di trasmettere il contenuto vibrante e allusivo dell’iconografia originaria. L’opera, insomma, non rappresenta più un pino, anche se, in qualche modo, ne cattura l’essenza. Di fatto, essa è divenuta l’espressione di un’Altra natura, più intima e segreta, che giace nei quieti recessi dell’animo umano. O se vogliamo, come scriveva Ananda K. Coomaraswamy, “la manifestazione della forma invisibile che rimane nell’artista”.[7]

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Un’altra natura, inchiostro di china e acrilico su tela, 100×100 cm., 2016

Dopo il dipinto di Kobe, quello del Vecchio pino diventa un tema ricorrente nel lavoro di Yamamoto, quasi un nuovo filone d’indagine che si aggiunge a quello precedente, intitolato Un’Altra Natura, sviluppandosi nelle successive esposizioni personali da Lorenzelli Arte a Milano (2013), alla galleria Nagai di Tokyo (2015), al Noh Museum di Kanzawa (2015), all’Ashiya Schule di Kobe e presso altre sedi espositive.

I due cicli di opere, Un’Altra Natura e Vecchio Pino Vivente, si sviluppano parallelamente come aspetti di una medesima attitudine artistica, sebbene restino formalmente distinguibili tra loro. Le numerose variazioni sul tema del Pino, ad esempio, presentano elementi riconoscibili: la presenza di fasce orizzontali e digradanti di colore che ancorano il peso cromatico della composizione alla parte superiore dell’opera; il tracciato ondulato di linee di china, che registrano l’ineguale intensità del gesto e, infine, la definizione di vibranti campiture di colore, ottenute impastando tinte diverse perfino nei lavori su fondo bianco. Tutte caratteristiche che, a ben vedere, si ritrovano, variamente modulate, anche nei dipinti di Un’Altra Natura, spesso suddivisi, nelle dimensioni maggiori, in quadranti di colore simmetrici e speculari (come in Un’Altra Natura, 2014, inchiostro di china e acrilico su tela, 224×324 cm).

Quello che emerge, invece, aldilà delle sfumature che differenziano i due cicli, è l’atteggiamento di Yamamoto nei confronti dell’arte, che in più punti ricorda le posizioni espresse da Wassili Kandinsky nel celebre saggio Lo spirituale dell’arte. Ad esempio, quando afferma che “La vera opera d’arte nasce dall’artista in modo misterioso, enigmatico, mistico” e “staccandosi da lui assume una sua personalità, e diviene un soggetto indipendente con un suo respiro spirituale e una sua vita concreta.[8] In altre parole, diventa qualcosa che, come dice l’artista giapponese, si “erge di fronte alla natura”. “Non è dunque”, per tornare a Kandinsky, “un fenomeno casuale, una presenza anche spiritualmente indifferente, ma ha come ogni essere energie creative, attive”.[9]

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Un’altra natura, inchiostro di china e acrilico su tela, 112×162 cm., 2013

L’arte di Yamamoto non ha nulla di casuale e non è mai, a dispetto delle impressioni superficiali, l’espressione di un moto istintivo, ma il risultato di un lungo processo di affinazione che è soprattutto un processo di comprensione delle forze vitali e creative dell’esistenza.

Quella che lui definisce Altra Natura è, in fondo, come dice ancora il maestro russo, “un linguaggio che parla all’anima con parole proprie, di cose che per l’anima sono il pane quotidiano, e che solo così può ricevere”.[10]

Sono pochi gli artisti che hanno trovato nella propria arte uno scopo superiore e hanno trasceso il banale compito di dominare la forma con l’abilità e l’estro, adattando piuttosto la forma al contenuto. Specialmente, quando il contenuto è una cosa inafferrabile come la vita stessa. Yamamoto è uno di questi. Uno che ha evidentemente educato la propria anima fino a che questa non è diventata la sostanza e il fondamento del suo talento esteriore.


Note

[1] Ananda K. Coomaraswamy, Come interpretare un’opera d’arte, Rusconi, Milano, 1989, p. 27.
[2] Soetsu Yanagi, “Vedere e conoscere”, in Un’arte senza nome. La visione buddista della bellezza, Servitium editrice, 1997, Bergamo, p. 32.
[3] Nishida Kitarō, Zen no kenkyū (善の研究), versione italiana: Uno studio sul bene, a cura di Enrico Fongaro, Bollati Boringhieri, 2007, Torino.
[4] Koji Yamamoto, “Io sono qui”, in Un’altra natura, Edizioni Bocca, 2015, Milano, p.28.
[5] Ivi, p. 29.
[6] Ivi, p. 28.
[7] Ananda K. Coomaraswamy, “Imitazione, espressione e partecipazione”, in Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Adelphi, 1987, Milano, p. 223.
[8] Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, a cura di Elena Pontiggia, Bompiani, 1993, Milano, p. 87.
[9] Ivi, p. 87.
[10] Ivi, p. 88.


INFO:

Koji Yamamoto - Un'Altra Natura e Vecchio Pino Vivente
Dal 9 settembre 2016 al 15 ottobre 2016Lorenzelli Arte, Milano
2, corso buenos aires 
I-20124 milano, italia, IT
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