Spendo due parole su una saga a fumetti che sto seguendo da qualche mese e che si rivela, albo dopo albo, ottima.
Facciamo prima le dovute presentazioni, prendendo in prestito la sinossi pubblicata dall’editore italiano di Manifest Destiny, vale a dire Saldapress:
MANIFEST DESTINY racconta la storia del Capitano Meriwether Lewis, del Sottotenente William Clarke e della spedizione che organizzarono nel 1804 per esplorare la misteriosa frontiera occidentale americana. Due personaggi storici, dunque.
Tutto vero, allora? Solo in parte, perché Chris Dingess – creatore e scrittore delle storie – e Matthew Roberts – talentuosissimo disegnatore – danno vita a un viaggio in cui l’immaginazione ha il posto d’onore. Ad attendere i membri della spedizione non ci saranno solo nativi americani, alberi maestosi, spazi sterminati e animali selvaggi. Lewis & Clark e il loro equipaggio dovranno invece fare i conti con mostri e strane creature, costantemente in agguato, sin da ‘Flora e Fauna’, arco narrativo ianugurale della serie.
Il “destino manifesto”, cioè il compito assegnato dalla Storia ai nuovi coloni di imporre una nuova civiltà, migliore delle precedenti, si tramuterà in un incubo e in un’impresa molto peggiore del previsto.
Se dovessi definire questa saga con dei punti di riferimento “codificati”, direi che appartiene a tre generi: il fantasy storico, l’horror e il planetary romance.
Quest’ultima classificazione può apparire bizzarra, visto che Manifest Destiny si svolge sul nostro pianeta, ma in realtà è una definizione che calza a puntino, visto che la spedizione del capitano Lewis e del sottotenente Clark esplora territori vergini (la frontiera ovest del continente nord-americano), che gli autori di questo fumetto hanno saturato di misteri, di creature bizzarre, aliene e letali e di popolazioni strane.
Planetary romance, appunto.
Manifest Destiny è un inno moderno alla letteratura del fantastico e a quella avventurosa.
Dico “moderno”, perché il taglio narrativo è tale: dinamico, colorato, con personaggi che parlano un linguaggio non arcaico, bensì comprensibile anche ai lettori meno avvezzi a un certo tipo di storie.
Al contempo mantiene un certo rigore storico, almeno di contorno. Dentro questo contorno gli autori ci infilano tutto ciò che arricchisce la loro storia: piante carnivore, api assassine che depongono le uova negli esseri umani, minotauri, giganteschi anfibi mangiapersone, manufatti arcaici provenienti da altri mondi, epidemie di zombie e chi più ne ha più ne metta.
Oltre a questo tripudio del fantastico, il punto di forza del fumetto è senz’altro la capacità di portarci, insieme ai suoi protagonisti, in un viaggio senza punti di riferimento, dispersi in un territorio inesplorato, spaventoso e meraviglioso, dove ogni pianta, ogni torrente, ogni villaggio indiano può nascondere tesori o insidie.
Manifest Destiny conta finora tre volumi, disponibili anche in italiano:
Il fumetto esce anche in formato da edicola ma io, per indole, ho preferito recuperare i volumi più grandi, da libreria.
Soldi spesi benissimo, come avrete intuito dalle mie parole.
Cenni storici sulle origini della vera spedizione Lewis & Clark
Poche settimane dopo l’acquisizione della Louisiana Thomas Jefferson, uno dei principali esponenti dell’espansione, stanziò 2.500 dollari per “mandare ufficiali informati con 10 o 12 uomini ad esplorare fino alla costa ovest” . Essi avrebbero dovuto studiare le tribù indiane, la botanica, la geologia e le specie selvagge della zona nonché valutare la potenziale interferenza dei cacciatori di pelli e commercianti, sia inglesi che franco-canadesi, già stabilitisi nell’area. La spedizione non fu la prima ad attraversare il nord America ma avvenne un decennio dopo Alexander Mackenzie, il primo europeo a raggiungere la costa pacifica passando a nord del Messico.
Jefferson selezionò Lewis per condurre il gruppo, in seguito noto con il nome di “Corps of Discovery” (Corpo di Esplorazione); Lewis scelse come suo compagno Willam Clark, il quale per ritardi burocratici dell’esercito fu nominato solo secondo luogotenente anche se Lewis continuò a rivolgersi a Clark con l’appellativo di “capitano”. (Volgarmente preso da Wikipedia Italia)
(Articolo di Alex Girola – Seguimi su Twitter)
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