Non c’è bisogno di spendere molte parole per presentare Black Mirror, probabilmente il miglior serial di fantascienza distopica di sempre. Salvo un paio di episodi un po’ loffi, il livello generale è da anni sempre molto alto.
La prima stagione è, come spesso capita, la migliore: un gioiello senza imperfezioni. Inquietante. Realistica. Futurista. Con tanti saluti a chi ancora pensa che la fantascienza sia un genere oramai incapace di anticipare il futuro.
Che poi il nostro futuro – quantomeno quello preso in considerazione di Black Mirror – è qui dietro l’uscio. Non parliamo di viaggi spaziali o di guerre stellari, bensì dell’evoluzione/involuzione della nostra società. Basta affacciarsi su un Facebook per percepirla, ma il fatto di raccontarla tramite un telefilm la rende più brutalmente chiara.
C’è un episodio in particolare, rivisto di recente, su cui spendo tardivamente qualche parola: 15 milioni di celebrità.
In un futuro non troppo lontano buona parte della popolazione di un imprecisato paese anglofono (USA, UK, non fa differenza) è impegnata in attività ripetitive, che hanno a che fare col mondo dell’intrattenimento. Giovani (e meno giovani) di ambo i sessi trascorrono le giornate a pedale su cyclette ipertecnologiche, per accumulare crediti (come in un videogioco) con cui acquistare l’accesso a trasmissioni televisive esclusive, a musica, videogame etc etc.
Il “bene” più prezioso in vendita è un biglietto per esibirsi a un talent show globale, dove tre giudici – sulla fattispecie dei vari X-Factor, Amici, The Voice etc – decideranno se i concorrenti hanno il talento necessario per essere scritturati in vari tipi di prodotti di entartainment, dal mercato musicale a quello della pornografia.
Il protagonista di questo mediometraggio è Bing, un ragazzo di calore che, dopo aver visto la sua amica (di cui è innamorato) diventare una stella dell’eros, decide di arrivare a sua volta a esibirsi nel talent, solo per lanciare un duro atto d’accusa al sistema, minacciando di suicidarsi in diretta.
Vi accomodate a quel tavolo, guardate verso questo palco e noi ci mettiamo subito a ballare, a cantare, come dei pagliacci. Per voi non siamo delle persone, voi non ci vedete come degli uomini quando siamo qui ma della merce. E più siamo falsi e più vi piace perchè è la falsità l’unico valore ormai, l’unica cosa che riusiciamo a digerire..Anzi no! Non l’unica, il dolore e la violenza: accettiamo anche quelli.
Attacchiamo un ciccione ad un palo e iniziamo a deriderlo perchè crediamo sia giusto. Noi siamo quelli ancora in sella e lui è quello che non ce l’ha fatta “ahah che scemo!” Siamo talmente immersi nella nostra disperazione che non ci accorgiamo più di nulla. Passiamo la nostra vita a comprare cazzate. Tutto quello che facciamo, i nostri discorsi, sono pieni di cazzate. “Insomma sapete qual è il mio sogno? Il mio sogno più grande è comprare un cappello per il mio avatar”: una cosa che neanche esiste! Desideriamo stronzate che neanche esistono!
Questo è un estratto finale del discorso di Bing in diretta, davanti ai tre giudici del talent.
Un atto di ribellione coraggioso che però [=====> segue spoiler) non è destinato affatto a destabilizzare il sistema, bensì a diventare parte di esso.
Che è poi un po’ la filosofia dei tanti, finti “gesti che hanno commosso il Web” che ogni giorno vediamo girare su Facebook, YouTube, Twitter, ma che nove volte su dieci nascondono delle sottili strategie di marketing per attirare clickbait, per accumulare followers e condivisioni.
E che dire del discorso relativo all’acquisto di “cose che neanche esistono”?
In questo periodo ho studiato il fenomeno dell’acquisto di like sui social, e di followers su Twitter (e su altri social media). Si tratta di attività che spostano migliaia di euro ogni giorno, nella continua ricerca di visibilità, nella costruzione di profili “appetibili” perché dotati di migliaia di seguaci fittizi.
Una grosse bolla speculativa che non genera beni materiali, ma nemmeno contenuti, ma che per il momento muove cifre impressionanti.
È qualcosa che inquieta.
Pensateci: quante persone spendono i loro soldi rincorrendo una fama basata sul nulla? Quanta parte della loro vita viene consumata nello sperpero virtuale?
Il mio non è un discorso luddista – categoria contro cui mi sono sempre scagliato. Si tratta di un mero ragionamento di logica: più disimpareremo a produrre beni reali, informazione e cultura, dando la precedenza alla semplice apparenza, più la nostra società involverà, dando potere ai furbi. Ovvero a quelli che riescono a monetizzare l’apparenza.
Cioè il nulla.
Articolo di Alex Girola: https://twitter.com/AlexGirola
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