Tutte le vostre solitudini

taxi driver

Se dovessimo fare un gioco e scegliere una citazione – una soltanto – che ci definisca, io non avrei dubbi. La mia sarebbe questa:

La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo.

È tratta da Taxi Driver, uno dei miei film preferiti.
Travis Bickle (Rober De Niro) la interpretava in senso assolutamente negativo e malinconico. Per quel che riguarda non è necessariamente così. Trovo che la solitudine, purché non sia perpetrata come atto continuo e imposto da fattori esterni, sia una stato dell’anima ritemprate e gradevole.
Avete presente il vecchio detto: “Meglio soli che male accompagnati”? Ecco: si tratta di una grande perla di saggezza.

Non sono mai stato un individuo particolarmente socievole.
Anzi, mi correggo: sono un gran compagnone, ma solo con chi apprezzo davvero.
Col tempo, anno dopo anno, ho allontanato dalle mie abitudini la pratica di “fare serata” tanto per non rimanere a casa. Ora, a quarant’anni compiuti, posso serenamente annunciare di aver rinunciato del tutto a qualunque occasione sociale a me sgradita.
Non esco con persone che non sopporto “tanto per bersi una birra”.
Evito gruppi e gruppetti le cui discussioni sono del tutto avulse ai miei interessi. Se – per esempio – la prospettiva è quella di una cena tra “amici” (parola abusatissima) che discuteranno tutta sera di mutui, di colleghi con cui non vanno d’accordo e di quanto sono pucciosi i loro figli, ecco, io evito in partenza. Non ci vado e son sereno con me stesso.
Del resto le cose da fare non mi mancano mai, dalla scrittura al blogging, dalla lettura ai piacevoli momenti di gioco coi miei cani.

Ovviamente da giovane le cose erano più complicati. C’era la necessità di esserci, per non rimanere tagliati fuori. E poi avevo – come tutti – meno impegni.
Col tempo si matura e si diventa gelosi dei propri spazi – e della propria solitudine.
Non è per tutti così, purtroppo.

Facebook è un continuo traffico di status in cui la gente esprime il proprio odio per l’umanità, per le compagnie che frequenta, per gli amici che sono tali solo di nome, per gruppi di aggregazione che danno più delusioni che soddisfazioni.
A questo punto mi chiedo perché continuino a farsi del male. Cambiare abitudini non è così difficile. Trovare occupazioni più interessanti e più ricche di soddisfazioni è un gioco da ragazzi, in un’epoca in cui con uno smartphone da 99 euro potete accedere a qualunque cosa e informarvi su TUTTO.
Inoltre reputo indispensabile imparare a stare bene con se stessi, ovvero nella propria solitudine.
Che non vuol dire non avere una compagna, imbruttirsi e isolarsi dal mondo.
Vuol dire selezionare. Vuol dire conoscere le proprie esigenze.
E, di nuovo, non è una cosa così difficile, credetemi.

Non a caso ciò che fa paura di questa modernità non è l’individuo, ma la collettività. Basta vedere come e quanto le persone tendono ad aggregarsi attorno a ruffiani, demagoghi, finti guru e predicatori. La folla fa sentire meno soli, ma spesso imbruttisce. Trasforma le persone in pecore, le fa diventare parte di un gregge.
Avete mai visto qualcosa di più spaventoso di uno di quei balli di gruppo che fanno in palestra?
Io no.
A me questo fa terrore, non la prospettiva di saltare le birrate con dei tizi che conosco a malapena e che magari mi stanno sul culo.

Chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa esser solo in mezzo alla folla affaccendata. (Charles Baudelaire)

la 25 ora


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