Intervista a...Aron Demetz

aron demetz

 

Considerata il livello più alto dell'estetica classica, l'arte di maggior pregio, fin dall'antichità denominata l'arte del levare, e pertanto, motivo di maggior considerazione rispetto alla pittura, la scultura, è di certo ciò che oggi unisce maggiormente Aron Demetz al suo lavoro.

Nei suoi lavori si scorge il tentativo di giungere a cogliere qualcosa che si trova al di là del corpo ancora informe dell'opera, e ci si può confrontare con la bellezza drammatica dell'esistenza stessa.

I suoi lavori aprono profondi dibattiti interrogativi esistenziali che possono riguardare punti fondamentali del nostro vivere e del nostro io, rimanendo sempre sospesi nell'umore indefinito e silenzioso di ciò che poi in realtà non viene detto per volere. Di certo, però, le vere risposte tocca darle al fruitore stesso, e a chi ammirando le sue figure, pone domande a cui tutti cerchiamo di rispondere.

La sperimentazione dei materiali e dell'uso che può farne, accompagna di continuo il lavoro dell'artista. Nel materiale sembra essere ricercata la sua profonda sostanza emozionale, la fibra più intima del legno, la solidità del bronzo, quasi a volerla tirar fuori a tutti i costi per mostrarla a chi la osserva. In questo senso, il materiale diviene elemento essenziale del lavoro dell'artista.

Un filo conduttore pare unire le varie opere fra di loro, e anche i vari momenti della sua produzione. La sua, pare una ricerca verso un' armonia che si vorrebbe avere ma che l'uomo moderno non trova. L'artista ci mette in relazione con le angoscie fondamentali dell'esistenza, con l'alfa e l'omega, con lo yin e yang della nostra vicenda umana, il trauma della vita e la paura di ciò che un giorno non ci sarà più. Una ricerca di un'armonia che c'è ma non si vede, tanto lontana da occhi indiscreti da esserlo spesso anche a noi stessi.

 

 

1) Dal cane distrutto da un tuo professore, sei passato alle foglie di argento, alla resina, alla bruciatura e al bronzo, dove credi possano arrivare ancora le tue opere?

 

Non lo so, per me é importante che possa evolversi come ha fatto fino ad ora e come mi muoveró io e come si muoverà la mia arte. Tutto questo, sperando che ci siano ancora tanti cani da distruggere”.

 

2) L'ultima tua mostra, Il Radicante, a cura di Davide W. Pairone, ha messo in luce per l'ennesima volta i tuoi diversi animi, quale senti più tuo?

 

Nessuno. Ogni lavoro é stato importante nel momento in cui è stato scolpito, e l'uno non sarebbe potuto nascere senza l'altro. Nelle mie opere è tutto un continuo cambiamento e una continua ricerca.

Nella mostra del mattatoio ci sono le opere più rappresentative degli ultimi 5-6 anni, nelle quali riesco a rispecchiarmi realmente a fondo”.

 

3) La tua profonda attenzione alla figura umana pone l'uomo al centro di molte riflessioni, caricandolo di simbologie ma allo stesso tempo di fisicità...

 

Credo che l'una abbia a che fare con l'altra, e nell'arte, puó funzionare solo se si riesce a mettere abbastanza di entrambe le cose nel proprio lavoro. Non é soltanto fisicitá, nè tantomeno solo simbologia, ma credo si possa ancora usare il corpo per suscitare curiositá e comunicazione in ogni singolo uomo”.

 

4) Quale artista contemporaneo ammiri da lontano?

 

Il bizzarro teatro umano”.

 

5) Ammirato e stimato da gran parte del mondo dell'arte, che consigli daresti ai giovani artisti che si affacciano ora a questo mondo cosi complicato?

 

Questo mondo non é complicato, semmai, siamo noi a complicarlo con cose che spesso non hanno realmente a che fare con l'arte. Certo, esiste un sistema, ma alla base c'è un credere ed un fare, ed é tutto qui.

Non mi permetto di dare consigli ai giovani; i giovani hanno idee e vanno per la loro strada”.

 

6) I tuoi progetti per il futuro?

 

In cantiere per settembre c'è un bel progetto che si intitolerà “la credenza dei ricordi”, presso il Cafè Florian di Venezia”.

 

                                                                                                                                                                                                                                      Martina Adamuccio

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