Joshepine Sassu: il provincialismo unisce l’isola all’Italia.
Nata a Emsdetten1970 in Germania, vive e lavora a Banari (SS).
Da sempre lavora con molteplici materiali e tecniche tenendo come punto fermo il senso del suo fare. La madre da bambina la chiamava “Mezza Faccenda”, da grande assomiglia a Penelope.
Partiamo dalla tua condizione di donna prima che di artista, ti faccio una domanda che da sempre mi pongo:
il linguaggio di un artista, la sua sensibilità, la sua ricerca di senso, può essere maschile o femminile?
Un linguaggio artistico può avere una connotazione sessuale?
Fino a qualche tempo fa ero convinta che la fisiologia fosse qualcosa di potenzialmente estraneo ai processi culturali; che il genere di appartenenza e l’orientamento sessuale di un artista non dovesse necessariamente emergere o essere “pilota” della produzione.
Ho sempre detestato vedere che, soprattutto, se non unicamente, l’opera di un artista donna venisse licenziata nella lettura critica, come un tipico prodotto femminile, cosa peraltro mai vista per l’opera di un artista maschio.
Oggi, con l’avanzare dell’età- dato che le convinzioni inossidabili sono quasi sempre dei giovani e vacillano con l’arrivo delle prime rughe – sono più libera anche da questi miei assunti teorici: non mi soffermo troppo a pensare se la mia sensibilità artistica sia dovuta al mio essere donna, ma allo stesso modo non me ne disfo facilmente; certo vorrei solo che alla fine il mio lavoro avesse un senso, profondo e alto, se questo poi sia dovuto anche ai miei ormoni, poco mi importa, in fondo vivono anche loro con me!
Il tuo linguaggio artistico è fortemente radicato nell’isola che abiti e sembra riprodurne l’ambiente, lo spazio e gli istinti; anche in maniera prossemica, metaforica e allegorica; si tratta di una ricerca e di una narrazione fortemente identitaria nella quale forse errando, leggo una costante e poetica melanconia, trasmessa con incredibile leggerezza, quanto è isolana la condizione del malessere vissuto con poesia e leggerezza?
Te lo chiedo perché io vengo da una terra dove il malessere lo si teatralizza e drammatizza con la finalità di trarne profitto sociale e personale…
Io sono sarda solo da parte di padre, mia madre era umbra e il mio ramo materno rimane nella penisola; il mio vivere in Sardegna, però, certamente, mi condiziona di più delle mie radici Etrusche o Picene.
L’isola isola, concilia la concentrazione su se stessi e un po’ imprigiona, non sono certa che la mia ricerca abbia delle componenti identitarie, certamente non nel senso politico del termine.
Quasi come il discorso di prima, sulla appartenenza di genere, sono sarda, sono una donna, è così ma è anche tante altre cose, ma il vivere in un’isola, partecipare alla sua vita culturale- o almeno cercare di farlo- ti dà la possibilità di avere più vicino- anche fisicamente, incorniciata da un’isola dalla quale non si vedono che altre isole- i prodotti del luogo, quasi un obbligo ad una speculazione culturale a chilometro zero, causa limiti invalicabili.
Quindi io, stando prevalentemente nell’isola, sono più vicina a ciò che l’isola ha prodotto e forse ne incarno ed esprimo una parte, comunque, giusto per sdrammatizzare, è da un bel po’ che spero di essere rapita dagli alieni e di varcare i confini del sistema solare. Ancora non si è presentato nessuno, spero non sia perché mi pensano troppo malinconica!
Molto diffuso nell’isola è un certo provincialismo legato ai linguaggi dell’arte contemporanea, talvolta determinato dagli stessi artisti che la abitano; piuttosto che sviluppare una dialettica tra linguaggi, identità, ricerche e anime dell’isola e interrogarsi poeticamente e politicamente sulla propria specificità; sembra si preferisca confrontarsi con l’altrove, che spesso è omologazione e spot turistico; quando chiedo a un ragazzino sardo cosa per lui sia arte, mi parla di nuraghe, spiagge e paesaggi, quasi come se non riuscisse a vedere gli artisti o artigiani che abitano la sua comunità, tu con coraggio hai scelto di restare e di lavorare nell’isola, per cui ti chiedo: quale è il reale stato dei linguaggi dell’arte contemporanea nell’isola?
Qual’è il rapporto reale tra l’isola in quanto comunità e gli artisti che la abitano?
Il problema culturale nell’isola è lo stesso che nell’ Italia fisica, ma, come dicevo prima, rafforzato, evidenziato ed esasperato dalla condizione isolana.
Il livello di partecipazione culturale è poi fortemente condizionato dalla situazione economica dell’isola che è ormai tragico; chiaramente la risposta del ragazzino, ma anche dell’adulto mediamente scolarizzato, su cosa sia arte è rivolta a quegli aspetti più folcloristici, forse anche perché la cultura dell’arte non è poi così curata neppure nel resto d’Italia, ma poi, mi domando sempre se ad un ragazzino ligure, emiliano, lucano, si pensi di fare la stessa domanda.
L’Isola forse condiziona anche gli interlocutori non autoctoni.
Non so a che punto sia lo stato dell’arte nell’isola, io lavoro da venti anni, non sono ancora riuscita a fermarmi, cosa che sarebbe sicuramente saggio fare, certo qui ci sono sia cose di qualità che cose molto provinciali, al limite del baronale direi, come ovunque forse in Italia, ma qui sono meno diluite, più lente, quindi facilmente imputabili come il ladro di marmellata colto sul fatto.
Il provincialismo è forse quello che più ci unisce al resto d’Italia, che rifugge la cultura contemporanea, quando iniziai ad occuparmi d’arte, dopo gli studi, pensavo che lo stare nell’isola fosse una scelta che mi avrebbe permesso di salvaguardare maggiormente il mio lavoro, di non scendere a compromessi; una sorta di decrescita felice, meno mondo dell’arte più arte, ero persino convinta che la qualità pagasse, la che la società potesse crescere felice, oggi ne sono meno convinta, forse stremata dalla economica quanto quella di mezza età.
Certo in questi ultimi anni ho raccolto molti consensi, mi capita di incontrare persone che conoscono e apprezzano il mio lavoro, anche fuori dal mondo dell’arte, vero è che anche quando si lavora in ambiti professionali, capita di essere trattati come delle comparse come se il lavoro fosse un hobby, sempre ricompensati con delle belle pacche sulle spalle.
Hai aperto delle questioni che mi toccano nel profondo, che hanno a che fare con la comprensione non solo di quello che ho fatto sin ora, ma anche di cosa posso fare da ora in poi, che è sempre una scelta estrema, condizionata dall’Isola che mi ha dato modo di essere ciò che sono, ma mi obbliga a pensare di dover lasciare tutto e ricominciare. Non è solo una questione sarda, è una questione Italiana, ma comunque sia l’Isola è un evidenziatore che ti rende più sardo che Italiano ed Europeo, i sardi sono più sardi di quanto i laziali o i piemontesi siano tali….