Riccardo Leschio: basta con gli artisti che obbediscono a un copione.

Riccardo, io ti ho conosciuto come giovanissimo artista, quando qualche anno fa, tramite i social network, lanciasti in rete con altri artisti il progetto virale “Stay on fango”, che cosa era di preciso? Mi piacerebbe metterlo a fuoco in tutta la sua trasversalità dal momento che questa piattaforma si occupa della circolarità dei linguaggi dell’arte…

Stay on fango è stato un’idea, un progetto senza contorni ne definizione, che aveva sicuramente un impronta virale.

L’idea era di creare un fantoccio mediatico, e allo stesso tempo una leggenda underground, lasciando che l’Arte potesse emergere attraverso questo personaggio di fantasia eppure così reale.

Il prodotto artistico, la sua opera, doveva svilupparsi tanto su supporti, quanto nella vita quotidiana, con l’intento di creare una sorta di interferenza culturale, un corto circuito dell’attenzione assopita e automatizzata.

Il cuore di stay affonda le radici nel disagio della società dei consumi, della civiltà degli status e delle regole morali, mirando a mettere in luce quanto di più squallido e degradante si manifesta nella natura umana, (non coscienza) e provando a farci protagonisti di questo deja vu dell esistenza.

Come banali comparse che in un film si ribellano agli ordini di un regista mai conosciuto, e cominciano a creare elementi di disordine casuali e fuori controllo all’interno di una scena che per esigenze del tutto individuali, li vorrebbe asserviti e obbedienti a un copione.

Ecco eravamo qui per dire che il copione non ci rappresenta, e non ci ha mai rappresentato.

Indossavamo la maschera per farci identificare, i costumi per metterci a nudo, usavamo la bugia per dire la verità, il brutto per vedere il bello, e continuavamo a promuovere il lercio per manifestare l’esigenza di pulizia, rinnovamento, stay on fango non è mai stato nessuno, ma ancora è una sorta di Kaiser Soze, o in un linguaggio più Panico!

Un clown che gioca al ruolo di imbroglione sacro.

 

Nella pratica tu hai una anima collettiva (Stay on Fango) e una altra individuale dove attraverso l’improvvisazione sondi le tue diverse protesi, il passaggio da un linguaggio artistico ad un altro, che ne so dalla pittura alla musica in quattro quarti, questo influenza la tua poetica o conservi una stessa matrice poetica?

Quale?

Sicuramente conservo una matrice, un filo conduttore.

In qualche modo è sempre il tema del risveglio individuale e collettivo, e l’acquisizione di potere autogenerato, mi riferisco alla possibilità del singolo, di staccarsi di dosso quella patina di noiosa obbedienza asservita, l’inerzia del quotidiano e entrare coscientemente nel momento presente, dove non esiste nulla e tutto è in Potenza.

Rivoluzione, capovolgimento, restano le parole chiave.

In questo senso mi sono reso conto che non può esserci rivoluzione collettiva se prima non c’è una rivolta individuale, nel proprio interno.

Quello che faccio ora è dedicarmi a disegno, poesia, rap e una disciplina del corpo che si chiama parkour, e contiene in sé gli opposti della disciplina; follia, creatività quasi anarchica.

Provare a capire e rompere gli schemi, questa è se vogliamo la comune matrice, che ancora pulsa e opera silenziosamente in attesa di maturazione.

 

Qualche anno fa, all’Exmà di Cagliari, ho avuto il piacere di presentare una tua/vostra performance (tra l’altro eri anche presente come pittore per la rassegna “Imperfetto futuro” di Wanda Nazzari), la performance mirava a fare riflettere su come il sistema dell’arte, anche nell’isola sia un circolo vizioso, giovani artisti imitano Cattelan perché ne sognano il successo di mercato e Cattelan saccheggia e imita nuovi artisti per rinnovarsi, nella pratica questo porta alla stasi del linguaggio.

Tu come rinnovi il tuo linguaggio artistico?

Si eravamo presenti a (imperfetto futuro) come collettivo improvvisato, ma collettivo, e io ero presente come singolo.

Come rinnovo i miei linguaggi?

Non c’è nell’ultimo periodo una ricerca attiva di nuovi linguaggi, quanto una tensione generale al rinnovamento.

Gli sforzi mentali possono portare buoni frutti entro certi limiti, perciò a periodi lascio semplicemente che sia l’intuizione o l’assenza di ispirazione a determinare forme e contenuti di ciò che faccio.

Nella disciplina performativa di cui parlavo prima, il parkour, si usa il corpo per imparare a muoversi oltre i percorsi già battuti, e improvvisando e collaudando nuovi movimenti.

Ovviamente rispetto a un brano audio o un dipinto, ha un’esistenza più effimera nella sua manifestazione, ma anche per questo forse ha un potere piu immediato e un effetto più radicale, sia in chi lo pratica sia in coloro che osservano, passando per strada, le movenze animalesche o imprevedibili, di individui che decidono di usare il proprio corpo per fare qualcosa di diverso dal ‘già noto’.

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Mimmo Di Caterino

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