Roxy in the box: Questo è il tempo dello stordimento dell'iconografia.

Roxy in the box: Questo è il tempo dello stordimento dell'iconografia. 

Roxy in the box inizia il suo percorso artistico presso l’istituto d’arte Filippo Palizzi di Napoli e si specializza in affresco presso l’istituto edile la Dozza di Bologna. Ma è a Napoli che decide di insediare le sue radici attraversando tutte le esperienze di vita e dolore che caratterizzato questa controversa città. È da questo immenso microcosmo che insorge il suo occhio critico nei confronti della società contemporanea pronto ad indagare, colpire, schernire e smascherare tutto ciò che risiede aldilà del box.

L’arte visiva il suo campo d’indagine, silenziosa ma che tocca in profondità. Pittura, video, installazione, performance; azioni e PULP_azioni che comunicano l’arte attraverso il corpo. Cinema e letteratura i suoi punti di inspirazione. Internet il suo terzo braccio; musica il sedativo e l’ anfetamina.
Roxy in the box usa come mezzo la POP ART e tutto ciò che risiede sulla superficie utilizzandone a pieno linguaggi ed icone. Annessa ad essa vi è un’altra componente che le permette di andare ben oltre la pop art stessa ovvero la riflessione, l’individuo e i suoi turbamenti, la sua sofferenza e la sua solitudine. Il colore?

Serve a vestire il suo nero come essa stessa definisce.

È dal suo box che rende universale il suo messaggio outside the box.

Il percorso di Roxy in the box è oggi orientato verso l’investigazione di fotografia e video attraverso azioni performative non-live : vive davanti all’obiettivo come se eseguisse una performance  con taglio tonico e sguardo pittorico e di composizione che non abbandonerà mai. Pronta ancora una volta a svelare ciò che resta inside or outside  the box.

 

Il tuo lavoro riesce a fare convivere una forte anima pop di matrice nord americana e una forte caratterizzazione popolare insita nella tradizione napoletana, si tratta di una storia comune legata al territorio, che forse accomuna tutta una generazione di artisti napoletani, il tuo lavoro si insinua fluido e virale anche nel mondo delle applicazioni e social network, quello che mi intriga particolarmente è la tua capacità di critica di un sistema di valore del quale di fatto accetti le logiche comunicative e anche di consumo, quanto è importante sapere individuare i limiti di ciò che viviamo, consumiamo e produciamo?

Credo fermamente che la pop art si sia affermata proprio per operare una critica ad un mondo che ha accolto il consumismo e l’immagine di massa come una nuova forma di religione.

Per quanto riguarda la mia ricerca, le radici e le influenze e le tradizioni sono un punto di partenza importante per comprendere i meccanismi di  produzione ma si tratta di un locale che si allarga al globale, poiché i comportamenti di massa sono sempre più standardizzati e non conoscono territori o confini. 

Per quanto riguarda l’accettazione delle logiche di massa penso che scardinare un sistema dall’interno sia più facile che assaltarlo inutilmente da fuori.

Vivo in questo mondo e ne respiro sia i vizi che le virtù, ma tutto ciò che faccio è mirato alla ricerca artistica, anche quando scrivo qualcosa su di un social network.

La contaminazione tra generi e linguaggi che mondo Accademico e certi target di "mercato" vogliono specialistici è un altro tuo tratto distintivo, ti muovi stravolgendo generi, luoghi comuni e icone, addirittura in certe tue operazioni, diventi icona e la ricampioni, come nel caso di Elvis, in pratica ricampioni performance, pratica dei crossover artistici, cosa ti spinge in questo proessodi celebrazione e di dissacrazione di una icona?

Ogni personaggio su cui mi soffermo viene trattato con il massimo rispetto, nel caso di Save The Icon - Elvis ad esempio la mia passione sconfinata per questa immortale icona del contemporaneo, ha operato una sorta di trasfigurazione della mia immagine, che si è praticamente fusa con quella del grande divo.

La mia indagine non è una dissacrazione ma l’oggettivazione di uno stato di deperimento dell’immagine e dei contenuti che la massa opera nei confronti della star di turno o dell’oggetto di culto.

Il continuo uso dell’immagine di massa in ogni contesto possibile finisce per confondere ogni significato originario, ecco perché ho coniato il termine Rinconografia (che poi è anche il titolo di una mia serie di lavori), vale a dire lo stordimento dell’iconografia.

Nel nostro contesto sociale l’icona perde anche la sua medesima essenza e si ritrova ad essere immagine di massa, senza che nessuno sappia il perché.

Ti faccio un esempio, tutti hanno una maglietta con Ernesto Che Guevara ma molti pensano che si tratti di una rock star.

Ecco perché io punto al recupero dell’icona mediante l’evidenza del suo “rincoglionimento” diffuso.

 Sei anche stata capace di giocare con una icona della cultura artistica Napoletana e di farne un elemento di un opera al confine (o connessione) di genere, mi riferisco al lavoro con Raiz, una performance, un lavoro videoartistico, un quadro in movimento, un fotoromanzo e sonoro e tant'altro, il tuo lavoro azzera limiti e connessioni di genere, siamo davanti a un tempo che sta attestando la fine di un linguaggio specializzato dell'arte dell'arte, dove i generi tutti del fare arte contemporanea sono uno strumento del linguaggio d'artista?

Raiz è meraviglioso, posso ritenermi onorata di aver collaborato con un artista della sua caratura.

Penso che l’arte non conosca confini di genere, sono gli addetti ai lavori che tentano sempre di catalogare e mettere paletti a qualcosa che scorre inesorabile e dirompente, nella sua liquidità.

Ad esempio non vedo differenze tra performance art e musica, sono espressioni che, come abbiamo dimostrato Raiz ed io, hanno la medesima essenza.

Sono felice quindi di notare che il mio continuo impegno per l’abbattimento di questi noiosi confini sia stato sottolineato dalla tua domanda.

Vi sono sin troppi personaggi che mirano a rendere l’arte contemporanea incomprensibile e lontana dal pubblico per poi lamentarsi proprio dell’assenza di spettatori a mostre ed altri eventi culturali.

Io non ho bisogno di un’unica piattaforma fissa, non devo per forza di cose esporre in una galleria per considerarmi un’artista. Come detto prima social networks, interventi sul territorio, letteratura, musica, video, questi territori mobili parlano sempre il linguaggio dell’arte contemporanea.

Diffidate da chi vuole chiudere gli artisti dentro le mura di una galleria che espone sempre la solita incomprensibile mostra.

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Mimmo Di Caterino

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