I protagonisti erano la filantropia e il collezionismo d’arte, e la diminuzione del potere dei musei rispetto alle super gallerie. E l’avvincente conversazione non ha tradito le attese, inerpicandosi sugli spesso confusi confini tra cultura e commercio.
Ad animarla, in uno degli incontri previsti dal programma Art Salon di Art Basel, erano – li si vede nella foto di Marco Annunziata – il direttore del MOCA Jeffrey Deitch ed il consulente d’arte Josh Baer.
Senza fare nomi, Deitch ha spiegato che i musei sono oggi in seria difficoltà quando si tratta di organizzare mostre interessanti e stimolanti, mentre le grandi gallerie private dispongono di risorse pressoché illimitate: in termini di accesso alle collezioni, di finanziamento e di marketing.
E Deitch non ha mancato di citare i problemi riscontrati per la sua mostra di Theaster Gates, deluso quando rivela la somma totale dei contributi raccolti: solo 15mila dollari. A Los Angeles, l’epicentro dell’industria americana dello spettacolo, dove 100 milioni di dollari sono ormai un budget standard per un film.
“È stato un brusco risveglio, per me, passare dal mondo delle gallerie a quello museale, tutto ad un tratto la gente ha smesso di rispondere alle mie chiamate”, ha raccontato. Poi il discorso è caduto sulla programmazione del MOCA: Art in the Streets è stato un successo senza precedenti per il museo, con migliaia di visitatori ogni giorno per 3 mesi. E Deitch assicura che i social media siano stati uno strumento fondamentale per la riuscita della mostra: togliendo gli antiquati cartelli “no photos” e dando a tutti il permesso di fotografare e filmare, gli stessi visitatori hanno diffuso le immagini fornendo pubblicità gratuita per il MOCA.
Ma nonostante i problemi e le difficoltà, Deitch crede comunque nelle infinite potenzialità del museo: “Vedere ogni giorno quante persone sono interessate a impegnarsi con l’arte mi da l’energia necessaria per andare avanti. Il nuovo pubblico in questo è incredibile. Molte persone hanno nostalgia per quando il mondo dell’arte era una piccola comunità: a Soho negli anni ’70 c’erano 5 o 6 gallerie, il mondo dell’arte era tutto lì. Ma io ho sempre pensato che sarebbe stato bello se l’arte avesse potuto espandersi. Così è andata, ed è davvero straordinario vedere cosa è diventato il mondo dell’arte”.
“È stato un brusco risveglio, per me, passare dal mondo delle gallerie a quello museale, tutto ad un tratto la gente ha smesso di rispondere alle mie chiamate”, ha raccontato. Poi il discorso è caduto sulla programmazione del MOCA: Art in the Streets è stato un successo senza precedenti per il museo, con migliaia di visitatori ogni giorno per 3 mesi. E Deitch assicura che i social media siano stati uno strumento fondamentale per la riuscita della mostra: togliendo gli antiquati cartelli “no photos” e dando a tutti il permesso di fotografare e filmare, gli stessi visitatori hanno diffuso le immagini fornendo pubblicità gratuita per il MOCA.
Ma nonostante i problemi e le difficoltà, Deitch crede comunque nelle infinite potenzialità del museo: “Vedere ogni giorno quante persone sono interessate a impegnarsi con l’arte mi da l’energia necessaria per andare avanti. Il nuovo pubblico in questo è incredibile. Molte persone hanno nostalgia per quando il mondo dell’arte era una piccola comunità: a Soho negli anni ’70 c’erano 5 o 6 gallerie, il mondo dell’arte era tutto lì. Ma io ho sempre pensato che sarebbe stato bello se l’arte avesse potuto espandersi. Così è andata, ed è davvero straordinario vedere cosa è diventato il mondo dell’arte”.
L’onestà di Deitch è una boccata d’aria fresca, in un settore dove le dichiarazioni sono sempre elusive.
- Yan Yan Huang (traduzione Marco Annunziata)