Ho conosciuto Michela Petoletti e il suo segno attraverso l’Alberodiario, un libro d’artista che realizzò nel 2009 e che vidi in mostra l’anno successivo. Quando mi documentai sul suo percorso artistico ebbi modo di apprendere la sua ampia esperienza nel campo dell’illustrazione, al servizio di importanti riviste, case editrici ed aziende. Così mi lasciai trasportare in quel suo mondo fantasioso e lieve. Nelle sue illustrazioni “su committenza” prevale uno spirito gioioso, naif, ammiccante e decisamente ironico: impossibile non lasciarsi prendere per mano dai suoi filiformi protagonisti, resi attraverso pochi tratti essenziali, eppure dotati della capacità di trasmettere una ben precisa caratterizzazione psicologica. Dai disegni di Michela trapela una grazia e una finezza tutta femminile che costituiscono il tratto peculiare del suo stile.
Proprio all’interno di questa dimensione femminile credo che, a un certo punto, sia avvenuta un’evoluzione, un cambiamento sostanziale che ha condotto Michela a percorrere nuove strade, in cui il disegno è divenuto strumento attivo di osservazione del mondo esterno e di indagine del proprio mondo interiore. In questa fase, maturata a seguito di decisive esperienze personali - come la maternità – e professionali – come il diploma in Arteterapia- si colloca anche l’Alberodiario che, a distanza di anni, ho ritrovato e ho potuto sfogliare nuovamente nello studio dell’artista e a cui hanno fatto seguito altri progetti autobiografici, spesso inediti, dove si rende palese l’emergere di una personalità artistica ben precisa, che prende le distanze dalla Michela illustratrice per tentare di dare espressione a Michela Petoletti, donna e mamma, ai suoi vissuti, alle sue emozioni.
E’ ormai giunto a completa maturazione il processo di identificazione tra autrice e protagonista: il libro d’artista, da esercizio di forma, si è tramutato in un diario intimo e personale. La mostra “la mia piccola me” è frutto di un lavoro che Michela ha condotto prima di tutto su sé stessa, come pratica di meditazione e introspezione, in cui l’autrice si è impegnata per un anno intero (2014) a realizzare un disegno al giorno, su più taccuini. Una sorta di diario terapeutico, come spesso viene suggerito in psicologia...ma per immagini, in cui annotare giornalmente gli avvenimenti, anche banali, le emozioni, piccole e grandi, e i comportamenti. Una palestra di pittura che ha obbligato Michela all’esercizio costante della mano, ma che soprattutto non prevede margine di errore: un solo foglio al giorno, il primo guizzo di inchiostro, dettato dall’inconscio, dall’istinto o dalla casualità...e nessuna possibilità di pentimento, di mentire a se stessi o sfuggire alla difficoltà di tradurre in figura le infinite e mutevoli sensazioni che attraversano la nostra giornata.
L’artista si mette a nudo, svelando ogni centimetro della propria anima, rinunciando anche a rispettare i propri standard qualitativi, la ricerca di un preciso risultato estetico, accettando quindi anche le cadute di stile, determinate dall’umore del giorno o da una mancanza di tempo o di ispirazione. Eppure, questa dichiarazione d’intenti, la totale onestà spirituale dell’artista, che contempla anche l’errore e l’incertezza, che racconta di momenti bui in cui, come bambini, l’unico gesto concepibile è quello di un violento groviglio di segni neri...ebbene, tutto questo ci lascia interdetti per la sua disarmante purezza e verità. Perché Michela tenta in questo modo di ricongiungersi, in effetti, con la sua “me” bambina, con quella spontaneità di espressione che ognuno di noi, crescendo, ha lasciato si spegnesse. Ad aiutarla in questo processo è stato fondamentale il confronto con la figlia di sei anni, che ha risvegliato e stimolato in lei quello spirito bambino non curante della forma e dell’aderenza al reale, ma che vede nel disegno l’accesso a un mondo magico, libero da ogni regola, pura manifestazione della nostra creatività primigenia.
Scaturisce in questi nuovi lavori una sperimentazione giocata anche sulla manualità, soprattutto attraverso la tecnica del collage, l'inserimento e accostamento di materiali o componenti diversi, la scelta di carte o supporti in grado di suscitare particolari sensazioni tattili e visive. Non viene meno quel tocco delicato che contraddistingue le figure che abitano i suoi disegni, anzi, si arricchisce di ulteriore lirismo, divenendo al contempo più fragile nel tratto e più potente nel sentimento che veicola. E' nella sintesi estrema del disegno che Michela raggiunge gli esiti più toccanti, per la poesia che attraverso un finissimo tratto di china è in grado di evocare, semplicemente delineando una sagoma sottile che prende vita sotto i nostri occhi, pronta ad incamminarsi verso l’infinito spazio bianco di un foglio.
La sequenza di disegni non implica una narrazione cronologica di eventi, i tempi delle immagini sono dilatati, hanno un ritmo lento, che invita alla riflessione, ad entrare in punta di piedi in questo universo privato, silenzioso e sospeso. Sfogliare i taccuini di Michela ci proietta piuttosto in una dimensione onirica, fatta di atmosfere liquide e impalpabili, che l’artista rende magnificamente attraverso l’uso dell’acquerello, suo strumento d’elezione, lasciando che esso scorra liberamente sulla superficie del foglio, in una incontrollata eppure armoniosa fusione di colori, a cui affida la più incondizionata espressione delle sfumature della propria anima.
La ricchezza di questo lavoro, per un totale di 365 disegni suddivisi in 7 taccuini, fa sì che ci troviamo davanti ad una successione di visioni inaspettate, ognuna differente dalla precedente, per tecnica, composizione e originalità di invenzione.
Ogni pagina ci sorprende, ci riserva un nuovo racconto e ci regala un’emozione nuova: sorridiamo insieme a Michela degli aspetti più giocosi della vita quotidiana, restiamo a bocca aperta davanti a immagini così evanescenti che paiono avere la consistenza di un sogno e ci pervade un po’ di malinconia nei giorni coperti di tristi nubi. A stupirci è la capacità di Michela di rappresentare, con un gesto essenziale, stati d’animo e sensazioni che sicuramente abbiamo vissuto sulla nostra pelle, ma che fino ad oggi non avremmo saputo descrivere e che, improvvisamente, troviamo raffigurati davanti ai nostri occhi, tanto da indurci a individuare, tra le tante, quell’immagine che ci fa esclamare: “oggi mi sento proprio così”.
Michela, dunque, offrendo all’osservatore un anno della sua vita, ci dona l’opportunità di ritrovare tra le pagine anche un pezzetto di noi e ci invita a riscoprire il valore terapeutico dell’arte, non solo come fruitori, ma anche nell’atto concreto di riportare a galla il nostro immaginario sommerso, con l’ingenuità e la felicità creativa del nostro io bambino.