Una cascata di bambole contro l'abbrutimento intellettuale della periferia

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Periferia a. La parte estrema e più marginale, contrapposta al centro, di uno spazio fisico o di un territorio più o meno ampio.

In quel luogo estremo e marginale sembra non accada mai nulla, eppure è proprio dalle periferie che, recentemente, si è deciso di ripartire. Il centro, luminoso e scintillante, dove tacchi a spillo e cravatte si riversano affamati dentro spazi espositivi troppo stretti o troppo larghi, nei quali il momento del buffet appare sempre troppo lontano, quel centro non è più idoneo a supportare idee, a sviluppare concetti, a dare voce alla creatività. È la periferia, con le sue mancanze, i suoi silenzi d'inverni lunghi e gli edifici smorti che riesce, invece, a far risaltare i toni della creazione grazie a quella public art sulla quale molti di noi si pronunciano da anni, consumati tra permessi ed autorizzazioni. Quell'arte pubblica per anni messa al bando, disdegnata, non compresa ed oggi così ambita e bramata al punto da entrare – spesso – in quei brillanti luoghi da ticchettio di tacchi e flûte  tra le dita, capaci di farle perdere senso e verve, trasformandola in mera opportunità di ciancia “ufficiale”.

Restando fedele al proprio contesto, piuttosto, in una delle tante periferie del mondo, ieri sera si è consumato il quarto Artmob legato al movimento A.no.Vi., nato nell'ambito di un gruppo di riflessione su arte e nonviolenza con base presso il centro studi “Sereno Regis” di Torino.
Be Peluche!”, ideato dall'artista performativa Mina D'Elia e realizzato assieme al neonato collettivo “VivaVilla!” ha rappresentato un momento di reale condivisione non solo di un gesto artistico, ma anche di uno stato mentale che porta un piccolo paese del sud Italia ad essere semi abbandonato perchè privo di stimoli sensoriali ed intellettuali. Un piccolo paese la cui scuola elementare è ormai sigillata per l'assenza dei bambini. Ecco allora che una cascata di bambole e peluche riporta il colore e la vita su ungrigio edificio periferico; riporta voci e presenze umane in una piazza invernale, in una sera di gennaio; riporta quel senso del site-specific al di fuori del quale il valore dell'azione è perduto.
Con “Be Peluche!” non solo si è voluto riconsegnare al piccolo paese di Villa Baldassarri (LE) un suono, ma si è voluto far comprendere che anche nei sobborghi dove non esistono più bambini, la creatività sopravvive; le idee si salvano e c'è ancora chi pretende che qualcuno ascolti e si ponga delle domande, indipendentemente da quanto un'operazione artistica così strettamente concettuale, possa essere compresa. L'importante è esserci e rivelare che l'arte esiste solo quando nasce da un'esigenza di comunicazione, contaminazione e coinvolgimento viscerale. Lustrini e paiettes sono un'altra cosa!

"Be Peluche!" resterà visibile sino al 24 marzo 2014 ed il collettivo "Viva Villa!" invita cittadini e visitatori a contribuire all'ampliamento dell'installazione donando alla scuola abbandonata bambole e peluches.

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