Germano Celant, curatore e critico, che negli anni sessanta in Italia ha teorizzato e rappresentato l'arte povera e il minimalismo italico, per la mostra "Food in art", nell'ambito dell'Expò 2015 intascherà ben 750000 euro.
Premesso che stiamo parlando di un curatore dai lauti compensi che cavalca e attraversa spazi e tempi politici e economici da sessanta anni, ovviamente il compenso ha indignato.
Demetrio Paparoni, ha chiesto una lettera di spiegazioni ai Direttori e Dirigenti dell'Expò.
Lo stesso Paparoni ha riportato nella sua lettera come parametro, il compenso del curatore della Biennale di Venezia, 120000 euro.
Premesso che quello del curatore e teorico è un semplice punto di vista sull'arte e non si può comparare un punto di vista consapevole rapportandolo a un altro, perché un punto di vista è un punto di vista e per dirla come la diceva Victor Hugo "non esiste un genio migliore di un altro".
Mi chiedo non basterebbe che si facessero dei corsi di aggiornamento sui linguaggi dell'arte per la Classe Dirigente a tutti i livelli e abolire una volta e per tutte il ruolo del curatore, che altro non è che uno specialista dell'intermediazione dei contenuti del linguaggio a scopo di lucro personale?
Lo si voglia o no, l'attuale sistema culturale dell'arte contemporanea è fondato su una società medievale, dove il potente, colui che determina il punto di vista, continua e incrementa il suo fare esclusivo, elusivo e escludente.
La situazione è paradossale, la si può sanare soltanto attraverso la conspavolezza e la diffusione dei linguaggi dell'arte; i docenti, gli educatori e i Maestri che hanno a che fare con i linguaggi dell'arte contemporanea, dovrebbero avere maggior considerazione affinché il degrado sociale, nell'interesse del mercato e del privato (anche del curatore), non vada oltre.
Troppe sono le testimonianze di Artisti Italici in attività non realizzati professionalmente.
Un senso etico-morale fatto estetico, deve far parte di un modello sociale e culturale condiviso e comunitario per rappresentare anche simbolicamente la quotidianità di questi tempi di crisi.