Il linguaggio dell'arte, misura delle "proprie" cose.

IL LINGUAGGIO DELL’ARTE COME MISURA DELLE COSE

Mi piace pensare, che questi quattordici anni del nuovo millennio abbiano fatto più storia del secolo passato, ci hanno catapultato in una realtà e una dimensione sociale postindustriale; caduto il muro di Berlino, crollate le Twin Tower's, diffusi fax, telefonini, Tac, Internet; stravolgimento delle fonti energetiche, dei lavori (quanto è cambiata la professione docente?) e del potere. Siamo davanti a un vero e proprio cambiamento di civiltà e da entità che proviene dal secolo passato, posso solo tentare di comprendere.

Il sapere è il mezzo che ti consente di misurare le cose, i fatti, la logica, le situazioni in una altra dimensione. Questa è l'intelligenza che si nutre di una scuola "ad arte", nel senso rinascimentale del termine, studiare teorie e la pratica del fare applicativo che la fanno linguaggio del fare, sviluppando così saperi e coscienza.
Le scienze linguistiche dell'arte andrebbero applicate dagli artisti nel luogo in cui vivono nell'epoca del sapere diffuso, questo è l'unico modo possibile di determinare un sapere del fare artistico che incide in maniera concreta.
La diffusione e la rete possono concretizzare un linguggio artistico localizzato altrove.
Siamo davanti una mutazione meta-testuale del linguaggio artistico, della sua cultura processuale e della sua dialettica di scambio e di pensiero, volenti o nolenti l'arte e il suo sistema di diffusione sta diventando qualcosa di diverso. La trasformazione è epocale e non ci si può illudere di rifiutarla.
Un problema dei Licei e delle Accademie è che spesso non si lavora con gli studenti con lo strumento di comprensione dei linguaggi dell'arte attraverso il loro fare, per orientarli, per orientarsi e per capirne il senso.
La "sensibilità" del fare linguaggio porta a comprendere il linguaggio.
La rete e il web 2.0 da questo punto di vista diventano fondamentali, licei ed Accademie dovrebbero servirsene di più, in qualsiasi luogo è possibile fruire dei linguaggi dell'arte, dei Musei, delle mostre, degli stessi artisti con cui puoi facilmente entrare in contatto virtualmente.
Il sapere va condiviso con i mezzi che si hanno a disposizione nel quotidiano, con supporti mobili come iPad e tablet, appunti e elaborati plastici e pittorici durante la loro gestazione possono essere condivisi e consultati on line dai docenti e dagli stessi studenti, in questo modo si migliora la comprensione e condivide la ricerca e la conoscenza.

Il linguaggio dell'arte muta, gli artisti hanno una capienza di apprendimento sempre maggiore, ma sono inabili difatti al fare linguaggio dell'arte, non riescono a sintetizzare in gesti e/o segni le loro conoscenze, la mutazione è dovuta al fortissimo consumo della tv e dei nuovi media digitali.
Usano (o forse subiscono) il linguaggio delle icone, scrivono per immagini e non articolano parole o scrivono pensieri diretti a sostegno della loro produzione, se non con sintesi estrema (che non c'è nel loro fare).
L'artista che perde le parole che rappresentano il suo fare rischia di perdere anche il concetto che c'è dietro il suo fare.
Si supera la dissociazione del sé soltanto se si evita la costrizione di un libro di testo da portare ad un esame.
Il pensiero dell'artista che verrà non sarà più lineare, ma reticolare e associativo, motori di ricerca relazionano a decine di fonti in contemporanea, il processo di elaborazione dei dati da consumare per le identità che verranno saranno sempre frutto di un pensiero interconnesso.
In rete il vero valore è costituito dalle idee, non serve denaro per affermare intelligenze e competenze artistiche, si afferma il proprio linguaggio in modo diretto.
Questo a lungo andare farà saltare intermediari e finanziatori.
Senza determinare il proprio valore in un processo di determinazione artistico non si ha valore.

L'artista che si autodetermina attraverso il web si muove su una traiettoria di "aggregazione preferenziale", somme di nodi, sistemi ed universi dove ciascuno ha un suo ruolo in processi elaborativi.

Il fenomeno è generalizzato, l'artista organizza la sua ricerca in palinsesti personali, il motivo è oggettivo dal momento che la tecnologia lo consente; ma è anche soggettivo, dopo duecento anni di omologazione industriale forzata la tecnologia consente agli artisti contemporaenei di distinguere il loro linguaggio e ovviamente l'opportunità si coglie.

Nel gioco di autorappresentazione, della propria identità artistica via web, la "socializzazione" si presenta per ciò che è, una azione consumistica, tollerata e sopportata in quanto inevitabile nel processo in corso, di condivisione e comprensione diffusa dei linguaggi dell'arte contemporanea. La "comunità" degli internauti artisti attivisti globali, cerca un riconoscimento e non deve per questo sobbarcarsi il lavoro della socializzazione "off line", ossia è amico di questo, lo presenta quest'altro, ha partecipato a questo, su di lui ha scritto questo. In altre parole "il raccomandanante" è fuori dal gioco e comunque superfluo, al di fuori di un ambito che non sia di certificazione e approvazione. Il destinatario del linguaggio dell'artista è nella pratica, uno strumento di autoconferma di un linguaggio privato (autistico se non fosse socializzato e confermato) e per questo tollerato nella realtà tridimensionale off line. In pratica la ricerca del proprio linguaggio artistico è una forma di automanipolazione, fondata su una relazione strumentale con gli interlocutori, che esistono per attestare l'esistenza dei manipolatori, o per meglio dire, di consentire il ribaltamento dei valori imposti dal mercato, anche esso privatamente imposto. La "socializzazione" virtuale, lo si voglia o no, segue gli schemi del marketing, e in questo schema siamo inglobati tutti, gli stessi media integrati, vengono fabbricati a misura delle tecniche di marketing.

Mimmo Di Caterino

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