L'artista contemporaneo? Creativo ma non produttore, per piacere.

OLTRE IL SISTEMA DELL’ARTE

Gli artisti oggi nascono con uno strumento da utlizzare, il sistema dell’arte, privi di questo sembrano incapaci di entrare in contatto con l’ambiente umano circostante.
Questo accade a tutti gli artisti contemporanei, perché? Sono prigionieri dei pregiudizi culturali degli artisti che li hanno preceduti? Sono artisti nati imprigionati in galleria e in esposizione fin dalla nascita?
Sbagliamo se sosteniamo che artisti patinati e omologati da sistema dell’arte siano artisti sottomessi?
Fosse vero quante sono le loro patologie psicosomatiche?
Ragionate un attimo su di voi invece, voi artisti ribelli e disobbedienti, voi   artisti che vi siete rovinati con le vostre mani e avete inconsapevolmente rafforzato quella invisibile scala gerarchica di sottomissione all’interno di un sistema.
Siete cellule sparse che con la vostra soppressione avete solo contribuito (come chi vi scrive) a generale la condizione anormale e supina dell’artista che si crede detentore della norma professionale.
Non resta per voi che la fuga, nell’altro sistema oltre il sistema, mondo creativo dove è possibile giocare fino al limite di rottura con il sistema e il gruppo dominante, solo oltre il sistema potete restare voi stessi, non siete e non siamo professionalmente e umanamente dei dominati stabili dal committente, siamo oltre il sistema perché i normali siamo noi, e tu, artista supino e zerbino, cosa aspetti a raggiungerci?       
Negli ultimi decenni, impegno politico e militanza artistica erano considerati delirio narciso di una sinistra fuori moda.
Quanto sono stato dileggiato da personaggi come Politi? Etichettato come no global, disobbediente, narciso, ratto di fogna e comparato a Fabrizio Corona.
Quanti sono stati gli artisti sottomessi che pubblicamente da me hanno preso le distanze passeggiando nel conformismo?
Sono stati schiavi di una politica di mercato compiacente, ma purtroppo per loro l’escursione è finita!
Basta con la storiella dell’appartenenza individuale a sé stessi ed alla propria opera, l’artista è proprietà della comunità che lo determina, quando ha paura di scontrarsi con il potere è solo un artista della stabilità del mercato e deve vergognarsi!

L’arte ha bisogno di creatori e non produttori

L'arte ha bisogno di creatori e di consumatori.
Il creatore/creativo deve essere motivato a creare e per farlo non deve trovare gratificazione nella sua società, deve con difficoltà inserirsi in una scala sociale gerarchica basata sulla produzione di beni di consumo.
L'artista sa che è praticamente impossibile giudicare il valore di una opera, i criteri di valutazione sono mobili, affettivi e non logici, questo è il territorio reale di consolazione dell'artista narciso, quando non è stimato si presenta come non compreso.
Comunque legato a tempi, luoghi e spazi sociali appartiene non a se stesso ma alla sua epoca, la sua è solo una sintesi di chi lo ha preceduto e una reazione a cifre e codici imposti.
L'opera e la vita di un artista hanno un prezzo, il prezzo della creazione e dell'ammirazione per l'originalità linguistica, ma opere e opera-azioni originali devono per forza discostarsi dalla norma del criterio e del giudizio, per cui il giudizio e la stima immediata non arriveranno mai.
L'arte è un piatto da consumare freddo, come la vendetta, l'arte è la vendetta dell'artista stesso.
L'originalità del linguaggio artistico si discosta dai criteri di riferimento con cui di solito è giudicata, l'arte è per stato non oggettiva e deve essere distante dal mondo della realtà (nella idea dominante contemporanea), difficilissimo quindi dare di essa un giudizio immediato, l'imprevedibile direzione ed evoluzione del gusto formerà nell'immaginario collettivo il genio senza che il genio abbia merito alcuno se non quello della persistenza e impertinenza del genio.
L'artista ricercatore di altri linguaggi, o colui che si ritiene tale, vive per beneficio degli snob radical, per i quali il non conforme è sempre e comunque arte.
L'accoppiamento promiscuo tra lo snob e l'anticonformista crea il sistema commerciale e il successo sociale, che per nostra fortuna è temporaneo, questo colloca l'artista nella scala consumatrice gerarchica, un prodotto e una notizia più consumata o cliccata di altre nell'epoca del web 2.0.
La storia del linguaggio delle arti dimostra che l'innovatore è sempre volutamente e deliberatamente incompreso dai suoi contemporanei, questo perché sovente è così paranoico (penso a esperienze come la mia) da non cercare e apprezzare successo sociale e sano narcisismo; la gratificazione è nell'immaginazione e nel percorso processuale dell'opera.
Comunque sia l'artista serve, come non mai in società come questa della noia e della miseria, l'uomo nuragico aveva la cultura della materia e della pietra che idealmente l'univa al cosmo, oggi non si ha più la cultura di gesti automatici a volte eseguiti tramite macchine media, insomma l'arte è la strada per ritrovare il cosmo e evadere dalla prigione sociale, un poco di aria fresca, avvelenata da gas di scarico quando proposta da gallerie-galere o curatori-critici che fanno da filtro, questo chiamano cultura artistica gli addetti ai lavori.
L'educazione alla pratica dei linguaggi dell'arte deve esigere l'ammissione che non esistono certezze formali assolute.
Le certezze formali nell'arte sono sempre temporanee, sono dei fotogrammi della nostra evoluzione linguistica e simbolica che non possono restare immobili, fosse così, leggeremo  quotidiani in lingua latina.
I linguaggi dell’arte devono continuamente riscoprirsi per abbandonarli e arricchirli quando se ne scopre l’operatività.
Questo favorirebbe l’individualità a vantaggio del collettivo e di forme in movimento senza uni-forme.
Solo questa educazione ai linguaggi dell’arte può renderci tolleranti, l’intolleranza è dovuta all’ignoranza, alla sottomissione, a istinti primitivi elevati a rango di etica indiscutibile.
Basta con le monoculture dai solchi tracciati, dove non si mischiano grano e prezzemolo, basta con trattori e betoniere che fissano lo spazio interno.
L'artista contemporaneo è diventato, lo si voglia o no, un produttore di beni di consumo, materia e energia che trasforma e plasma con le sue informazioni, il suo plusvalore dipende dalla produzione di suoi oggetti nel tempo, per fare questo serve una informazione astratta utile alla produzione di altri oggetti e di macchine e strumenti che lui consuma per produrli.
Insomma un produttore di beni che possiede informazioni, produce plusvalore in un sistema basato sulla sua produzione.
In quanto individuo il suo lavoro mantiene indirettamente la sua struttura e il sistema, informazione estratta ed estratta, memoria e immaginazione.
Il sistema dell'arte occidentale nelle sue protesi di committenza politica o di mercato, viene giudicato in base alla partecipazione e alla produttività, premia l'artista conforme e conformista nei confronti di concetti e postulati che garantiscano la sopravvivenza del sistema e di sue inutili figure, ovvero quelle figure d'intermediazione di base che favoriscono le dominanze (critici, curatori, galleristi, artisti politicanti, politici, assessori, comunque sia intermediari).
Nei sistema scolastici dove si fa didattica dei linguaggi dell'arte come nei sistemi di valore simbolico accreditato dal mercato, il risultato del linguaggio dell'arte sembra lo stesso: allontanamento dell'atto professionale dall'oggetto prodotto (non importa io chi sono ma cosa so fare)e la monotonia o l'automatismo del gesto (l'iconicità seriale è più produttiva dell'iconoclastia).
Questo porta a una configurazione di uno scenario artistico contemporaneo privo di spontaneità, d'immaginazione creativa e in definitiva di noia dettata dalla professione.
Insomma la professione dell'artista appare impossibilitata a sottrarsi all'ingranaggio del sistema di mercato (anche politico e sociale) dell'arte, questo porta l'arte e gli artisti rifiutati, verso una direzione di depressione e violenza iconica e gestuale.
Molti artisti non gratificati dal sistema di mercato e non gratificati dal sistema socio-mercantile dell'arte, trovano gratificazione nell'impegno politico o sindacale, la militanza illude di uno scopo, di lavorare per il comune e per un mondo migliore, ma quanti artisti inquadrati nella lotta sono veramente autonomi? Sovente sembrano e appaiono incapaci d'informarsi e operare al di fuori di recinti, durante le riunioni pubbliche sembrano spiccare e brillare per memoria e conformismo, sembrano non volere o potere immaginare per continuare ad appartenere al gruppo che rappresentano, il rischio è che gli si etichetti come anarchici, sinistorsi e utopici.
Triste vedere l'energia creativa costretta a obbedire a leader, maestri, padri ispirati e uomini della provvidenza, insomma con quale dignità si contestano le strutture gerarchice di dominanza per poi inserirsi in una struttura gerarchica di dominanza?
Esiste un conformismo creativo rivoluzionario e ribelle così come esiste un conformismo conservatore.
Bisogna per trasmettere il reale senso dei linguaggi dell'arte, liberare e liberarsi dagli ammassi ingombranti dei valori eterni, giovani e nudi ma ricchi d'acquisizione del passato, ogni uomo a qualsiasi età potrà dare al mondo il suo contributo artistico e creativo.
Il suo segno creativo gli permetterà di scoprire e acquisire coscienza e conoscenza interattiva e non solo utensili di lavoro.
La creatività, non può essere un lavoro, appaga un desiderio e non un bisogno, l'artista desidera il suo prodotto e non ne valuta preventivamente i bisogni, non si sottomette e non si autoammanetta all'autorità socioculturale e di mercato che lo ha deformato a norma di legge del comportamento sociale.
Smettiamola di confondere "la creazione d'informazione" che controlla artisti, linguaggi artistici e prodotti con la "mineralizzazione stratificata degli spazi culturali".

La nostra progressione artistica e culturale, che lo si voglia o no, è prodotta dai CALCI IN CULO DELLA NECESSITA’!

Il quotidiano del cittadino, del docente come del discente, del Maestro come dell'allievo l'ha seguito a passo di marcia.
Serve una cultura che sappia marinare la burocrazia scolastica per muoversi tra i cespugli dell'immaginario e del desiderio, altrimenti non c'è esistenza o linguaggio dell'arte che tenga.
Il senso dell'arte non può essere quello di un linguaggio elaborato fuori dal contesto sociale, l'artista è un uomo che non esiste al di fuori degli altri, che egli è fatto dagli altri. L'artista con un suo linguaggio più adatto per un epoca non è detto che lo sia per le epoche successive (limite di molti Licei e Accademie con i propri Maestri e docenti d'indirizzo). L'arte appartiene a tutti coloro che ne comprendono il linguaggio ponendosi attivamente in visione. Non si può limitare il linguaggio dell'arte alla sopravvivenza di un gruppo predatorio e aggressivo che assalta spazi economici, linguistici, identitari e culturali; non ha muri divisori, proprietà private o sbarramenti.
Basta con parole pubblicitarie e retoriche di consumi di propaganda vuoti, il senso dell'arte parte dall'accesso al mondo vivente, senza tale volontà di conoscenza resta l'espressione individuale da imporre e dominanze dalla mistificata copertura linguistica in critichese.
Artisti conservatori soddisfatti del loro status sociale, artisti rivoluzionari insoddisfatti, parlano di grandi principi generali e considerano le loro scelte necessarie al bene dell'intera umanità.
Non ammetteranno mai di lavorare per difendere i propri interessi e posti gerarchici, la loro "coscienza di classe" è incoscienza, un fenomeno affettivo inconscio.
La loro opinione artistica non è altro che espressione della loro soddisfazione o insoddisfazione, a seconda del livello di scala gerarchica o della propria immagine.
L'artista di maggioranza non è mai il risultato di una conoscenza e una coscienza estesa, ma il risultato di una integrazione di fattori affettivi e individuali e di gruppo, che trovano nella logica la propria giustificazione esistenziale.

In principio era urlo

Il principio del linguaggio dell'arte è il grido, il grido era bidimensionale, era rabbia e anche speranza, speranza attiva, di cambiare, il grido come rifiuto attivo diventa fare, lo implica, Il fare è negazione pratica, trascende, è un fare per negare.
Basarsi sul fare è, semplicemente vedere il mondo come una lotta.
Esiste una comunità del fare, una collettività di coloro che fanno, un flusso del fare attraverso il tempo e lo spazio, di fare passato che si converte nel presente, questo anche quando tutto sembra individuale. I fare dei linguaggi dell'arte sono così intrecciati che è impossibile dire dove termina uno e inizia un altro, l'intreccio delle nostre vite è un fare collettivo, un riconoscimento dell'altro come soggetto attivo, una conferma sociale che parte dal riconoscimento del flusso sociale.
Il fare artistico implica essere capaci di fare. Il fare è inconcepibile se non si è capaci di fare, privati del fare linguaggio dell'arte ci si ritrova privati d'umanità. Privati del fare l'urlo diventa urlo di disperazione.
Il potere dei linguaggi dell'arte è facoltà, capacità e abilità nel fare le cose.
La capacità del fare è sempre un intreccio della nostra attività con quella precedente, la nostra capacità del fare è il risultato del fare degli altri.
Potere fare arte non può essere individuale, è sempre e comunque sociale, il fare è un flusso sociale che si stratifica in modi e mondi diversi.
Il potere fare arte e fare linguaggio artistico è un processo di unificazione, il mio linguaggio in forma azione e in forma definizione, nel suo processo costituente si unifica con quello degli altri.
La separazione tra i linguaggi dell'arte non è altro che un esercizio di stile del potere, il potere rompe e nega la soggettività del fare, il potere è il separatore.
La rottura del flusso sociale dei linguaggi dell'arte è stata la rottura del tutto. La rottura del fare linguaggio dell'arte ha rotto il noi collettivo a partire dal rinascimento e la politica dell'artista di corte.
La collettività si è divisa in due classi di persone, le proprietarie dei mezzi del fare che comandano chi sa fare perché faccia per lui, si è acquistato non l'oggetto fatto da chi sa fare ma si è ridotto in schiavitù chi sa fare.
Il migliore degli artisti e degli architetti si è ritrovato l'umanità spezzata e negata, i soggetti dell'arte hanno reso la loro vita oggetto.
Coloro che non fanno hanno ordinato il fare a chi lo sa realizzare, il sapere fare ha così storicamente negato il suo linguaggio diventando lavoro alienato.
Il web sta riportando l'attenzione della moltitudine sul processo e sui linguaggi dell'arte, lo scrivere su di un social network può attivare flussi del fare, il fare laboratorio linguistico comune si sta riscoprendo come patrimonio genetico innato sommerso.
Chi ordina il fare ha come unica qualità quella di essere servitore del capitale, un cortigiano del valore che governa il suo mondo.
Il sistema di mercato dei linguaggi artistici opera forte della dominazione assoluta della forma sul contenuto.
Dove bisogna allora cercare il flusso sociale dei linguaggi dell'arte? Il potere fare esiste nella forma di chi lo nega, è il substrato materiale della negazione.
La grande e inevitabile sfida, degli artisti realmente e utopicamente comunisti di questo millennio è di favorire un sistema di ricerca artistica libero dalle relazioni di potere attraverso la dissoluzione del potere.
In altre parole dal punto di vista linguistico dell'arte, quello che ci affascina dell'artista di potere, che narra in maniera contraffatta e ambigua il valore del capitale, è che aiuta a definire il linguaggio della realtà dell'artista negato, dell'anti potere, della realtà del negato e non visto.
Bisogna constatare che i diversi linguaggi artistici vengono concepiti e nascono non in un vuoto libero dal potere, il sistema socio economico dell'arte è attraversato dal potere, di cui l'artista è il suo prodotto, il potere che costituisce comunque il linguaggio dell'arte è l'antagonismo che caratterizza i linguaggi dell'arte tutti, profondamente e inevitabilmente.
Il potere dell'arte, dei linguaggi dell'arte e degli artisti, risiede nella frammentazione dei linguaggi e delle relazioni sociali.
I linguaggi dell'arte sono intreccio del fare, di amore, di odi e di aneliti, l'immensità di identità isolate che si relazionano.
L'artista con il suo linguaggio, impossibilitato a rivoluzionare da solo i linguaggi dell'arte, deve accettare che la destinazione della sua ricerca può non essere felice, la sua speranza di resistenza linguistica passa per la natura dello stesso potere del capitale.
Un potere linguisticamente onnipresente implica un no onnipresente.
La speranza dei linguaggi del fare artistico esiste nella forma dell'essere negato, questa è la sostanza della dialettica, il senso consistente della non identità e dell'identità negata.
Il linguaggio dell'arte negato è la speranza, l'anticipazione, l'aspirazione di una società a dimensione umana.
Questo è il motivo per cui il linguaggio dell'arte e di un artista va sempre capito, anche quando si presenta come antagonistico e nella forma dell'essere negato.
Il pensiero unico e omologato, imposto dal sistema di mercato dell'arte, ha materializzato di fatto un sistema d'imposizione dei linguaggi dell'arte ad una unica ambigua dimensione.
La resistenza critica in grado di mettere in moto la ricerca linguistica e di senso dell'arte, può arrivare solo dai margini, dagli artisti reietti, sfruttati, perseguitati, disoccupati e inabili nelle relazioni di mercato.
La loro opposizione critica resterà rivoluzionaria anche se non lo sarà la loro coscienza. Il loro linguaggio colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviato dal sistema, non è un linguaggio controllato; sono i teorici critici del fare emarginati dalle Accademie e dai mercati.
La teoria dell'arte è pratica quando è pratica dei linguaggi del vivere, non bisogna saltare un abisso per diventare pratica, la pratica è praticata con l'esercizio.
Un mucchio di individui che condividono un linguaggio forti di questa condivisione si rispettano nelle loro differenze, tutti incompleti ma parte di un processo di movimento critico che con i suoi filtri danneggia e corrompe gli artisti, il flusso d'informazioni pratiche sul fare e del fare autodetermina il linguaggio dell'artista tra i linguaggi dell'arte.
La negazione dell'arte e della sua creatività avviene attraverso l'assoggettamento dell'attività creativa al mercato.
L'assoggettamento al mercato avviene quando la capacità di lavorare in modo artistico e creativo diviene merce da vendere a coloro che hanno il capitale per comprarla, la distinzione di classe diventa la distinzione tra i linguaggi dell'arte, come se gli artisti non riuscissero a scambiarsi i loro segni e segnali linguistici e stilistici, incredibile!
Insomma l'antagonismo tra i linguaggi dell'arte e la loro negazione passa fra chi vende il proprio pensiero creativo e chi se ne appropria e lo sfrutta, questo trasforma il linguaggio dell'arte in alienazione.
Il conflitto dell'artista oggi è fra la sua pratica linguistica sociale e comunitaria e la sua negazione, tra la sua umanità e la sua negazione, tra il trascendere il limite e arrivare alla creazione e l'imposizione definita del limite.
Il linguaggio dell'arte contemporanea è iscritto in questo conflitto.
La dignità dei linguaggi dell'arte invisibili esiste ovunque ci sia vita e relazione umana.
L'oppressione di un linguaggio implica forza maggiore il suo opposto.
La lotta delle immagini è la lotta per vivere dell'umanità, è la lotta della dignità identitaria personale in nome del ben fatto.
La lotta dei linguaggi dell'arte è una lotta per essere riconosciuti, è la lotta del fronte della liberazione linguistica del potere fare.
Ovviamente il peto roboante dell'artista del sud dell'isola a sud del mondo non farà cadere da cavallo il signorotto, ma è un linguaggio insubordinato che materializza il potere del gesto e del senso, la base della speranza.
Ci sono modi sottili dove il fare linguaggio dell'arte si produce in forme alternative, anche semplicemente passando per il fare bene il proprio lavoro, docenti di arte che cercano d'insegnare il senso del segno ai propri discenti, designer o grafici che cercano di proporre prodotti bene disegnati e comunicati in maniera etica prima che estetica, autoproduzioni che siano prima di tutto buoni prodotti.
Il valore linguistico dell'arte in questo fatto può essere visto come un motivo di disturbo.
Il potere fare implica un ritorno ai mezzi pratici del fare ed al recupero del fare come bene comune, il linguaggio del fare è relazione tra persone diverse per  qualità.
Come permettere al linguaggio dell'arte di continuare a muoversi e fare movimento? Aprendoci all'incertezza formale del linguaggio dell'arte, "camminando domandando" come dicono gli zapatisti, perché non conosciamo la strada e perché la strada è parte del processo d'innovazione e rivoluzione della didattica della grammatica linguistica dell'arte.
I linguaggi dell'arte non hanno un finale, i musei li negano, sono domande e inviti a discutere, l'arte non ha un lieto fine e non cambia gli errori e gli orrori del sistema sociale in cui è immersa.

L'obiettivo dei linguaggi dell'arte? Alimentare le differenze per arrivare a comprenderle.

Mimmo Di Caterino

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