di Pino Farinotti | In chiusura del 2012 sono stati pubblicati i 10 film migliori di tutte le epoche secondo la classifica dettata dal magazine inglese “Sight and Sound“, che farebbe testo. La riproduco.
1. La donna che visse due volte (Hitchcock, 1958)
2. Quarto potere (Welles, 1941)
3. Tokyo Story (Ozu, 1953)
4. La regola del gioco (Renoir, 1939)
5. Aurora (Murnau, 1927)
6. 2001: Odissea nello spazio (Kubrick, 1968)
7. Sentieri selvaggi (Ford, 1956)
8. L’uomo con la macchina da presa (Vertov, 1929)
9. La passione di Giovanna d’Arco (Dreyer, 1927)
10. 8 ½ (Fellini, 1963)
Rimando alla lettura preliminare di quel pezzo. Concludevo dicendo che avrei proposta la mia classifica personale. Discrezionale. Ma prima è doverosa una premessa. Se il mio giudizio fosse in chiave di “critica del sentimento puro” allora i miei titoli sarebbero in prevalenza classici hollywoodiani, tanti western, con inserti di Risi, Monicelli, De Sica, naturalmente Fellini, e poi un paio di titoli del Fronte popolare, Renoir, Carné, Gabin… Ma sarebbe il mio cartello personale, troppo personale, figlio di sentimenti, di memorie, di momenti intimi quantomeno depistanti rispetto a una valutazione oggettiva. Naturalmente secondo l’oggettività che ti consente il cinema, disciplina non oggettiva per eccellenza. Dunque occorrono delle mediazioni, privilegiando un aspetto che, a parer mio, è prevalente, la resistenza al tempo, la vedibilità postuma. Per questa ragione non capisco la presenza di titoli “muti” (ben tre) e di altri che ho definito “sillabari sigillati, da una chiave posta in un cassetto, buoni per citazioni, se servono citazioni”. Ho un mio scaffale personale, un centinaio titoli, che vedo e rivedo. Sono un rifugio, una sicurezza, il mio incanto perenne, amici che non deludono. Molti classici, e molti “capricci intimi” come ho detto sopra. Quando dico mediazione parlo da appassionato e da professionista. Alludo a film che “ti viene voglia di vedere” e che naturalmente possiedano qualità. Il concetto di “qualità” può essere vasto, e può persino contenere un altro concetto, lo spettacolo, che il correntone critico prevalente guarda con grande sospetto. E aggiungo uno scandalo: può persino contenere il lieto fine, che viene considerato veleno. E ancora, rimando alla tradizionale, magari stucchevole didascalia che riguarda il dizionario “Farinotti”, “dalla parte del pubblico”. E ancora: in controcorrente critica, dico persino che un film può essere consolatorio- e vedo già quelli del correntone portarsi le mani alla faccia, come l’urlo di Munch- perché non vedo cosa ci sia di male nel consolare. Meglio che deprimere, mi pare. E porto a termine i miei codici orrendi con la morale. Anche qui dico che non c’è niente di male se cerchi di dare un’indicazione, di stabilire una differenza fra il buono e il cattivo. Nel cinema contemporaneo questa differenza non viene rilevata, è superflua. Mi piace l’eroe, l’ho detto sopra: forse ho visto troppi western da piccolo.
La professione mi ha portato a toccare il cinema in quasi tutte le chiavi, la critica, la storia, la docenza, la programmazione televisiva, e poi dal di dentro coi miei romanzi diventati film, insomma bibliografia robusta. E, ribadisco una chiave primaria, la passione. Tutta questa premessa per arrivare ai titoli, figli delle mediazioni, appunto, appena espresse. Eccoli.
La grande illusione (Renoir, 1937)
Il posto delle fragole (Bergman 1957)
Un americano a Parigi (Minnelli 1951)
Ossessione (Visconti 1943)
Viale del tramonto (Wilder 1951)
Notorious (Hitchcock 1946)
Via col vento (Fleming 1939)
Il porto delle nebbie (Carné 1938)
La leggenda di Robin Hood (Curtiz 1938)
8 ½ (Fellini 1963)
Non ho messo i numeri della classifica, da uno a dieci, do una sola semplice indicazione, l’assoluto. Il film “migliore” è il primo, La grande illusione. Gli altri li considero in gruppo, i numeri possono essere distribuiti a caso, come in una roulette ridotta. Per un’informazione completa rimando alle recensioni del “Farinotti”. Solo qualche dettaglio. È un film di settantacinque anni fa, ma ha davvero perso pochissimo della sua vedibilità. Attori, regia dal rigore assoluto, e dalla creatività magnificamente debordante (lo spettacolo organizzato dai detenuti). La profondità del dialogo, le ideologie naturali e serene, e l’immane olimpica indicazione finale, quando i soldati che inseguono i prigionieri evasi, rinunciano a sparare, e potrebbero farlo.
Il posto delle fragole offre la poetica di Bergman e indicazioni potenti rispetto alla cultura della prima metà del novecento: Freud (il sogno iniziale), Proust (la memoria), Kafka (smarrimento e trasformazione); Strindberg (il dolore e la morte), Nietzche (il superuomo). Oltre all’estetica esclusiva che appartiene al regista.
Un americano a Parigi rappresenta l’evasione e la gioia di vivere, che non sono solo opzioni primarie, ma doveri del cinema. Molti ritengono che Cantando sotto la pioggia sia un’opera organicamente migliore, perfetta, ma “Una americano” prevale per la musica, nel film di Donen-Kelly ci sono canzoni irresistibili, da musical leggero, ma in quello di Minnelli c’è Gershwin, il più grande compositore americano. E fa la differenza. Ossessione equivale Ladri di biciclette, estetica, verità, forza dei caratteri. Ma il film di Visconti evade dal confine autoctono, contiene tre culture. La nostra, naturalmente, quella francese perché Visconti aveva appena lasciato la bottega di Renoir, e quella americana per la radice letteraria, il romanzo di James Cain.
Viale del tramonto è un unicum. Un’opera di cinema puro, che non deve niente ad altre discipline. E poi sfugge a tutte le collocazioni: non è dramma, non è fantasy, non è commedia. È semplicemente Viale del tramonto. Ed è Wilder.
Notorious è il film perfetto. Dopo tanto tempo resiste a tutto. Storia, caratteri, regia, tutto perfetto appunto, ed essenziale. E in più, e non è poco: Hitchcock. Rispetto al prescelto assoluto della classifica di “Sight and Sound”, Vertigo – che pure è un capolavoro- Notorious non presenta artifici o suggestioni utili, o trucchi certo di qualità, o un mélo acquattato. È un’opera intoccabile.
Via col vento è un grandissimo film. Ignorarlo nelle classifiche è l’eterno segnale dell’arroganza della corrente critica prevalente e della stucchevole indicazione: guai se ti diverti. Nel 1939, quando uscì, era un’opera predestinata, avanti nel tempo. Un esempio di produzione, di racconto, di spettacolo. Con una solida base letteraria a garantire la qualità del sentimento. La televisione lo propone ciclicamente, e il gradimento è sempre alto. È un “assoluto”, magari non “critico”, ma vero.
Il porto delle nebbie. Consanguineo della “Grande illusione”. I film di quella stagione, il Fronte popolare, appunto, sono il punto più alto del cinema del mondo. Fissa dei momenti di estetica visiva e letteraria mai esistiti e mai ripetuti. La locanda che accoglie il disertore Gabin, sul promontorio nebbioso del porto di Brest. Un artista filosofo, un gestore che parla come un poeta. E tutto sul filo di un’angoscia potenziale che alla fine taglierà il traguardo. Scrittura altissima, Carné che fa sposare Prévert col cinema. Non era semplice.
La leggenda di Robin Hood è della famiglia di Via col vento, ma con una categoria ancora più definita, l’avventura. E l’avventura è un’altra delle opzioni vitali del cinema. Robin Hood e Errol Flynn, due eroi assoluti a loro volta, due campioni iridati. Per la regia di Michael Curtiz – Casablanca – che potrebbe essere il mio undicesimo- autore dall’energia, dal ritmo e dalla capacità di racconto ineguagliabili. Ed è un piacere rivederlo quel film. Anche adesso.
8 ½ è un’altra opera non toccata da altre identità, o ispirazioni, o radici. Non deve niente alla scrittura, all’arte figurativa, al teatro. Il cinema per il cinema. L’invenzione è di un maestro legislatore che porta una dotazione di fantasia, mistero, non decifrabilità che appartiene solo a lui. È l’unico titolo che, nei dieci, condivido con la classifica dettata dagli 846 critici consultati dal British Film Institute.
Rilevo che nei dieci c’è solo Occidente. Non sento la necessità di una compensazione geografica o etnica. Prima dei miei preferiti di culture lontane, chiamiamole così, c’è ancora tanto cinema occidentale. Naturalmente so misurare la qualità di altre culture. Faccio due titoli, che comunque fanno parte del mio scaffale: I sette samurai (Kurosawa) e L’arpa birmana (Ichikawa).
Dieci film naturalmente sono pochi, però, come ho scritto la scorsa settimana possono valere come campione indicativo. La classifica del “British” arrivava a 100 titoli. Nel 1995 ho scritto un libro dal titolo “I cento film della nostra vita”. Li dividevo in categorie, come credo sia giusto fare quando fai dei confronti fra generi diversi: fra un Via col vento e un Potëmkin, per esempio. Per l’analisi c’è voluto un libro, ma i nudi titoli eccoli. Il mio scaffale. I titoli sono in ordine cronologico.
Da allora ci sono solo un paio di inserti recenti.
ARTE, CULTURA E IMPEGNO
L’Atalante, Giulietta e Romeo (Cukor), Tempi moderni, La grande illusione, Il porto delle nebbie, Mr Smith va a Washington, Furore, Quarto potere, Enrico V, I migliori anni della nostra vita, I sette samurai, Ordet, Il settimo sigillo, Il posto delle fragole, Arancia meccanica, Il fascino discreto della borghesia, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Apocalypse Now, The Dead – Gente di Dublino, America oggi, Lisbon Story, Fratello, dove sei?.
CULTO
Il cantante di jazz, Frankenstein, Biancaneve e i sette nani, Ombre rosse, Via col vento, Sangue e arena, Casablanca, Notorious, Il terzo uomo, Viale del tramonto, Luci della ribalta, Cantando sotto la pioggia, Mezzogiorno di fuoco, Un uomo tranquillo, Il cavaliere della valle solitaria, Da qui all’eternità, Picnic, Intrigo internazionale, Scandalo al sole, Psyco, Lawrence d’Arabia, Un uomo, una donna, Indovina chi viene a cena, Il padrino, Frankenstein Jr., Thelma e Louise, Il grande Lebowski.
I GRANDI MODELLI
Marlene Dietrich (L’angelo azzurro); Laurel&Hardy (Gli allegri scozzesi); Fred Astaire (Cappello a cilindro); Greta Garbo (Ninotchka); Gary Cooper (Il sergente York); Humphrey Bogart (Il mistero del falco); Rita Hayworth (Gilda); Spencer Tracy-Katharine Hepburn (La costola di Adamo); Gene Kelly (Un americano a Parigi); Marlon Brando (Fronte del porto); Audrey Hepburn (Sabrina); James Dean (Gioventù bruciata); Brigitte Bardot (Piace a troppi); Marilyn Monroe (A qualcuno piace caldo); Grace Kelly (Caccia al ladro); Paul Newman (Lo spaccone); Sean Connery (Agente 007 missione Goldfinger); Robert Redford (Come eravamo); Robert De Niro (New York New York); John Travolta (La Febbre del sabato sera); Woody Allen (Manhattan); Dustin Hoffman (Kramer contro Kramer); Al Pacino (Il padrino parte II); Sylvester Stallone (Rambo); Arnold Schwarzenegger (Terminator).
AVVENTURA WEST E COLOSSO
La leggenda di Robin Hood; Le quattro piume; Gli invincibili; I tre moschettieri; Quo Vadis; Sentieri selvaggi; Là dove scende il fiume; Ivanhoe; Il corsaro dell’isola verde; La tunica; I dieci comandamenti; Il ponte sul fiume Kwai; Ben Hur.
“ITALIANA”
Ossessione; Roma città aperta; Paisà; Ladri di biciclette; Il grido; La grande guerra; La dolce vita; Una vita difficile; Il sorpasso; 8 e 1/2; Il gattopardo; Amarcord.
La donna che visse due volte, A. Hitchcock
Tokyo story, Ozu
8 e mezzo, F. Fellini
La regola del gioco, J. Renoir
Sentieri selvaggi, J. Ford
Quarto potere, O. Welles
Aurora, Murnau
2001: Odissea nello spazio, S. Kubrick
La passione di Giovanna d’Arco, C. T. Dreyer
Porto delle nebbie, M. Carné
Il posto delle fragole, I. Bergman
La grande illusione, J. Renoir
Notorius, A. Hitchcock
Ossessione, L. Visconti
Un americano a Parigi, V. Minnelli
Via col vento, V. Fleming
Viale del tramonto, B. Wilder