Un ritorno. Un commiato. Un’eclissi dell’umano. Di Emanuele Beluffi

UN RITORNO. UN COMMIATO. UN’ECLISSI DELL’UMANO
di Emanuele Beluffi

 

Anni persi a legger libri, quotidiani (anche internazionali, perfino il Wall Street Journal e il Financial Times) e riviste specializzate. In modo particolare ero l’affezionato lettore di un fogliuzzo d’opinione, il cui primo numero uscì nel lontano 1996. Ero poco più che un ragazzino, ma la sapevo lunga su tutto e su tutti.
 
L’altro giorno mi capita di rileggere, dopo tanti anni, il fogliuzzo di cui sopra. Non è che mi sia capitato: sono andato in edicola e ne ho acquistata una copia. E leggo un articolo su una storia edificante e bella.
 
Ricevo la newsletter di Lobodilattice e leggo l’articolo di Alessandro Trabucco sulla decisione dell’artista Andrej Mussa di tirare i remi in barca, come si suol dire.
Il nostro Andrej ha le tasche piene del cosiddetto sistema dell’arte e ha compiuto una scelta radicale. Se n’è andato da galantuomo, senza sbattere la porta ma con ineffabile (e quindi più potente) inespresso vaffanculo all’”orticello dell’arte”, come Trabucco ha definito quello che io invece definisco letterariamente “il piccolo mondo antico dell’arte”. Che, se non realizzi opere al passo coi tempi (chessò, un Batman obeso circondato da caramelle) o strafottenti l’umano intelletto (le mostre da Zero o da Francesca Minini, non so voi, ma quando vado lì ho sempre l’impressione che mi stiano pigliando per il culo), non si cura di te. Nemmeno sa che esisti.
 
Ora sento un’intima connessione fra queste due vicende, così lontane nel tempo e così diverse, ma accomunate da una nascostissima armonia che vibra lontana come un basso continuo.
Sarà una circonvolzione cerebrale molto surreale. Lo può sembrare. Ma vedrete che alla fine una verità comune vi si appaleserà.
 
Bene. In occasione di una connessione spaziotemporale molto disinvolta, per un artista che se ne va c’è un quadro che ritorna: Ritratto di Wally Neuzil, di Egon Schiele, tornato dopo settantuno anni ai due legittimi proprietari. Che non sono nè mercanti, nè galleristi, nè collezionisti.
 
 
 
 
(Egon Schiele - Ritratto di Wally Neuzil – 1912)

 
 
 
"Egon e Wally di nuovo insieme",titolava lo scorso 23 Agosto il prestigiosissimo e progressistissimo Le Monde, suggerendo con la perizia dei giornalisti che arrivano subito al centro della notizia la storia umana parallela alla storia commerciale di questo quadro.
Ciò che infatti conta veramente, al di là della rocambolesca avventura di un’opera che, dalla galleria Wurthle di Lea Bondi-Jaray finì nelle mani del mercante piuttosto infame Rudolph Leopold, è la storia, umana troppo umana, celata dietro a questo dipinto, realizzato da Schiele nel 1912, quando Valerie Neuzil aveva diciott’anni. E la ricongiunzione, nelle sale bianche del Leopold Museum di Vienna, col suo amante: l’Autoritratto con alchechengi di Schiele (l’alchechengi è una pianta, non lo sapevo manco io).
 
 
 
 
 
 
(Egon Schiele - Autoritratto con alchechengi – 1912 )

 

 
 
Rudolph Leopold, un ex medico che a metà degli anni Cinquanta divenne un validissimo mercante d’arte e il principale terminale di riferimento per gli esperti di mezza Europa alla ricerca d’informazioni su opere scomparse, entrò in possesso dell’Autoritratto con alchechengi attraverso le ambasce del chiacchieratissimo mercante tedesco Friedrich Welz, protagonista, insieme a pochi altri, del mercato europeo dell’arte durante il regime nazista. Fu un amore a prima vista, quello di Leopold per Schiele. Nel senso che ne intuì fin da subito, da quando acquistò per quattro soldi un blocchetto di suoi schizzi, il potenziale commerciale. E fu giocoforza per lui impossessarsi, con l’avidità del bottegaio e, certo, col suo amore per l’arte della Secessione viennese, anche del Ritratto di Wally Neuzil, illegalmente sottratto dai nazisti alla gallerista Lea Bondi-Jaray,vittima  dell’anschluss e dell’espropriazione dei propri averi, fra i quali appunto il Ritratto di Wally Neuzil. La quale aveva appena affidato al Leopold l’incarico di cercare il quadro che le apparteneva. Fu, con ogni probabilità, la più tormentata storia legale del mondo dell’arte. Il Leopold non ne volle sapere di rendere il Ritratto di Wally alla Bondi-Jaray, dichiarando anzi di averlo regolarmente acquistato proprio da lei. La povera gallerista morì nel 1970 e non potè più vedere il Ritratto di Wally, mentre il Leopold, dal canto suo, lo conservò per molti anni nella propria ricchissima collezione, accanto all’Autoritratto con alchechengi acquisito tramite il succitato Friedrich Welz. Fino al 1994, quando il governo austriaco gli fece un’offera alla quale non potè dire no: 160 milioni di euri e la direzione di un museo a nome suo e della sua collezione, il Leopold Museum. Ma nel 1998, quando il Leopold Museum concesse in prestito al MoMA di New York il Ritratto di Wally, un solerte procuratore americano, al quale era giunta all’orecchio la strana vicenda di questo quadro, aprì un inchiesta. E ottenne il sequestro dell’opera. Nemesi storica: neanche Rudolph Leopold  avrebbe più rivisto la “sua”Wally. E’ morto pochi giorni fa, lo scorso mese di giugno. Ma alla fine di quest’estate la giustizia americana, obbedendo a una legge ad hoc promulgata dal governo austriaco che obbliga i musei pubblici a restituire le opere sottratte ai legittimi proprietari durante il regime nazista,  sblocca il “dossier Ritratto di Wally” e pone fine a una vicenda iniziata nel 1939. Anche in questo caso, con un’offerta cui non si può dire no: gli eredi di Lea Bondi-Jarary ricevono infatti dalla moglie di Rudolph Leopold un assegno da 15 milioni di euri. E il Ritratto di Wally torna nel Museo Leopold, vicino all’Autoritratto con alchechengi. "Egon e Wally di nuovo insieme", appunto.
 
Ma chi se ne frega. Roba buona per i turisti delle mostre, quelli che s’accalcano il sabato e la domenica in visita alla mostra nazional popolare di turno, e per i commentatori di economia dell’arte.
 
A ma interessa di più sapere che Valerie Neuzil fu l’amore di una vita.
Che Egon Schiele dipinse il loro amore scandaloso e proibito.
Che ritrasse il suo corpo nudo di musa amorosa in decine di disegni.
Che vissero assieme, in fuga da Vienna e dal gusto dell’epoca, strumento dei puritani che giudicarono scandalosi quei disegni e che arrestarono Schiele con l’accusa di detenere materiale pornografico.
Che il giudice strappò in aula un suo disegno.
Che a un certo punto chissà perchè dovettero condurre due vite separate e diverse ma simili.
Che morirono quasi assieme, lei crocerossina in Dalmazia nel 1917, lui un anno dopo a Vienna.
 
E che il retaggio di questo amore folle ed esecrando è sopravvissuto nel tempo solo grazie all’Arte, quando il Ritratto di Wally è tornato accanto all’Autoritratto con alchechengi. E quando Valerie ed Egon si sono alfine ritrovati.
 
Cosa c’entrano la loro storia e l’intricatissima vicenda commerciale del Ritratto di Wally, questa vicenda che sta ai confini dell’universo, col commiato di Andrej Mussa dall’”orticello dell’arte”?
Un cazzo, probabilmente.
 
O, se v’è quella recondita armonia che io ho cercato di esternare accorgendomi di non aver le parole per farlo, trovatela voi se vi garba. Con ogni probabilità non c’è proprio nulla.
 
Ma io sento che dietro a queste due vicende, così lontane nel tempo e così diverse nelle vicende individuali, c’è l’unica cosa veramente importante, sovente relegata in secondo piano rispetto ai guazzabugli da bottegai e agli sconti comitiva di codesto piccolo mondo antico dell’arte contemporanea: l’Uomo.
 
Narrate, uomini , la vostra storia. Artisti, uomini: non dategliela vinta. E tenete fede a voi stessi, senza cercare inutili conciliazioni col mondo.

 

 

 

[Kritikaria, la Rubrica di Emanuele Beluffi, n.02: "UN RITORNO. UN COMMIATO. UN’ECLISSI DELL’UMANO", pubblicato su Lobodilattice il 06-09-2010]

 

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