16 luglio – 24 ottobre 2010, Palazzo della Ragione, Milano
a cura di Marco Pierini e Isabel Tejeda
All’amica Sloan Rankin, che le domandava perché utilizzasse spesso se stessa come modello, la Woodman rispondeva “è una questione di convenienza. Io sono sempre disponibile”. La frase, ironica e schietta, ci aiuta a comprendere da un lato l’aspetto dell’indagine sull’Io e sulla propria intimità che contraddistingueva la sua ricerca, dall’altro la condizione di giovane artista adolescente che negli anni Settanta sosteneva da sola i costi di produzione del proprio lavoro.
Anticipatrice di tendenze e tematiche che connoteranno l’arte contemporanea negli anni successivi ed erede della tradizione artistica occidentale dell’autoritratto, Francesca Woodman colpì la comunità artistica per la maturità e la coerenza concettuale delle opere che creò in nove anni di intensa attività.
Il percorso espositivo segue le orme tracciate dalle sue serie fotografiche più significative, che si identificano con i luoghi dove sono state create e ripercorrono i passaggi essenziali della sua biografia: una ha per scenario Boulder, nel Colorado, datata agli anni della scuola superiore; un’altra riguarda l’intenso periodo di formazione presso la Rhode Island School of Design di Providence; infine, quella che fra 1977 e 1978 venne eseguita a Roma. New York, da una parte, e la natura incontaminata della MacDowell Colony nel New Hampshire rappresentano le fasi estreme della sua opera.
Completano l’esposizione cinque frammenti video, parte dei pochissimi realizzati dall’artista durante i corsi della RISD, recentemente restaurati e pubblicati dall’Estate. Testimonianza del lavoro performativo dell’artista, sono un utile strumento che ci mostra l’artista modella e regista al tempo stesso.
Quasi tutta la produzione di Francesca Woodman vive nel rapporto tra il proprio corpo, oggetto e soggetto degli scatti, e il proprio sguardo. Di sé non offre mai alcuna visione idealizzata, eroica, caricata di particolari significati; al contrario, la propria immagine è sempre inserita nell’universo delle cose, come fosse parte di esse.
Spesso, il corpo dell’artista si assimila con l’intonaco dei muri, gioca con la propria ombra, compare da porte e finestre, si nasconde tra i mobili e gli oggetti; la luce ne sfalda la consistenza piuttosto che esaltarla, oppure ne tornisce le forme purché siano sempre colte come frammenti, come particolari.
Francesca Woodman nasce il 3 aprile 1958 a Denver, Colorado. Il padre George è un pittore, la madre Betty una ceramista.
Tra 1965 e 1966 la famiglia Woodman trascorre un anno a Firenze, dove Francesca frequenta la seconda elementare in una scuola italiana. Rientrati negli Stati Uniti Francesca frequenta la scuola pubblica a Boulder, nel Colorado, e prende lezioni di pianoforte. Ad Andover, nel Massachusetts, sceglie di iscriversi nel 1972 all’Abbot Academy, una scuola privata per sole donne, tra i pochi licei americani con corsi d’arte. Subisce l’influenza di una delle insegnanti, la fotografa Wendt Snyder McNeill, che ritroverà poi alla Rhode Island School of Design di Providence.
A questo periodo risalgono le prime fotografie, stampate nella camera da letto trasformata in studio fotografico. Ogni estate la famiglia soggiorna ad Antella, vicino Firenze, in un casale immerso nella campagna che avevano acquistato nel 1969.
Tra 1973 e 1974 frequenta ad Andover la Phillips Academy e ha come insegnante di fotografia Don Snyder, fratello di Wendy Snyder McNeill. Torna in estate ad Antella con la famiglia.
Tra 1974 e 1975 frequenta la scuola secondaria a Boulder, diplomandosi nel giugno del 1975. Nel vecchio cimitero della cittadina universitaria esegue una serie di scatti che la ritraggono mentre attraversa una stele tombale. In estate torna ad Antella.
Dell’estate del ’76 è un gruppo di fotografie, sempre eseguite con l’autoscatto, dove il suo corpo nudo è immerso in un paesaggio desertico. A partire da settembre frequenta a Providence un’Accademia di belle arti: la Rhode Island School of Design (RISD). Aaron Siskind è tra i suoi professori, suoi compagni e amici Sloan Rankin, George Lange e Arlene Shechet. L’appassionano le fotografie di Man Ray, Duane Michals, Arthur Felling Weegee. Risiede in un grande appartamento semivuoto nell’edificio industriale di Pilgrim Mills, dove ambienta numerose fotografie. Appartengono inoltre al primo anno della RISD le serie Depht of field, Charlie the model, Door in abandoned house, Abandoned house, Space2, Polka dots, Spring in Providence.
Tra il 1977 e il 1978 è in Italia con l’amica Sloan Rankin per seguire i corsi europei della RISD che ha sede in Palazzo Cenci, nel centro di Roma. Conosce i proprietari della libreria antiquaria Maldoror, Giuseppe Casetti e Paolo Missigoi, che allestiranno la sua prima personale in Italia. Stringe amicizia con Sabina Mirri, Edith Schloss, Giuseppe Gallo, Enrico Luzzi, Suzanne Santoro. Sviluppa le serie Angels, già iniziata a Providence, e realizza le Eel series, la Serie del guanto (1977) e Self-deceit (1978). Del soggiorno romano sono anche alcuni autoscatti dove si ritrae nuda con il corpo sporcato da diverse sostanze (farina, pigmenti, gesso) che nella stampa in bianco e nero acquistano valore materico, a contrasto con la liscia compattezza dell’incarnato. Nell’autunno del 1978 torna a frequentare a Providence l’ultimo semestre della RISD e nel gennaio 1979 consegue il B.F.A. in fotografia e si trasferisce a New York. Trascorre l’estate a Stanwood, Washington, e stampa un gruppo di fotografie di dimensioni varie e con un insolito sviluppo orizzontale, che ripropongono il tema dei corpi nudi o vestiti in comunione panica con la natura. A novembre allestisce alla Woods-Gerry Gallery (RISD) la personale Swan Song, un omaggio a Proust, del quale legge l’opera completa. Nell’intenzione di affermarsi come fotografa sperimenta anche la fotografia di moda (Fashion photographs), ispirandosi al lavoro di Deborah Tuberville, tra gli autori ai quali manda i suoi dossier.
Nella primavera del 1980 lavora al Temple project, una sorta di ricostruzione della facciata dell’Eretteo, dove modelle avvolte da panneggi classicheggianti sostituiscono le cariatidi. Durante l’estate, come artista residente della MacDowell Colony (Peterborough, New Hampshire), sviluppa in alcune serie di provini a contatto il tema delle corrispondenze con gli elementi naturali: le sue braccia, rivestite di corteccia, sono rami di betulla; il suo corpo, ricoperto da tessuti fiorati, si confonde con il terreno. In questo periodo sperimenta anche le blueprints (cianografie), alcune delle quali furono esposte all’Alternative Museum di New York. Nel corso dell’anno partecipa a due mostre collettive presso la galleria newyorchese di Daniel Wolf, dove conosce i critici Peter Frank e Max Kozloff e il collezionista di opere surrealiste Timothy Baum.
Nel gennaio 1981 esce l’edizione a stampa di Some disordered interior geometries (Synapse Press, Philadelphia), uno dei sei quaderni fotografici progettati durante il soggiorno romano. Il 19 gennaio 1981 si toglie la vita.