Questa sera inaugura il secondo evento dello spazio di labRouge di via Meda. Dalla perfomance Intifada di settimana scorsa oggi espongo gli ex ragazzi di Brera del gruppo A.N.S.I.A. , reduci da una bella msotra allo spazio Bagutta di Milano, e dell’esposizione a Trezzo sull’Adda nel castello Visconteo. Gli artisti sono più numerosi, questa volta ognuno portava un solo piccolo lavoro, che vedrete in una composizione circolare sula parete dello studio di via Meda 45, che Thomas Berra ha aperto per coloro che hanno ancora cose da dire … e farci vivere.
Di seguito il testo della vecchia mostra, che spiega le modalità e la poetica di questi artisti dal perfetto rigore formale (hanno un stile e una tecnica minuziosa, quasi inquietante dalla profondità dei dettagli) e dai temi … ansiotici appunto.
“Il gruppo A.N.S.I.A | L’ansia della crisi. E la crisi dell’ansia. Allo spazio Bagutta sono in mostra Daniele Aimasso, Thomas Berra, Ciro Casale, Mauro De Carli, Elidon Mucaj, Stefano Ronchi, Riccardo Sangalli, Christian Schettino e Matteo Zinesi. Nove artisti di A.N.S.I.A. (Artisti Nati Surrealisti Immaginano Arte) accompagnati da quattro ospiti, Maric, Davide Giuseppe Mauri, Emiliano Rubinacci e Daniele Bros. Tredici artisti che in comune, oltre alla base grafica e pittorica, hanno anche il tema portante: un concetto di ansia, o angoscia, che diviene fil rouge di vite, lavori, esperienze e di un periodo assorbito giorno per giorno dai tredici che si fanno portavoce del loro momento.
Con un altro bagaglio comune, l’aver tutti studiato all’Accademia di Brera, dove si sono conosciuti sviluppando poi talenti e paure attraverso i loro strumenti, la pittura, il disegno, l’illustrazione, il video, in opere cariche di stridenti figure, sottofondi in bianco e nero, piccoli movimenti, angosce e debolezze. Senza più punti di riferimento, e senza nuovi spunti e stimoli dall’esterno, i “tredici”, devono puntare all’estremo, giungendo a un espressionismo a tratti surrealista, a tratti antico. Espressionismo nei volti e nelle figure, in pose decadenti e solitarie. Espressionismo nei titoli, nelle immagini e nelle parole. Espressionismo nei colori, che tendono ai toni scuri, ma con degli isolati casi di spot colorati. Come in De Carli, dove, dalla prevalenza del bianco e nero, sbucano figure rigide e stilizzate in punti di colore, dallo sfondo azzurro, alle punte di rosso scuro, o le case rosa e poi rosse. Un’Annunciazione dall’alto, una figura su un trono posata sopra il nulla, che veglia su case, persone e gesti dal rigido portamento, in una città che via via, spostandosi verso il lato sinistro, si fa più cupa e preoccupante. Elementi comuni che si ritrovano nelle composizioni come lo scheletro, la morte, che diventa costante presenza in alcuni lavori. Mucaj pone in totale disequilibrio un teschio con le corna, talmente in bilico da crollare e rompersi, mantenendo il suo pregio, l’essere oggetto d’oro, ma senza più uno scopo, perché appunto a terra, quasi distrutto. Animale ? Umano ? Ciò che rimane è la mensola vuota che lo sosteneva. Ancora lo scheletro è il soggetto nell’opera di Schettino: un teschio perfettamente delineato, con un corpo colorato dalle movenze futuriste e colori kirchneriani, dal chiaro titolo la Crisi della forma, che indica questo periodo dove le basi mancano e la forma, appunto, va in crisi. Non più scheletro ma autoritratto per Ronchi, che nel suo stile perfettamente minuzioso, ossessivo, e rigorosamente contorto, descrive se stesso (con cappello) in una figura dal doppio volto, unita da un corpo in torsione, a creare un ponte di espressioni e piccoli corpi, in una figura unica, senza inizio, né fine. Stile e poetica alla Giger in illustrazione, che delinea elementi e figure di un mondo altro che ritroviamo ancora nei volti inquietanti di Catched by life, dove Aimasso evolve i suoi pianeti di un’altra realtà, inserendo figure. La principale troneggia al centro della composizione senza arti, come imprigionata a un suolo irreale, che la trattiene dall’elevarsi verso l’alto, verso un pianeta da cui sbucano esseri, o radici, che pian piano tutto inglobano, con un equilibrato gioco di forme su uno sfondo a matita grigio, fatto di cerchi, tondi, pieghe e altri volti nascosti. Un lavoro complesso e tecnicamente impegnativo. Complesso il lavoro scultoreo di Sangalli, che affronta un mondoche non ha riscontri, creando un pianeta di luce frammentato, come in cerca di un’apertura, tanto forte da spaccare la superficie, ma avvolto da un tessuto nero, che lo racchiude, in un gioco tra alto e basso, di questa palla-universo ripetuta e creata da ceramica, resina, vetro e legno, che convivono nel doppio. Il volto non esiste per Berra in un trittico rigorosamente nero con tratti gestuali segnati con linee bianche. Tre pezzi di una storia tra una piramide, nella prima tela, e una figura umana esile solitaria nell’ultima, intervallate dal buio che, anche dal titolo Siamo alla frutta, non vuole lasciare aperte le porte. Una figura nella sua decadenza o, al contrario, nella sua rinascita, spogliata da tutto, che prosegue il suo cammino verso un angolo, o verso l’esterno. Di figure racconta anche Casale che, sopra una studiata composizione di ritagli di articoli di giornale (cronaca nera, sociale e politica: omicidi, situazioni estreme e orrori e crisi quotidiane), accenna tre grandi ombre. Figure umane dalla presenza scura e dal tragico destino, quello della morte mostrata dai tre cappi sovrastanti: un chiaro segnale di una scelta finale, sopra una realtà di immagini e scritte con poca speranza. Il percorso della mostra viene spezzato dal video di Maric, immagini, frasi, testimoni di un mondo di caos dove la Puissance de l’Image (la potenza dell’immagine) prevale sul resto. Immagini insistenti e incisive, polemiche sui muri e nelle strade, l’arte che cerca di farsi strada, ma il potere la sovrasta, come sovrasta tutto. Una propaganda per gli occhi e la mente che lascia ben poca libertà. La libertà che ci è tolta dall’ironico lavoro di Mauri, che ricostruisce, a metà strada della mostra, una situazione frequente di malessere di oggi, capovolgendola con una scritta: Ufficio di scollocamento. Ecco che le persone, spinte dal bisogno di trovare una collocazione nel mondo del lavoro, si ritrovano a seguire un cartello, un’entrata di un ufficio sopra delle scale che … portano al nulla, perché finiscono contro una parete bianca. Lo s-collocamento, il paradosso dell’illusione e della presa in giro. La presa in giro, riflessiva e dall’ironia “seria”, è la base del lavoro di Bros, il Progetto per modificare l’arte italiana secondo Argan, in cui l’artista dei graffiti, diventato adulto, riprende i libretti “sacri” dello storico dell’arte Giulio Carlo Argan, coprendoli con acquerello nero. Un gesto dissacratorio: il coprire le cose dette, scritte e studiate, magari per lasciare spazio ad altre idee, quelle nuove, sull’arte. Anche il lavoro di Rubinacci ha una forte ironia e impatto, ma con esito drammatico: una scultura colorata, inserita in una sorta di nicchia all’interno della galleria, un object trouvé dal significato cambiato, in negativo. L’artista scultore riprende un tritacarne, che sembra divertente perché colorato, e ci inserisce delle mani, suo elemento ricorrente, che, finite nel macchinario, si spappolano e deteriorano.L’evocativo titolo, Mi mangio le mani, innesca un altro spunto per una riflessione. E poi, in un altro piano dell’esposizione, scendendo, Zinesi ricrea il suo habitat: una complessa, viva, inquieta e stridente stanza in cui l’artista inserisce idee, disegni, ritagli, fotografie dell’estate passata, oggetti recuperati e cercati, figure tormentate, con cui l’artista convive, come in un cupo e surreale gioco. Nel complesso A.N.S.I.A. ricrea un insieme ricco di immaginario, talento e idee vivide, che, dai diversi punti di vista e chiavi di lettura, approdano a unosbocco positivo, dato da elementi di luce, colore, ironia (di immagini, concetti e titoli) che possono salvarci. “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate” (Inferno, Canto III) … per poi recuperarla.”