“Quando corro, semplicemente corro. In teoria nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto”. Haruki Murakami
Fare arte, stare nell’arte è un po' come correre una maratona, è come rispondere a uno stimolo interiore, silenzioso e preciso, che ci ingiunge di agire nella bellezza. E la ricerca della bellezza richiede un costante allenamento e uno stare in ascolto di energie interiori che si stratificano nel corpo e nello spirito. La pratica del correre può aiutarci a prendere le distanze dal caos e a ristabilire un contatto con le necessità del corpo. A purificare la mente nel corpo. Questo è l’atto che diviene oggetto della performance di Silvia Camporesi nell’ultimo dei suoi lavori intitolato La distanza canonica. Da qualche tempo il rapporto tra corpo e spirito è al centro della ricerca di Silvia, esploratrice attenta e profonda delle riflessioni di pensatori e di pensatrici come Simone Weil, Renè Guenon e Georges Ivanovič Gurdjeff. Con questo terzo atto si conclude un’ideale trilogia sulle campionesse che hanno sfidato i limiti del loro corpo nel nuoto, nelle arti marziali e ora nella corsa. Dopo Dance, dance, dance con la nuotatrice, Secondo vento con la karateka, ora l’artista si confronta in prima persona con la disciplina sportiva della corsa. In Dance dance dance, la prima tappa di questo viaggio, il liquido moto di un corpo femminile avvolto in una stola di seta rossa vive la sfida del respiro. L’apnea. Lo stato di apnea racconta l’incontro con se stessi. Con il proprio incoscio da sempre simboleggiato dall’elemento dell’acqua. La tappa successiva è Secondo vento. Nelle teorie di Gurdjeff il secondo vento è l’energia più forte cui l’essere umano può attingere, quando l’energia fisica è esaurita. Shaira Taha, campionessa europea di karate, esegue parti del kata Unsu (un combattimento simulato da eseguire con grande precisione) all’interno di una cella. Indossa una divisa da carcerato, su cui è impresso un numero palindromo 17971. Al culmine dell’esecuzione, un salto le permetterà di evadere dallo stretto perimetro della cella. Ne La distanza canonica ancora una volta la sfida non ha nulla di agonistico. Non ci sono concorrenti, né la ricerca di una conferma esterna. Al contrario si tratta di una competizione con se stessi. Una maratona, una gara di resistenza per chiarificare lo spirito e portarlo a maturazione. Correre per migliorare la propria tenuta spirituale, per spostare i limiti del corpo, segnare la traccia del nostro passaggio nell’orizzonte vuoto. Silvia attraversa paesaggi, corre nel biancore delle saline, sulle sponde del fiume, tra il verde di fitte boscaglie. Oltrepassa il fumo delle ciminiere, resiste alle asperità del terreno, all’attrito del vento. La sua gonna- medusa respira al ritmo della corsa. Si gonfia e si sgonfia come una membrana sottile, che prolunga idealmente quella dei polmoni sollecitati dalla corsa. Al termine del viaggio di fronte a lei una scala se ne sta sospesa tra terra e cielo, simbolo di un’unione da conquistare.
SIFR La distanza canonica - personale di Silvia Camporesi - a Roma dal 7 dicembre 2010 al 13 gennaio 2011- Z2O Galleria a cura di Valentina Ciarallo