All black | Il non-colore nell’arte
Nell’arte quando si parla di rosso è Tiziano, di giallo è Van Gogh con i suoi girasoli, il blu è Yves Klein, il bianco è rappresentato da tanti, può essere un Giulio Paolini, uno dei maestri dell’Arte povera, o perché no, qualche concetto spaziale o taglio di Lucio Fontana, oppure ancora le estroflessioni di Agostino Bonalumi … insomma il colore è fondamentale, e soprattutto è riconoscibile e riconducibile sempre a una sensazione, a un periodo, a un oggetto, un mood particolare …. E poi c’è il nero. Il nero c’è sempre stato, fin dai primi graffiti nelle caverne dove i simboli disegnati per comunicare erano o di uno scuro marrone, come l’hennè, o in grafite nera, ripresi successivamente (parecchi anni dopo) da tanti artisti che nella storia dell’arte hanno rielaborato il linguaggio primitivo dei segni, da A.R. Penck negli anni ottanta attraverso i suoi pittogrammi, fino a, facendo un salto indietro, Franz Kline, uno dei protagonisti dell’Espressionismo americano, e ancora l’italiano Alberto Burri, che bruciava sacchi di juta e tele dipinte che risultavano dunque proprio nere. Era il colore del fumo, insieme naturalmente al grigio. Il nero è eleganza. Il nero è lutto. Il nero è crudeltà. E nell’arte questi temi hanno da sempre fatto da comune denominatore per svelare significati, pensieri ed emozioni sviluppati su dei supporti diversi dove il non- colore ha sempre avuto il suo significato, mai per caso.
Il nero è il buio dei dipinti di Caravaggio, o delle ombre dei volti di El Greco. E’ il malessere dei corpi di Francis Bacon, ed è anche il quadrato di Ad Reinhardt, che, sempre nel periodo in cui l’Espressionismo americano rappresentava il movimento di punta del secondo dopoguerra negli Stati Uniti, ha ripetuto sempre lo stesso sconvolgente modulo: quadrato nero su quadrato nero, o croce nera su croce nera, per tutta la vita. Moduli neri ripetuti anche per Carl Andre, storico artista del Minimalismo americano che, partendo dalla seconda metà degli anni ’60, quasi di pari passo con l’opposta Pop art americana di Andy Warhol, grida vendetta contro la pittura e contro … il colore. Ecco che le forme più sintetiche e basiche si fanno strada nelle gallerie e poi nei musei. Modelli archetipi, come un cupo monolite kubrickiano. Materiali forti come il ferro, il piombo, l’acciaio, siluette solide e rigorose che richiamano cubi, parallelepipedi, pavimentazioni, e i toni erano quelli base: il bianco, il grigio, il bronzo e il nero. Il nero è anche il colore della paura. E’ uno dei toni dell’Espressionismo tedesco, dunque ritorniamo di qualche anno indietro, nei primi del novecento durante le Avanguardie artistiche, quando autori come Edvard Munch e Oskar Kokoschka rappresentavano una realtà spaventosa e spaventata fatta di volti angosciati, corpi emaciati e angoli bui. Una pittura a tratti più antica, quasi gotica. Ecco il Gotico dunque, uno stile che fiorisce nel 1250 e che, più tardi, viene affiancato ad un altro termine, ripreso poi ai giorni nostri. L’orizzonte è vasto, e un nome da cui si può partire è Edmund Burke. E’ stato il primo a parlare di Sublime (1757) come sentimento in bilico tra bene e male, o meglio, il male che fa provare il bene. Non il bello ma l’ “orrendo che affascina”, appunto. E il Gotico e il Sublime hanno spesso una patina nera di sfondo, come espressione artistica. C’è anche il Gotico bianco delle cattedrali in marmo, ma con la costante presenza di una nera oscurità del sentimento che lo vince. Anche riscontrabile in arte. Ed è importante. Alcuni artisti contemporanei hanno giocato con il Gotico nel panorama contemporaneo, si pensi all’arte Low Brow (o Pop Surrealismo), quella sviluppata dal suo maestro Mark Ryden, che si può affiancare al Sublime contemporaneo in generale, per temi, perfezione estetica, ma grande inquietudine nel risultato. Nomi contemporanei come Victor Castillo, Ray Ceasar, Camille Rose Garcia, o gli italiani sulla scia dell’illustrazione, come Bafefit e Shanti Ranchetti. Tutto torna, anche l’illustrazione dunque, in artisti che riprendono perfettamente lo stile dark, in alcuni casi cupo, in altri falsamente sereno, che nel cinema riporta al Gotico di un grande autore come Tim Burton. Dal cinema fantasy a quello d’arte con il nero delle illustrazioni del sudafricano William Kentridge, o dei disegni dell’inglese contemporanea Tracey Emin, che in una sorta di quaderno di appunti stridenti il tratto è sempre nero, per ricordare traumi passati.
Pochi nomi per un breve percorso monocromatico di autori, opere, sentimenti e creazioni dedicato al nero, colore dell’eleganza e delle origini, della paura e dell’oblio, ma anche dell’ordine e del rigore. Una linea nera sempre necessaria, nel bene e nel male.