“Dirompente e brutale” sono solamente due tra gli aggettivi che Diego Sileo, curatore della mostra insieme a Eugenio Viola – il giovane e preparato duo che insieme aveva già realizzato la mostra di Marina Abramovic sempre al Pac – utilizza in conferenza stampa per descrivere il lavoro della Galindo (Guatemale City, 1974). Brutale e dirompente perchè il contesto in cui la giovane artista sudamericana è nata e cresciuta lo richiede. Il Guatemala è stato un cruento e surreale palcoscenico di una guerra civile durata 60 anni, dove sono state uccise, torturate, violentate, umiliate circa 1770 esseri umani, di cui molte donne. Il lavoro della Galindo risulta dunque forte e violento d”impatto per rappresentare, seppur in minima parte, il dolore e le angherie subite da tutto un popolo. La Galindo diviene dunque portavoce di un periodo lungo, di una storia intera di una civiltà e di un popolo, quello Maya, prezioso per le sue tradizioni e pacifico, ma obbligato alla guerra e una lotta violenta per la sopravvivenza.
Il Pac di Milano mette dunque in scena una documentazione completa di un percorso lungo nonostante la Galindo sia, come definito da Viola, “di middle career”, ovvero a metà della sua carriera artistica. Un percorso che, sempre secondo le parole del curatore, partendo dal micro, dal dettaglio, compone macromondi di violenza e paura, portando il pubblico ad una “visione per immersione” nel tema. La mostra è divisa in 5 macro sezioni tematiche: Politica, Donna, Violenza, Organico e Morte.
La mostra è accompagnata da due saggi firmati dai curatori – Regina José Galindo. Necropotere, di Diego Sileo e L’estetica sacrificale di Regina José Galindo. Un percorso attraverso le “azioni italiane” di Eugenio Viola, dove viene sottolineata l’importanza dell’Italia come sfondo di diverse azioni e mostre dell’artista, dalla Biennale di Venezia già con Harald Szeeman e, successivamente nel 2005 quando vinse il Leone d’oro per la nota performance in cui percorre la città di Venezia con i piedi nudi pucciati nel sangue, fino alla sua collaborazione con la gallerista Ida Pisani -; e uno scritto firmato da Emanuela Borzachiello, che da anni lotta contro la condizione della donna in Sud America, dal titolo Femminicidio: la potenza della parola, dell’immagine e della pratica.
Un percorso da assorbire lentamente, ma che lascia dei segni forti, soprattutto per chi prova, anche solo per pochi secondi, ad immedesimarsi nella disperazione della lotta della Galindo. Questa sera alle 19.00 ci sarà una performance inedita, realizzata per Milano. Dunque un ringraziamento al Pac che a Milano riesce a portare artisti complessi – in questo caso che rappresentano quel discorso dell’arte attraverso il corpo come mezzo di comunicazione e interazione con il pubblico, iniziato nel 2009 con vanessa Beecroft, che ha successivamente visto personaggi come Franko B, Marina Abramovic e oggi la minuta, ma energica e preziosa Galindo -.