L’Europa ha una vergogna segreta, che nessuno aveva avuto il coraggio di studiare e raccontare. Durante la Seconda guerra mondiale, agli ordini di Hitler, nella Wehrmacht e nelle ss non combatterono soltanto cittadini tedeschi, ma anche francesi, inglesi, belgi, danesi, russi, polacchi, lituani, finlandesi, norvegesi, rumeni… E diversi arabi, al seguito del gran muftì di Gerusalemme, amico personale del Führer. Per l’edizione italiana del suo saggio, Christopher Hale ha arricchito il suo studio con un capitolo dedicato agli italiani che tra il 1943 e il 1945 vennero inquadrati nell’esercito tedesco, volonterosi carnefici che contribuirono a insanguinare il nostro paese. Nel formidabile esercito nazista combatterono tedeschi accecati dal nazionalismo di Hitler (che peraltro non era tedesco, bensì austriaco), ma al suo interno furono accolti anche i più feroci antisemiti di tutto il continente, sotto le insegne di un’ideologia razzista che sognava l’instaurazione di un Reich millenario. Furono in molti infatti ad arruolarsi ed ebbero un ruolo chiave nel genocidio degli ebrei e nella lotta contro i partigiani, grazie alla loro conoscenza dei territori occupati. E la loro rete di complicità, prima come massacratori e poi come fuggiaschi, getta la sua ombra fino ai nostri giorni, nell’«internazionale nera» attiva dalla fine della guerra a oggi. (Dalla scheda Amazon de I Carnefici Stranieri di Hitler)
Settimana scorsa vi parlavo della mia volontà di pianificare un nuovo romanzo ucronico.
Oggi, anche se il progetto resta al momento solamente sulla carta (vale a dire in due paginette di appunti sparsi), voglio presentarvi il libro da cui è nata la mia ispirazione.
I Carnefici Stranieri di Hitler, di Christopher Hale, pubblicato per l’Italia da Garzanti, è un esaustivo e massiccio volume che tratta l’affascinante tematica delle Waffen-SS internazionali volute da Himmler, nel tentativo di creare un’Europa unita sotto i valori e le ideologie del nazionalsocialismo e dello spirito ariano e germanico.
Fa strano usare questa terminologia, oggi abusata: Europa unita. Eppure è vero che il Reich fu il primo “laboratorio” di unificazione del Vecchio Continente, chiaramente basato su un’idea abominevole ed elitaria. L’esperimento, ovvero la guerra stessa, ebbe il suo culmine non tanto nell’annessione di stati sovrani, bensì nel diffondere l’ideologia che voleva la costruzione di un popolo “puro”, pan-germanico, senza limiti di nazionalità, bensì solo di purezza razziale.
Parlo, come già detto, delle Waffen-SS. Le unità combattenti dei pretoriani di Hitler contavano circa 350.000 uomini nel 1943, e più della metà di essi non erano tedeschi.
Il libro che vi presento oggi è quanto di più completo esiste in materia, fatta eccezione per i saggi di natura prettamente militare.
Leggerlo si è rivelato una miniera di informazioni e, appunto, una ricca fornitura di spunti creativi.
Il progetto ucronico a cui mi piacerebbe lavorare si incentra soprattutto su uno di questi volontari stranieri delle SS, l’uomo che le cronache definiscono “il figlio prediletto di Hitler”, Leon Degrelle.
Belga di parte Vallone, anticomunista, politico, affabulatore, scrittore, giornalista, avventuriero, soldato.
Degrelle era – perdonatemi l’indelicatezza – un vero figlio di puttana, di quelli capaci di adattarsi alle evoluzioni del mondo e del tempo, per stare sempre a galla.
Amava la visione hitleriana della politica, anche se in realtà i nazisti ritenevano che i belgi “giusti” fossero i Fiamminghi, non certo i Valloni.
Degrelle, entusiasta e affamato di potere, fondò un movimento cattolico di estrema destra, il Rexismo, e fece di tutto per entrare nelle grazie di Hitler, nonostante il suo partito fosse tutto sommato di secondo piano, anche durante l’occupazione tedesca del Belgio.
Quando la situazione bellica della Germania iniziò a peggiorare, Degrelle si arruolò nella legione di volontari Valloni, inquadrati nei ranghi delle Waffen-SS. Nonostante fosse un populista, un personaggio noto, con amicizie importanti, accettò di combattere dapprima col ruolo di soldato semplice, anche se ben presto il suo carattere e la sua ambizione lo portarono a comandare la legione e a riformarla a suo piacimento.
A dispetto di tutto, Degrelle fu quantomeno uno che non si tirò mai indietro, sul campo, tanto da meritarsi medaglie su medaglie, e l’ammirazione di Himmler per la determinazione con cui combatté sul fronte russo.
L’apice della carriera di Degrelle fu un tardivo incontro a due col suo idolo, Adolf Hitler. Era il febbraio del ’44, e la guerra aveva preso una piega davvero pessima per i nazisti. Hitler era malato e disperato, ma fu lieto di conoscere un valoroso che, senza essere né tedesco né fiammingo, combatteva con tanta solerzia per la causa nazionalsocialista.
Anche nel ’45, a guerra oramai persa, gli uomini al comando di Degrelle si distinsero per la tenacia a cui si aggrappavano alla vita. Le battaglie combattute in Pomerania furono dei veri e propri macelli, ma gli uomini comandati dall’avventuriero vallone, seppur male armati e in netto svantaggio numerico, fecero vedere i sorci verdi ai sovietici.
Tenendo fede alla sua fama di sopravvissuto, Degrelle riuscì a sfuggire alla cattura anche quando il Reich era oramai alla resa. Passando per la Norvegia, rubò un aereo leggero da un hangar poco custodito e volò fino in Spagna, dove si salvò perfino dallo schianto del velivolo. Oramai era in salvo, in terra franchista, lontano dai processi che riguarderanno molti altri collaborazionisti rei di aver aiutato i macellai nazisti.
Nei decenni a venire Degrelle diventò una sorta di idolo di tutti i neonazisti in cerca di una figura di riferimento, e al contempo visse una vita agiata, fino a morire di vecchiaia nel marzo del 1994.
Un personaggio talmente singolare, il nostro Leon, tanto da risultare il candidato ideale per una storia ucronica.
Sarà pericoloso “maneggiarlo”, ma vedremo cosa ne verrà fuori.
Ammesso che da tutto ciò nasca effettivamente un racconto, un romanzo, o qualcosa del genere.
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