Il calcio italiano è come l’editoria italiana

Weah e Baggio celebrano il gol del fantasista rossonero durante la gara vinta per 4 a 2 dal Milan sul Goteborg ieri sera a San Siro. (Ap Photo/Carlo Fumagalli)

Pochi giorni fa ho avuto modo di fare una piacevole conversazione con un amico che si occupa di giornalismo sportivo, e che è stato anche autore di un paio di saggi sul calcio. Niente nomi, visto che la nostra è stata una chiacchierata informale, non un’intervista.
Tra le tante cose interessanti emerse dal nostro scambio di pareri è emerso un parallelismo piuttosto strano – ma a mio parere azzeccato – tra il calcio italiano e l’editoria italiana.
Entrambi i settori erano, fino a un decennio fa, vitali, ricchi e pieni opportunità. Erano parti fondamentali dell’economia dell’entertainment italiano.
Entrambi vivono un presente fatto di ristrettezze economiche, di scarsi investimenti, di disinteresse generalizzato.
Ma quali sono i fattori che hanno portato i due settori a questo tracollo?
Vi elenco unicamente quelli che valgono sia per il calcio che per l’editoria.
Poi mi saprete dire.

  1. Calcio italiano ed editoria italiana non hanno saputo programmare un futuro a lungo termine. Hanno sfruttato i momenti d’oro, scialacquando denaro come se non ci fosse un domani (e infatti hanno fatto sì che il domani non arrivasse mai).
  2. Non hanno investito sui giovani di talento. Sia i dirigenti del mondo del calcio che quelli dell’editoria “grande” sono dei vecchi dinosauri. Hanno dalla loro talento e l’esperienza, ma quasi sempre non sono al passo coi tempi, né coi nuovi modelli di marketing e con due settori in rapidissima evoluzione. Ciò che risultava vincente nel calcio e nell’editoria degli anni ’90 non vale più nulla nel 2016. Sono cambiati gli schemi, gli stili, i competitor. Adriano Galliani, tanto per fare nome, vale un Sergio Altieri: entrambi sono ottimi professionisti che dovrebbero andare in pensione.
  3. Non si fa scouting. Nel calcio non si investe su giovani da comprare a basso costo e da far crescere fino all’inserimento in prima squadra. Nell’editoria si punta sui nomi che vendono alla cieca (King, Volo, Camilleri, Grisham, Cussler, Rollins etc), oppure su quelli che rappresentano la moda del momento (i vari pseudonimi che pubblicano paranormal romance). Questa seconda opzione mi ricorda le squadre che spendono soldi sulla nazione – calcisticamente parlando – che “tira” in una determinata sessione di calciomercato. L’Ecuador arriva quarto ai mondiali? Le squadre di Serie A si affrettano a comprare sconosciuti terzini ecuadoregni. Una soluzione comoda, ma spesso fallimentare sul medio/lungo periodo.
  4. Calcio ed editoria non investono soldi su nulla. Ok la crisi, la spending review e tutto quello che volete, ma il detto della nonna “chi meno spende più spende” a volte è vero. Volete degli esempi?
    Calcio – Non si spende per i vivai e le squadre non producono più giocatori, perciò devono comprarli altrove, spesso a prezzi esagerati, in rapporto con il valore reale di certi mediocri mestieranti.
    Editoria – Non si spende per editing e grafica, perciò questi due lavori vanno a scomparire, abbassando qualitativamente il livello dell’offerta.

    Quando le big andavano bene, anche le piccole si permettevano dei lussi.

    Quando le big andavano bene, anche le piccole si permettevano dei lussi.

  5. Lo scambio di marchette è come l’accoppiamento tra cugini.
    Calcio – In mancanza di soldi, le squadre continuano a scambiarsi giocatori in prestito (il primo esempio che mi viene in mente è Alessandro Matri, ma potrei anche citare Boriello, o Balotelli). Questo non crea un sano flusso di denaro, non crea mercato, non produce alcuna programmazione di un team sul lungo termine.
    Editoria – Venti/trenta autori continuano a scambiarsi recensioni e complimenti in pubblico a vicenda, ostracizzando tutto il resto. Chiamala, se vuoi, paura della concorrenza. Il risultato è una bolla che all’esterno sembra fatta di persone fighe e di gran qualità, ma che, numeri alla mano, conta poche centinaia di vendite per ciascun autore.
  6. I media sono di parte, e non producono sana informazione.
    Calcio – Sono pochi i giornali e le trasmissioni che decidono di non fare del tifo, bensì della cronaca, e magari di fornire delle opinioni ragionate e oggettive (la migliore di tutte, in questo senso, è Radio Sportiva). In linea di massima le TV e i quotidiani si schierano con chi paga loro lo stipendio, e spesso lo fanno in maniera “a tappetino”.
    Editoria – Non esistono di fatto portali equidistanti e oggettivi (salvo piccole realtà indipendenti). I grossi blog e le webzine sono tutte, e dico TUTTE, house organ travestite da siti d’informazione editoriale.
  7. La distribuzione è a favore delle solite “squadre”.
    Nel calcio italiano i diritti TV vengono spartiti in parti assolutamente non uguali tra le società di serie A. Quelle grandi si prendono la fetta più grande, le altre le briciole. Altrove, per esempio in Premier League, la divisione dei diritti televisivi è assai più equa. Questo rende più competitive anche le “piccole”. Volete un esempio concreto? Ecco i dati riferiti alla stagione 2015 e ai principali campionati europei.
    Editoria – La distribuzione fa sì che solamente poche case editrici riescano a piazzare le loro copie nei grandi store, lasciando pochissimo spazio a tutte le altre. E, in un paese poco informato come il nostro, se non ti si vede di fatto non esisti. Qualcosa sta cambiando col mercato degli ebook ma, anche qui, ci sono case editrici digitali che operano da “incursori” per le grandi CE del cartaceo, cercando di saturare il mercato, spesso con prodotti di dubbia qualità. Un esempio? Delos Books, che sforna ebook a ritmo quotidiano, in più generi e settori, spesso non distinguendosi qualitativamente dal self publishing di fascia medio-bassa.
Udinese 97/98.

Udinese 97/98.

Che ve ne pare?
A questo punto sorgono delle domande curiose: in quale campionato giocano gli autori indie? E i piccoli editori?
Ma, ancora: le squadre piccole (che spesso sono le rivelazioni dei campionati in cui qualche big fallisce), possono vivere a lungo, se le grandi finiscono in perenne miseria?
Non sarebbe meglio risanare l’intero ambiente?


(A.G. – Follow me on Twitter)

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