L’Occhio Sotterraneo

Pochi giorni fa, come saprete, è venuto improvvisamente a mancare Sergio “Alan D.” Altieri, uno dei nomi più conosciuti e attivi nella letteratura italiana di genere, ma anche editor, traduttore, sceneggiatore, curatore etc etc.
Non credo stia a me presentarvelo: se non lo conoscete siete sul blog sbagliato, oppure avete vissuto in bunker antiatomico dai tempi della Crisi dei Missili di Cuba.
Per qualche anno, tra i novanta e i primissimi 2000, ho letto quasi tutto ciò che ha scritto Altieri, apprezzandone lo stile cupo, il taglio action e dettagliatissimo delle sue storie, in cui non mancano mai richiami alla fantascienza distopica, con uno sguardo al futuro possibile più immediato.
Poi mi sono allontanato dall’universo altieriano, allargando o modificando i miei gusti letterari.
Capita ed è normale che sia così.
Ditemi: voi leggete ancora gli stessi libri di vent’anni fa? Non dico che non possa capitare, ma non è né scontato né così frequente.
Ciò detto mi piace ricordare Sergio Altieri con quello che per me è il suo romanzo migliore.
Uno stand-alone autoconclusivo, tra l’altro, slegato da saghe e collane: L’Occhio Sotterraneo.

Karlsruhe, Germania Ovest, lungo le rive del Reno: in una notte senza stelle ha inizio l’ultima battaglia. In centinaia hanno raccolto l’appello degli ecologisti e ora aspettano davanti al mostro l’inizio dello scontro. Karlsruhe-Heimer, l’enorme centrale nucleare protetta da un’immensa testuggine di poliziotti in pieno assetto di guerra, attende l’assalto. Ambientato in una Germania sull’orlo del baratro socio-economico, questo romanzo affonda i suoi artigli nel cuore stesso delle paure ancestrali di ogni cittadino d’Europa, dai castelli della Baviera un nuovo fuehrer si appresta a raccogliere la bandiera uncinata del Terzo Reich. Ma questa volta l’organizzazione è solidamente radicata ed è in grado di concepire piani eversivi di portata planetaria. Un’ombra riemerge dal passato della notte lungo le sponde del Reno, un’ombra che ha abbandonato per sempre la sua identità, travolta dalle sanguinose cariche della polizia federale. Kurt Dehn è un codice Jericho, il suo nome è inserito in cima alle banche dati delle Nazioni Unite, a Karlsruhe ha visto infrangersi il suo desiderio di giustizia, il suo ritorno coincide con l’inizio di una vera e propria mattanza nel cuore di Monaco. Quando il secondo sole farà la sua apparizione nei cieli della Terra, allora sarà l’inizio della fine.

Romanzo cupo e riuscitissimo, nel suo comporre tassello su tassello, fino al finale cinematografico e memorabile, L’Occhio Sotterraneo racchiude, a parer mio, tutte le tematiche care ad Altieri, e sviluppate poi in lavori più complessi e in saghe che si sono sviluppate su un arco temporale molto ampio.
L’Occhio Sotterraneo è un thriller con pochi eroi e molti personaggi in chiaroscuro. È anche una storia che non offre comode certezze su come, alla fin fine, il bene vinca sempre (perché spesso e volentieri non è così, non nella realtà). Questo libro è infine un esercizio di geopolitica – per quelle che era la situazione mondiale del 1983, l’anno di pubblicazione – che ancora oggi, seppur in uno scacchiere completamente cambiato, mantiene il suo fascino.

Da buona distopia, l’intera storia procede sul triplice asse del declino energetico, ecologico e politico del genere umano, in una corsa che, se dovesse accelerare anche nel mondo reale, difficilmente verrebbe fermata.

A quasi trentacinque anni dalla sua messa in vendita L’Occhio Sotterraneo resta un thriller fantapolitico e distopico molto godibile, ammesso che vi piacciano le trame e le atmosfere di un certo tipo.
Ad Altieri piacevano, tanto che ne ha elaborate per anni.
Il linguaggio è, al solito, ricco di dettagli, ma più fluido rispetto ad alcuni degli ultimi lavori di Altieri, a mio parere troppo esagerati nell’uso di slang e di espressioni gergali.
Come già dicevo, mi sono allontanato dall’action thriller altieriano (sì, la sua produzione merita un neologismo), sia come lettore che come autore, ma senz’altro qualcosa è rimasto dentro, dei miei anni in compagnia di ciò che scriveva e di come lo faceva.

Purtroppo la vita ci riserva quasi sempre brutte sorprese – la morte di un autore di soli 65 anni, ricco di energia e di progetti rientra appieno nella categoria – ma uno scrittore continua a vivere in ciò che i lettori (oltre ai suoi cari) ricordano di lui.
Forse è troppo poco, ma credo che in fondo a ciascuno di noi, che ci occupiamo di narrare storie, questa certezza sia in qualche modo consolatoria.


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