tutto quello che è normale, nel senso di concluso, facilmente comprensibile, circoscritto nella sua forma generale, ci avvince, ci attira. la normalità il più delle volte la possiamo vedere e fruire solo nella più grande finzione. la finzione che si propone di proporci la normalità come via di fuga o (che è più o meno lo stesso) di identificazione è il peggior nemico del pensiero. noi ci sottoponiamo ad una specie di processo di identificazione con questa normalità alla quale non apparteniamo e di cui non facciamo parte (ci dispiace di non farne parte, vorremmo farne parte perché è comprensibile appunto, rassicurante, appunto) ma di cui è in un certo senso importante che desideriamo appartenere. perché? perché la complessità è molto più difficile da rappresentare e perché è scomoda da maneggiare. la finzione è necessaria, ma in teoria dovrebbe essere una sintesi, non un appiattimento. sta lì la differenza. la sintesi moltiplica i sensi e i significati, lo fa in modo misurato, architettato, apre alla riflessione tramite, magari, l'emozione o lo stupore, l'appiattimento invece è un grattare la testa, un dondolare su e giù così tanto per dondolare per dire cosa hai fatto? niente di speciale, ma mi sono dondolato un po'. meglio che niente va, coi tempi che corrono.