Il 15 luglio 1606 a Leida, in Olanda, nasce Rembrandt Harmenszoon Van Rijn. Ciclicamente questa data viene ricordata. Un segnale importante lo si deve a Google per due giorni ha dedicato all’artista la sua pagina di apertura con un “doodle”. Come pochi, anzi pochissimi, Rembrandt ha influenzato l’arte e la cultura in generale, lasciando un nuovo, diverso e più reale modo di vedere le cose.
Nei dipinti, nei disegni e nelle incisioni ha sviluppato, seguendo il mito caravaggesco sull’applicazione uso delle luci e dei soggetti, uno stile unico e innovativo dell’uso delle ombre, dei chiaroscuri, nella cura dei dettagli – come i vestiti e i gioielli agli inizi nei ritratti, e poi i volti e i gesti – scioccando i suoi contemporanei rifiutandosi di ritrarre personaggi nobili, o comunque borghesi, per concentrarsi sul reale, e dunque sul povero e sul vissuto. I volti della gente comune, della gente bisognosa, per Rembrandt descrivevano il suo periodo e la vita tangibile che gli girava intorno.
Un rivoluzionario che per il cinema non poteva non essere fonte di ispirazione. Sulla figura di Rembrandt ci sono almeno tre titoli che fanno storia: L’arte e l’amore di Rembrandt, (1936 ) di Alexandre Korda; Rembrandt (1949) di Gerard Rutten e ancor Rembrandt (1999) di Charles Matton .
Il Rembrandt più “antico”, quello di Korda, fu interpretato da Charles Laughton, che si era totalmente immedesimato in questo personaggio maledetto, dalla vita tormentata, che si allontana dalle sue basi di borghese benestante e che, scegliendo la strada della pittura, e di una pittura di rottura, via via perse tutto, guadagnandosi una fama positiva (in Olanda lo conoscevano tutti) solo tardi, dopo la sua morte. Rembrandt definisce la pittura come “die meeste ende di naetuereelste beweechgelickheijt” (il “Il movimento più grande e naturale“). Dunque la sua arte, il suo gesto, e la sua poetica rappresentano qualcosa di istintivo, di non costruito. In un precedente intervento avevo già scritto che uno dei film più pittorici della storia del cinema è Dies Irae. “È legittimo dire che quel titolo possiede una doppia chiave pittorica, quella “autonoma” diciamo così, come campione dell’espressionismo, e quella “ispirata”, come opera che si rifà a dei modelli figurativi. La produzione di quel film è un vero master sul cinema come pittura e sul rapporto fra la pittura e il cinema […] Anche in Quarto potere lo stesso Welles esaspera una riunione di redazione fra chiari e scuri drammatici, alla Ivan il terribile. Ma si sa, a Welles era riconosciuta una forte franchigia. Il suo non era errore, era anarchia geniale. Per Dies Irae il regista diede un compito non semplice al suo direttore della fotografia Carl Andersson. Gli disse: “Voglio che il film abbia esattamente le immagini del suo tempo, nell’architettura, nelle facce e nei costumi. E voglio che le luci, e le ombre, non solo accompagnino i personaggi nel chiaro o nello scuro, ma esaltino i loro sentimenti, l’infelicità, il dolore, l’amore, l’infedeltà, la menzogna, la mistica, la paura e il terrore”. Andersson era uno svedese di Stoccolma con un back ground singolare, raro. Dopo aver lavorato come operatore nel suo paese, trasferitosi in Danimarca, negli anni Trenta si era specializzato in shorts pubblicitari. Nulla dunque di più diverso dall’estetica di un Dreyer, ma l’operatore aveva anche una profonda cultura pittorica, insomma era titolare di un mix che poteva produrre un risultato particolare. Alle indicazioni di Dreyer rispose con un nome: “Rembrandt”. Studiando l’opera del pittore prendevano appunti. Dopo molta dialettica selezionarono tre quadri: “La lezione di anatomia del dottor Tulp”, “Ritratto di Cornelius Anslo e di sua moglie Altje Schouten” e “I sindaci dei drappieri”. I quadri si trovavano rispettivamente in musei dell’Aja, di Berlino e di Amsterdam. “. Molti fotogrammi saranno semplicemente dei Rembrandt in bianco e nero. La lista di influenze sarebbe lunga. Basti pensare all’espressionismo nel cinema, o al nuovo ritorno al bianco e nero di oggi.
Ma bastino le biografie e due autori come Dreyer e Welles per rappresentare un autore che rappresentava la vita attraverso ombre, oscurità e confusione (cit. da Rembrandt di Korda “I can’t see nothing but shadows, darkness and confusion”). da Mymovies.it 17/07/13