Catania Art Gallery
Presenta
Silvia Argiolas – Il giorno finisce presto
a cura di Ivan Quaroni
“Qualsiasi esperienza profonda della mia vita è il risultato di uno sforzo costante per stimolare la mia immaginazione, ampliare i suoi limiti, apprenderne il potenziale terapeutico e trasfiguratore”. (Alejandro Jodorowsky, Psicomagia)Gli artisti progressivi, evolutivi, sono una rarità. La maggior parte di essi sviluppa una sorta di accidia intellettuale e stilistica ed spesso è incline alla ripetizione sintattica e grammaticale nel linguaggio, come pure nel modus operandi. Tuttavia, una volta in possesso di una sigla stilistica, la tendenza alla reiterazione può diventare motivo di successo oppure generare pericolose forme di stagnazione. Silvia Argiolas è, invece, una di quelle pittrici in costante trasformazione, per le quali appare convincente l’applicazione del termine “ricerca artistica”. In poco più di cinque anni, il suo linguaggio pittorico è cambiato radicalmente, muovendo da una figurazione schietta, di matrice fantastica, verso una più originale forma di espressionismo, in cui si mescolano soluzioni sintetiche e apporti gestuali, riduzioni cromatiche e progressive riformulazioni del rapporto tra forma e colore. Anche dal punto di vista tecnico, l’artista ha ampliato notevolmente la gamma dei materiali, introducendo nella tavolozza smalti, spray, carboni e inserti estranei alla tradizione della fine art, come nel caso dei gel e dei siliconi con glitter, peraltro applicati sulla tela con assoluta parsimonia. Questa sorta di “tensione evolutiva”, che qualifica l’approccio di Silvia Argiolas, contribuisce a rendere ogni nuova serie di opere un episodio unico, difficilmente reiterabile.
I lavori del ciclo intitolato “Il giorno finisce presto” si differenziano, infatti, da quelli precedenti per la presenza di grafemi e sintagmi inediti. Ad esempio, l’inserimento di geometrie sghembe nel corpo dei personaggi, l’annullamento di alcune fisionomie, in certi casi sostituite da maschere circolari, così come l’estrema rarefazione della descrizione paesaggistica e la sua riduzione a pochi, eloquenti segni, sono i cardini di una grammatica nuova che, in sintonia con le ricerche di altri artisti internazionali, tende a fondere elementi figurativi e astratti. In altre parole, sembra che nella ricerca di Argiolas, l’attenzione verso le potenzialità del linguaggio pittorico si divenuta più stringente rispetto alla necessità di una rappresentazione facilmente decodificabile. Ciò non esclude la presenza di un tema, di un racconto intorno al quale s’incardinano i motivi tipici della sua iconografia. Semplicemente, il tema resta sottotraccia, come un prerequisito, un elemento in fondo pretestuoso, sebbene decisivo a innescare l’indagine di nuovi paradigmi visivi.
Piuttosto, osservando la progressione stilistica dell’artista nell’arco di un solo lustro, è possibile ravvisare nel climax emotivo, ossia in quell’atmosfera visionaria e sinistra che pervade le sue opere, un solido elemento di continuità. Non è, quindi, la specificità del tema a caratterizzare i diversi cicli pittorici dell’artista, ma la coerenza dell’umore, insomma del mood, come direbbero gli anglosassoni.
Silvia Argiolas si definisce un’attenta osservatrice della condotta umana, delle manie e delle ossessioni, degli slanci e dei conflitti interiori nel nostro tempo. Protagonisti delle sue opere sono personaggi ibridi, dalla sessualità indefinita, figure che incarnano pulsioni e istanze emotive, topoi psichici, più che persone in carne e ossa. Anche i suoi paesaggi, teatri di curiosi e misteriosi rituali, sono il frutto di una proiezione interiore, di una sorta di metaforica traslazione di stati d’animo. Si potrebbe dire che sono luoghi dello spirito, dove la natura incarna l’aspetto più selvaggio e inconfessabile dei moti dell’animo.Di fatto, Silvia Argiolas esprime la meraviglia del mondo, liberando energie represse o latenti. La sua pittura può essere considerata come una sorta di esorcismo, come un atto catartico che affida alla rappresentazione visiva l’alto compito di rigenerare lo spirito. Qualcosa di simile alla psicomagia di Alejandro Jodorowsky, una terapia panica, alternativa alla comune psicologia, che confonde la realtà con l’immaginazione per il tramite di una ritualità complessa, che salta gli steccati della logica razionale e attinge alle più remote e sinistre – ma anche indubitabili – verità dell’inconscio.
Il giorno finisce presto, titolo ripreso da un dramma teatrale giovanile di Ingmar Bergman, è un progetto nato da una riflessione dell’artista sulla solitudine e la noia, ma anche sul trascorrere del tempo nella dimensione dilatata della psiche, dove aleggiano inquiete larve, minacciosi spettri e mostruose figure di canidi dalle fauci spalancate. Attraverso una pittura dai toni forti e dai colori acidi, che intervalla densi grumi materici e scabre scarnificazioni, Argiolas mette in scena un dramma popolato di eroi violenti e autodistruttivi, ministri di un culto efferato, di una liturgia dissoluta, che equipara vittime e carnefici. Il suo è un teatro di crudeltà e afflizioni, declinato in una sequela di atti unici, simili, per certi versi, alle formelle medioevali con le raffigurazioni dei supplizi infernali, ma a differenza di queste, privi di ogni sottinteso moralistico. “Mi pongo di continuo domande sui comportamenti umani”, confessa l’artista, “senza però esprimere alcun giudizio, perché non voglio essere io a distinguere i buoni dai cattivi. Un compito che, al limite, lascio allo spettatore delle mie opere”. Non è un caso, infatti, che i suoi psicodrammi paiono consumarsi in un clima sorprendentemente festoso, di orgiastica comunione panica, che quasi contrasta con la truce lascivia dei personaggi.
A dirla tutta, Silvia Argiolas dipinge antinomie che spezzano la consecutio logica del racconto per far prevalere la sintassi di un linguaggio che parla direttamente al cuore e ai sensi. E così, la geometria delle forme, l’incisività del segno, la sicurezza del gesto e l’alchimia dei colori prendono il sopravvento sui significati e i contenuti presunti dell’opera. Alla stregua di altre pittrici contemporanee – penso soprattutto all’americana Dana Schutz e all’ingese Chantal Joffe – Silvia Argiolas rivendica l’unicità del dominio operativo della pittura, la sua assoluta autonomia da ogni forma di narrazione. Si tratta di un atteggiamento fondante, che non implica necessariamente l’adesione ai dettami di un rigido formalismo. Come affermava Picasso, “Dipingere non è un’operazione estetica: è una forma di magia intesa a compiere un’opera di mediazione fra questo mondo estraneo e ostile e noi”.[1] Ed è esattamente questo il senso ultimo della pittura di Silvia Argiolas.
ufficio stampa: AGATA PATRIZIA SACCONE
[1] Françoise Gilot, Carlton Lake, Vita con Picasso, Garzanti, Milano, 1965.