Ossessione, reiterazione del gesto, l’azione nella sua ripetizione coatta, nell’esperienza di ognuno di noi queste parole risvegliano qualcosa. Viene spontaneo il rimando a una dimensione del rituale quotidiano e personale, nei piccoli gesti trascurabili che accompagnano le nostre giornate. Una piccola promessa di fedeltà che stringiamo con noi stessi, nella confortante organizzazione del mondo circostante secondo schemi che si rinnovano di continuo per darci sicurezza. E a volte il gesto ripetitivo diventa un peso, ma è un vincolo a cui non possiamo sottrarci conoscendo la soddisfazione che accompagna il suo compimento. Estendiamo il concetto di rituale alla collettività, ai riti arcaici che vengono sostituiti di continuo nelle società moderne e attuali. Il rituale è una modalità, un continuo vortice creativo della realtà a cui l’antropologia ha dato vari significati, per citarne alcuni, da quello di rispondere ad angosce esistenziali (Malinowski), a quello, in opposizione, di generare tensioni emotive nei partecipanti al rito (Radcliffe-Brown) finalizzato al mantenimento del sistema delle relazioni sociali e della gerarchie in un gruppo. Freud vede nella ripetizione coatta del sintomo nevrotico uno scenario di conflitto tra Eros e Thanatos, “al di là del principio di piacere”, la ricerca dell’individuo di tornare a uno stadio di quiete primordiale, identificato con la Morte (il tutt’uno platonico), eludendo lo slancio vitale. Mentre in Jung l’elusione dello slancio vitale avviene nell’opposizione tra l’affermazione del proprio Io in conflitto con le aspettative sociali, il sintomo nevrotico si esprime per limitare la propria affermazione costringendola in schemi rigidi di comportamento.
Ma la ripetizione porta in sé, nel gesto che si moltiplica all’infinito, il seme del nuovo. Ogni segno, è solo apparentemente uguale all’altro, viene incatenato nella ripetizione, liberando però tante piccole espressioni della diversità innovativa e creatrice iscritta nell’uomo. In questo senso è possibile identificare nell’azione artistica un rituale che inconsciamente esorcizza la tensione di morte, celato in quel “resto” mai uguale, che è semplicemente vita.
Lorena Pedemonte Tarodo, in tal senso, è l’artista più rappresentativa di questo slancio vitale. La svariata proposta dei suoi supporti porta sempre inciso il suo marchio. Parliamo di installazione e scultura, encausto e incisione su cui dilaga ossessivamente il suo segno, arcaici geroglifici, una scrittura primordiale che sembra vivere e vibrare, come una mappatura genetica. Nella ripetizione che sempre si rigenera di questi simboli-lettere l’artista scrive la storia del mondo. Non è forse proprio la conquista della scrittura a garantire l’immortalità all’uomo permettendogli di sopravvivere a sé stesso?
Nell’open space della galleria la componente femminile e lunare della Pedemonte Tarodo dialoga con quella maschile e celeste del divoratore di polaroid Maurizio Galimberti che presenta i lavori Flat Iron, dedicati al famoso grattacielo newyorkese. L’ossessione per questo soggetto, uno degli edifici simbolo della società contemporanea, richiama quella che fu l’ossessione di Monet per la Cattedrale di Rouen, ritratta numerose volte in condizioni luminose sempre diverse. La cattedrale-grattacielo di Galimberti, oltre a venir rappresentata nell’infinità varietà di luce del giorno e di buio della notte, che la trasforma completamente, subisce anche l’intervento-firma dell’artista, una sorta di indagine delle superfici e dell’anima dei soggetti che nella moltiplicazione dei dettagli rappresentati raggiungono unitarietà.
Le due project rooms della galleria sono occupate da artisti alla loro prima esposizione come Vincent De Hoe e Silvia Santinelli. Il primo presenta un’installazione fotografica di opere d’arte digitale, intravede nella danza del fumo l’immagine di un piccolo demone (il demonietto dell’ossessione) che si moltiplica nella nostra mente, inoltre sviluppa una riflessione sul corpo doppio che si contamina con elementi naturali e architettonici, cogliendo la possibilità di germogliare e moltiplicarsi in perfetto equilibrio con questi due elementi. La Santinelli alla sua prima esposizione, lavora sul tema del gemello, il doppio come elemento originario da cui si innesca il meccanismo di ripetizione in una moltiplicazione infinita dell’essere. Nello specchio di sé stessi si avverte la continua tensione alla trasformazione-evoluzione di ruolo che una volta soddisfatta mette in atto un meccanismo di ricerca continua di nuovi orizzonti da raggiungere. Claudio Fasoli è un famoso jazzista che si dedica con ottimi risultati alla fotografia. Nella scelta dei soggetti delle sue opere si percepisce immediatamente un profondo senso di ordine e controllo insinuato da una via di fuga sempre presente, una forza creatrice libera che rompe la ripetitività. Dalla ricerca di un ritaglio di intimità con il luogo pubblico di Fasoli alla riservatezza delle stanze private di Isobel Blank, giovane artista torinese, prima performer ospitata in galleria, che nel corso del finissage della mostra presenterà una nuova performance (dopo quella dell’inaugurazione). La Blank rivela l’ossessione del quotidiano, il silenzio della solitudine con noi stessi, riflettendo sul fardello dell’incessante ripetersi del gesto di sopravvivenza a cui non possiamo sottrarci. L’artista indaga il rapporto con il proprio corpo, testando le possibilità e i vincoli, nella noia delle costrizioni che ci incatenano a ciò che siamo.
Coazione a ripetere_plusvalore e resto
Maurizio Galimberti_Isobel Blank_Lorena Pedemonte Tarodo_Vincent De Hoe_Silvia Santinelli_Claudio Fasoli
Amy-d Arte Spazio di Anna d’Ambrosio
A cura di Anna d’Ambrosio e Vittorio Schieroni
26 maggio | 16 giugno 2011
orari Lunedì-venerdì 09:00-12:00 e 14:30-19:00 | sabato e domenica su appuntamento
Per informazioni: Amy-d Arte Spazio | Via Lovanio 6 | 20121 Milano www.amyd.it | info@amyd.it | 02.654872
finissage Encore, 16 giugno 2011 ore 18.30 con performance di Isobel Blank e concerto jazz di Claudio Fasoli