La cultura post-gerarchica, ovvero l’arte ai tempi di Zygmunt Bauman - Ivan Quaroni

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Secondo uno dei più prolifici pensatori della nostra epoca, Zygmunt Bauman, viviamo una vita-liquida e siamo immersi in una modernità-liquida. Anche la società attuale, soprattutto quella delle aree geografiche di maggior benessere, è una società-liquida. “Una società”, scrive il sociologo britannico, “può essere definita liquido-moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure”1. In questo tipo di società, continua Bauman, “È incauto dunque trarre lezioni dall’esperienza e fare affidamento sulle strategie e le tattiche utilizzate con successo in passato: anche se qualcosa ha funzionato, le circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto (e, forse, imprevedibile)”2. Insomma, quella che viviamo è una vita di incertezza e precarietà, in cui l’individuo non può aggrapparsi a nulla di stabile, poiché, come è noto, nulla mantiene una posizione certa per l’intero arco di un’esistenza. Non sono stabili le istituzioni, le condizioni economiche e lavorative, i fondamenti culturali ed etici. Cambiano continuamente i gusti, i comportamenti, le opinioni, i valori. La vita liquido-moderna ha mutuato dalla moda i cambiamenti stagionali. Quella del turn over è diventata la dimensione naturale dell’individuo. Il modello antropologico che si è imposto sopra tutti gli altri modelli è quello dell’homo eligens, l’uomo che sceglie continuamente, poiché tutto muta, costringendolo a prendere sempre nuove decisioni, che in seguito saranno sostituite da altre scelte. L’uomo che sceglie, non è l’uomo che ha scelto.

 

 

(Tamara Ferioli, Spiffero oroborus, matite su carta haruki 100% kozo in cornice,21,5 x 16,5 cm., 2009)

 

La scelta definitiva, identitaria, appartiene alle società del passato o a quelle che, ancora oggi, vivono secondo principi tradizionali, come le enclavi tribali e certe comunità di tipo religioso. La vita liquido-moderna è anche una vita di consumi. L’homo eligens è, infatti, l’homo consumens, intrappolato tra la compulsione ad acquisire merci, beni e gratificazioni immediate e la tendenza inevitabile a disfarsene per rimanere al passo di un eterno presente. In tale condizione esistenziale, due sono i fattori più importanti: la catena di produzione e consumo e quella di smaltimento. I rifiuti, lo abbiamo letto sui giornali e visto nei notiziari televisivi a proposito del caso “Campania”, sono la priorità assoluta della società liquido-moderna. Un altro elemento fondante della modernità liquida è la paura, che diventa condizione permanente di strisciante disagio esistenziale. La diade paura-sicurezza è alla base di tutto, dalla finanza all’advertising, dall’informazione alla politica. L’individuo della società liquida, non potendo appoggiarsi a nulla, non avendo certezze, sviluppa una psicologia angosciata e ansiogena. L’uomo occidentale è ossessionato dalla sicurezza, dal benessere, dalla giovinezza, dalla prestanza, dalla bellezza. Fitness e wellness scongiurano, ma solo nell’immaginario ansioso, l’approssimarsi di invecchiamento e malattie. La morte è assimilata alla spazzatura, la sozzura finale che attende l’individuo alla fine della vita.

 

 

(Silvia Argiolas, Embrioni 2, penna su carta, 24 x18 cm, 2009)

 

Ora se l’analisi di Bauman è corretta, non lo è necessariamente la diagnosi. Nello studioso inglese, infatti, si avvertono i segni di una sociologia di stampo marxista, che vede gli eventi come concatenati e inevitabili. C’è, neanche tanto velato, un giudizio negativo nei confronti della società liquido-moderna, soprattutto se confrontata con quella precedente, che lui chiama solido-moderna e che coincide con la società industriale del primo capitalismo.

 

 

 

(Samuel Sanfilippo, Nicolas 2, Matita e acrilico su carta, 17x23 cm., 2009)

 

Il mondo liquido in cui viviamo ha un andamento simile al moto perpetuo o al movimento oscillatoria del pendolo. Tuttavia, se la vita biologica è in continua metamorfosi, perché non dovrebbe esserlo la società?
Eraclito, nel trattato Sulla Natura affermava che “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va”. Nella filosofia buddista si afferma ripetutamente che il cambiamento è inerente a ogni esistenza fenomenica e che non vi è nulla nel campo animato o inanimato, organico o inorganico che si possa definire permanente, e anche se dessimo questa denominazione a qualcosa, inevitabilmente essa sarebbe desinata a cambiare, a sottoporsi a qualche metamorfosi. Nella prima riga del Tao Tê Ching, scritto secondo la tradizione nella prima metà del VI secolo a.C. da Lao-tzu, si legge: “La Via veramente Via non è una via costante”. In cinese Tao significa Via, ma, come afferma J.J.L. Duyvendak, “la caratteristica di una via comune è di essere immutabile, costante, permanente. Ma la Via di cui si tratta qui è caratterizzata dall’idea opposta: questa via è la perpetua mutevolezza stessa. L’Essere e il Non-Essere, la vita e la morte si alternano costantemente. Non vi è nulla di fisso o immutabile”3. Come ha scritto anche Spencer Johnson nel suo celebre bestseller (Chi ha spostato il mio formaggio?), “il cambiamento continuo è una condizione naturale, sia che noi ce lo aspettiamo, sia che ci colga di sorpresa”4.

 

 

(Elena Rapa, Lucilla Testagrossa 11, Matita su carta, 21x29 cm., 2007)

 

 

 

 

La grande scoperta di Bauman non è stata quella di evidenziare l’essenza liquida della vita moderna, ma di indicarci l’inedita velocità del cambiamento. Il fiume di Eraclito corre impetuoso verso le rapide. L’uomo contemporaneo non deve ricorrere alla filosofia per accorgersi di essere immerso nell’impermanenza, è sufficiente che si guardi attorno. Ecco, Bauman è un grande analista, ma non ci indica alcuna strada per uscire dallo stato di modernità-liquida. Il Tao, invece, ci insegna, con secoli di anticipo, che l’uomo deve essere come l’acqua, che scorrendo si adegua ad ogni superficie, aggirando gli ostacoli, trovando sempre nuove strade per proseguire la sua corsa.

 

 

(Daniele Giunta, d2 [psycogenesis] 2009 ink on paper 14x18cm)

 

 

 

 

Per Bauman, la cultura della modernità liquida è una cultura ibrida, onnivora, post-gerarchica, che postula l’eguaglianza di tutte le culture, insomma una cultura “evasiva, di facili gusti, imparziale, ben disposta e desiderosa di assaggiare qualsiasi proposta e di ingerire e digerire il cibo di qualsiasi cucina”5. Non è una cultura semplicemente globale o cosmopolita, ma una cultura extra-territoriale, che sfugge ad ogni forma di identificazione etnica, religiosa, politica, morale. L’extraterritorialità è, infatti, il lusso dell’uomo della società liquido-moderna. Coloro che possono permettersela, rifugiandosi nei “nessun dove” virtuali e reali, godono del privilegio di essere inafferrabili, in continuo movimento, sempre addentro un presente potenziale. L’homo eligens/consumens è la manifestazione biologica e culturale delle qualità metamorfiche della modernità. La sua è un’ibridazione permanente.

 

(Cristina Pancini, Il rospo.tecnica mista su carta. 21x27 cm., 2009)

 

La pittura contemporanea, come espressione visiva della società liquido-moderna, è in parte caratterizzata dalla tendenza a mescolare ed equiparare fonti iconografiche entro un orizzonte post-gerarchico. È una pittura fusion, ibrida e globale, capace di rispecchiare la sostanziale inafferrabilità della vita contemporanea. Si può parlare di una pittura liquido-moderna? Forse sì, se la si identifica con le evoluzioni e mutazioni del codice genetico Pop, che contiene già i prodromi della tendenza verso l’ibridazione e la mescolanza, verso l’equiparazione onnivora e anti-gerarchica di ogni forma di cultura.

 

 

 

 

note:

 


1) Zygmunt Bauman, Vita liquida, pag. VII, Edizioni Laterza, 2008, Bari.

2) Zygmunt Bauman, Op. Cit., pag VII.

3) Tao Tê Ching, a cura di J.J.L. Duyvendak, pag. 27, Adelphi Edizioni, 1998, Milano
4) Spencer Johnson, Chi ha spostato il mio formaggio?, pag. 50, Sperling & Kupfer Editori, 1998, Milano.

5) Zygmunt Bauman, Op. Cit., pag. 24

 

 

 

 

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