L'ERRORE CREATIVO di Ivan Quaroni (Butterfly effect 1)

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L'ERRORE CREATIVO
di Ivan Quaroni

 

Ho sempre trovato interessanti gli errori, gli sbagli, le derive che caratterizzano alcuni percorsi creativi. La prima volta che mi sono accorto del fascino che hanno certe imprecisioni, diciamo pure certe pecche, è stato osservando i dipinti di Franco Battiato. Il musicista siciliano ha spesso dichiarato di considerare la pittura come una sorta di terapia riabilitativa.

Una volta, pensavo che la mia totale incapacità nel disegno dipendesse dalla mancanza di una naturale predisposizione, come nel caso di uno stonato che non riesce ad emettere la stessa nota che ha in testa”, racconta Battiato, “Col tempo ho scoperto invece che avevo un’idea astratta, archetipa, dell’oggetto che osservavo: quello che mi mancava era la possibilità di coglierlo nella sua esatta forma. Per analizzare praticamente questo genere di chiusura, […] iniziai a dipingere, per pura sfida: questa terapia riabilitativa mi sta privando di quel difetto, pilastro di certa consacrata pittura moderna” [1] .

 

Nei fondi oro di Battiato ci sono evidenti imprecisioni, ingenue sproporzioni anatomiche e prospettiche che fanno pensare alla pittura folk e che certo hanno poco a che spartire con la pittura dei professionisti, troppo interessati alla tecnica, e con quella degli sperimentatori, impegnati a rinnovare ad ogni costo il linguaggio di questo antico strumento espressivo. Eppure, in essi si trova un tesoro, se possibile, ancora più prezioso della tecnica e della grammatica: il valore della scoperta. Una scoperta che avviene attraverso la forzatura dei limiti posti dall’effettiva scarsità di capacità e predisposizione del “pittore”.  In particolare, si può notare nei dipinti del musicista una sorprendente capacità di condurre un errore alle sue estreme conseguenze, di trasformare lo sbaglio se non proprio in un pregio, almeno in una particolarità, in una specificità che potrebbe anche essere chiamata “stile”. Ciò che trovo eccezionalmente educativo nei, sia pur modesti, dipinti di Battiato è l’attitudine, il carattere, la tenacia dell’apprendista, disposto a fare “di necessità, virtù”, mutando l’errore in “espressione”. La questione interessante consiste, dunque, nel determinare quale sia il ruolo dell’errore nel processo creativo, e segnatamente in quello artistico.


Qualche anno fa intervistai Isao Hosoe per una testata della Condé Nast. Durante il nostro colloquio, il designer giapponese, da anni residente a Milano, menzionò il filosofo americano Charles Sanders Peirce in merito ad una cosa chiamata “abduzione”. Non ne sapevo assolutamente niente, ma ne rimasi affascinato. Secondo Peirce, l’uomo ha tre possibilità d’inferenza, tre modi di ragionare, quello deduttivo, quello induttivo e, appunto, quello abduttivo. Se la deduzione è un’argomentazione o una conclusione scaturita automaticamente dalle premesse (dall’aspetto del cielo possiamo dedurre che pioverà) e l’induzione è un’elaborazione logica che ricava i principi generali dall’osservazione di uno o più casi (quando piove il cielo ha un certo aspetto), l’abduzione è un’inferenza in base alla quale, dato un fatto sorprendente, cioè diverso dalle attese, si formula un’ipotesi tale che, se fosse vera, trasformerebbe il fatto sorprendente in un fatto normale. In pratica, nell’abduzione le premesse sono ipotetiche e sono scelte e accettate dall’osservatore come se contenessero tutte le caratteristiche della realtà osservata. Un po’ complesso, vero? Diciamo, allora, che l’abduzione parte dai fatti, senza avere già all’inizio una teoria per spiegare tali fatti. In verità, l’abduzione cerca una teoria proprio per spiegare i fatti sorprendenti, essendo in questo simile al metodo della ricerca scientifica, ma del tutto opposta al metodo induttivo, che invece ricava una norma dalla regolare ripetizione di fatti “non sorprendenti”.

Dopo tutto, anche così, le cose non sembrano molto chiare. Torniamo allora a Isao Hosoe, il designer (nonché esperto di buddismo esoterico), che nella succitata intervista tenta una spiegazione più semplice:

“L’induzione, la deduzione e l’abduzione […] sono termini che derivano dal latino ducere e che in inglese si basano sulla parola duct, che riporta alla mente l’immagine di un tubo. Mentre la deduzione e l’induzione sono come un tubo continuo, l’abduzione è come un tubo deformato e spezzato”[2] .

Secondo Isao Hosoe esistono diversi tipi di abduzione. Uno di questi è il gioco, un’azione semplice e ripetitiva regolata da norme.

“All’inizio del gioco si cerca di apprendere le regole e di raggiungere un certo grado di bravura attraverso la ripetitività. Questa è ancora un’attività conscia, ma man mano che si gioca emerge il lato inconscio. In inglese giocare, to play, significa anche suonare. Quando il pianista suona non pensa, ma si muove con grande automatismo. Il gioco è una grande performance dalla quale può emergere un elemento imprevisto, qualcosa che fuoriesce dalle regole e dà luogo a un’improvvisa magia. Ma attenzione, il giocatore deve essere perfetto per arrivare a questo livello. È solo la maestria del gioco che porta alla magia…”

Hosoe fa l’esempio di un satellite che gira intorno ad un pianeta ad una certa velocità. Velocità che, una volta aumentata, porta alla fuoriuscita del satellite dall’orbita, quindi ad uno spostamento. Anche il filosofo Massimo Bonfantini, nel suo Manifesto di Psòmega parla dell’abduzione in termini di spostamento:

 

Vale la pena di insistere sul fatto che spostamento è proprio la traduzione in italiano volgare e corrente di "abduzione", che è un calco latino, e che secondo l’etimologia vuol dire "condurre" (ducere) lontano da (ab), allontanamento e quindi anche spostamento”[3] .

Quindi, l’abduzione sarebbe un’inferenza che ci conduce fuori dalle regole, lontano dalle norme, ma che presuppone una grande confidenza con esse. In arte, potremmo dire che ciò equivale a possedere la tecnica fino al punto di dimenticarsene, di allontanarsene. Insomma, è il vecchio adagio “impara l’arte e mettila da parte”.  Ora, come si concilia questa introduzione sui tre tipi d’inferenza con l’arte contemporanea?

Esistono, a mio avviso, tre tipologie di artisti, tre archetipi astratti, diciamo, che possono servire a spiegare grossolanamente diverse modalità operative:

1.      I progettuali, ovvero coloro che danno ampio spazio allo studio preparatorio, che concentrano le energie nella ricerca, riducendo l’esecuzione ad un mero fatto tecnico, ad un’azione che deve conformarsi il più possibile a quanto è stato elaborato nella fase progettuale. Per costoro l’errore, l’inciampo, il contrattempo costituiscono un fastidio o un problema da risolvere. Sono individui che danno molta importanza al contenuto e alla forma dell’opera, com’è giusto che sia, ma che sfortunatamente confondono la ricerca con la sperimentazione, che è, invece, un modo per fare delle scoperte. Potremmo definire il loro metodo deduttivo. La deduzione è uno strumento fondamentale del sapere umano, ma è anche quello che produce un minore accrescimento.

2.      Gli intuitivi, ovvero coloro che scoprono un modus operandi fortunato, oppure uno stile espressivo ben riuscito e, da quel momento in avanti, lo reiterano con pochissime, impercettibili variazioni. I migliori tra questi sono coloro che maturano un proprio originale modus, che pervengono ad uno stile unico e riconoscibile, che facilmente può ottenere il favore del pubblico e della critica. Tuttavia, ci sono anche “intuitivi” che mutuano il proprio modus operandi da altri artisti, divenendone, in qualche modo, dei seguaci, dei continuatori o addirittura degli emuli. L’intuitivo sa cogliere gli aspetti “funzionanti” dell’opera, “comprende empaticamente quali sono le cose “giuste” e quelle “sbagliate”, quelle da ripetere e quelle da scartare. Una volta messa a punto una formula, l’intuitivo, pigro per natura, cercherà di non allontanarsene troppo. Forse, ricorda ancora con quale fatica sia giunto ad ottenere quei risultati. In fin dei conti, l’intuitivo è un pragmatico. Il suo metodo è induttivo, poiché egli ricava dall’osservazione dei fatti (opere, espressioni, stili) una regola generale alla quale si attiene più o meno fedelmente.

3.      I bricoleur, per usare una definizione di Levi Staruss, sono coloro che si concedono il lusso della scoperta. Conciliando le esigenze progettuali con quelle esecutive e considerando entrambe come importanti occasioni di accrescimento, i bricoleur sono di fatto gli artisti più predisposti a capire ed accogliere il valore innovativo di certi errori.  Per costoro, ogni imprevisto è un’occasione per imparare o scoprire cose nuove. Il bricoleur è l’artista capace di portare una cosa fuori parametro, di forzare la regola fino a provocare incidenti interessanti. Naturalmente, il suo modo di procedere è quello abduttivo, che secondo Charles Sanders Peirce costituisce l’unica forma di ragionamento in grado di accrescere il sapere dell’individuo, mettendolo nelle condizioni di ipotizzare nuove idee, d’indovinare o prevedere la realtà.


Il ragionamento abduttivo, che i greci chiamavano apagoge, somiglia alla reductio ad absurdum con cui Zenone di Elea dimostrava la maggiore velocità della tartaruga rispetto ad Achille. L’abduzione è, infatti, un modo di considerare la realtà che da un lato ci garantisce il maggior accrescimento, dall’altro ci fornisce le maggiori probabilità di sbagliare. D’altra parte, sbagliare è l’unica occasione che abbiamo per imparare qualcosa. Edward De Bono parla di Pensiero laterale per spiegare una modalità di approccio simile all’abduzione. Il pensiero laterale prevede la risoluzione di problemi logici tramite un approccio indiretto, laterale appunto. Si tratta di vedere le cose da angolature e punti di vista differenti, invece che affrontarle direttamente. La soluzione diretta ad un problema, infatti, prende le mosse da considerazioni ovvie ed è, di solito, basata su un metodo deduttivo. Come dice De Bono:

“Si tratta di considerare le cose non soltanto per quelle che sono, ma anche per quello che potrebbero essere. In genere, una stessa cosa può essere esaminata sotto molti aspetti, e talvolta i punti di vista meno ovvi si rivelano i più utili”[4] .

Il bricoleur è, quindi, un campione di pensiero laterale, poiché prescinde da quello che appare l’unico percorso possibile, cercando piuttosto spunti e intuizioni al di fuori del proprio dominio operativo e, soprattutto, al di fuori della logica corrente.  Quanti artisti si muovono in questo modo?

 

 

 

note al testo:

[1] In: “Musica senza suono”, a cura di Francesco Messina ed Enzo Gentile, pag. 34, Art& Edizioni, 1999, Milano.

[2] Ivan Quaroni, Conversazione con Isao Hosoe, Domina n. 115, Condé Nast, dicembre 2001, Milano.

[3] Massimo Bonfantini, L’inventiva, Moretti & Vitali Editori, 2006, Bergamo.

[4] Ne fa menzione Bruno Munari in Da cosa nasce cosa, pag. 318, Editori Laterza, 2000, Bari.

 

 

 

Didascalie immagini, in ordine di apparizione:

 

 

1 Laura Giardino, Mattina presto, 80x60 cm, 2009

2 Leeza Hooper, Untitled. 60 x 60. Tecnica mista su tela, 2009

3 Pierpaolo Febbo, Flyer, pennarello su carta, A4, 2009

4 Renzo Marasca, Senza Titolo, olio spray e collage su tela 80x80, 2008

5 Sam Punzina, Il lMondo Prima, Smalti Su Tela_50X50 cm, 2009

6 Tiziano Soro, #l0v3ch1ck#, acrilico su tela, 80x120 cm, 2009

 

 

Nota sulle immagini:

le immagini sono state selezionate da Ivan Quaroni e non hanno nessuna relazione col testo, tranne quella di dimostrare che c'è in giro ancora della buona pittura.

 

 

 

The butterfly effect 01, di Ivan Quaroni
"L'errore creativo"
pubblicato su lobodilattice il 66/05/2009

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