“Non esiste grande genio senza una dose di follia”, Aristotele.
Come a volte accade si forma qualcosa di trasversale perché richiamato dal tempo. Una corrente, un caso, una coincidenza. Non ha importanza cosa, vale il fatto che due istituzioni importanti hanno focalizzato un codice decisivo dell’arte, il visionario e la pazzia.
Domenica 17 febbraio è stata inaugurata una mostra presso il Mar (Museo D’arte della Città di Ravenna) sul tema della follia. Un tema importante e complesso, che da sempre accompagna la storia della cultura, in particolare la storia dell’arte, perché l’artista è considerato, perché tale è, uno spirito diverso, più complesso, o forse, in alcuni casi, più semplice, nel suo modo di agire e pensare, rispetto agli altri, quelli “normali”. L’artista, il poeta, il pittore, lo scultore, e nel cinema senz’altro molti grandi autori (da Georges Méliès a Orson Welles a David Lynch, fino a Quentin Tarantino) sono sempre stati considerati personaggi borderline, con vite e atteggiamenti diversi rispetto alla norma, se la norma rientra all’interno di certe regole comportamentali e sociali ben delimitate. L’artista è spesso un outsider, ma essendo tale nella sua creazione gli viene perdonato quasi tutto. Gli esempi nella storia dell’arte sono tanti e vari, come racconta la mostra di Ravenna, inserendo anche artisti meno conosciuti, coloro che hanno passato la vita nei manicomi o nelle case di cura, quando appunto alcuni eccessi di carattere, di creazione, di infantilismo, erano considerati mali da curare. Roba da Medioevo, dove l’eccesso di bile valeva come misura della pazzia. Da Hieronymus Bosch a Pieter Bruegel il Vecchio (che ritraevano i folli e i malati), da Dürer a Botticelli, da Asger Jorn a Basquiat: l’arte ha sempre condiviso i suoi “prodotti” con la storia dei loro creatori. La tesi è: Pollock non avrebbe realizzato opere ancora oggi insuperate se fosse stato un uomo “tranquillo” ? E Basquiat, se non fosse morto a 28 anni di eccessi e droghe forse si sarebbe perso fra i tanti che oggi non fanno parte della storia dell’arte? Ecco che nei libri di scuola si leggeva dell’orecchio tagliato da “quel matto” di Van Gogh, o dei fantasmi che Goya disegnava sui muri di casa dopo averli sognati in deliranti incubi. E ancora, se può valere la frase di Albert Einstein “follia è fare sempre la stessa cosa e aspettare risultati diversi” possiamo inserire nella lista dei “matti” altri geni dell’arte come Giorgio Morandi, uomo tranquillo rinchiuso nel suo studio, che per tutta la vita ha utilizzato gli stessi soggetti, creando opere simili, ma sempre diverse?
Dunque, se davvero l’incanto primitivo, quasi infantile e spesso impulsivo, dell’artista è un valore aggiunto, un dono prezioso, privilegio di pochi, è giusto aderire all’idea di Schopenauer quando asserisce che “il genio è più prossimo alla pazzia dell’intelligenza media”, magari non entrando nell’eccesso di un Bukowsky (altro vero “matto” della nostra cultura) quando scrive che “la sanità è un’imperfezione”. Ma ritornando al punto “Pazzia uguale Creatività uguale Arte”, proprio come nella mostra citata Borderline ecco altri artisti e generi, tra normalità e follia: da Bosch a Dalì, dall’Art Brut a Basquiat. Senza dubbio, va ribadito, l’artista è colui che nasce diverso e soprattutto con un bisogno incontrollato di farsi sentire, che sfocia, proprio come uno sfogo, in vocazioni come la pittura.
Il tema è stato raccolto, in chiave di cinema, in un workshop dal vasto seguito all’ Accademia di Belle Arti di Brera, dal titolo “Il quadro che visse due volte”. Il cinema applicato alla pittura, privilegiando l’arte più nobile e antica. Dove grandi autori hanno accettato di porre il proprio talento al servizio del talento visionario, e “pazzo” originale. Come ha fatto il regista-pittore Lech Majewski nel suo “I colori della passione”, facendo rappresentare la pazzia di Bruegel il vecchio attraverso le facce e i corpi sfigurati nel leggendario “La salita al calvario”.
Il film su Bruegel è l’ennesimo segnale che quando il cinema si applica alle arti visive punta sempre sull’artista borderline, ovvero “matto”. Grandi film sono stati realizzati sulle biografie di pittori, come Brama di vivere dove Vincente Minnelli, racconta Van Gogh. Il tormento e l’estasi di Carol Reed su Michelangelo, e poi Frida Kahlo, e ancora Basquiat visto da un altro artista anche lui non esule dalla canonica pazzia, Schnabel. E ancora Modigliani raccontato nei “Colori dell’anima”, con Andy Garcia che dà corpo e volto al grande pittore livornese tormentato. O ancora Pollock, interpretato e realizzato da un ottimo Ed Harris (che “diventa” Pollock). Senza pazzia, tutti costoro, avrebbero realizzato opere da… sindrome di Stendhal?
Jackson Pollock
George Méliès, le Voyage dans la lune
Amedeo Modigliani
Jean Michel Basquiat
Frida Kahlo
Hieronymus Bosch
Orson Welles
Salvador Dalì
Sandro Botticelli
Quentin Tarantino
Vincent Van Gogh
Asger Jorn