Maggio 2011 – Deodato Arte – Emila Sirakova. Paper Swan
Diamo l’abbrivio in medias res, anzi a bomba, coronando codesto incipit con un titolo ahimè rifiutato da Emila Sirakova. Non m’è ancora chiaro il motivo del gran rifiuto professato in fase di brain storming curatoriale, dal momento che a me invece è sembrato fin da subito piuttosto consono all’argomento trattato. E difatti, con atto d’imperio da parte di chi scrive, Des femmes (pas) fatales resuscita ora come titolo complementare della prima personale di Emila Sirakova a Milano. Non che Paper Swan non mi garbasse, anzi – ducetto come sono, non avrei mancato di esternare i miei dubbi qualora tale opzione mi fosse parsa men che convincente. Ma a mio modesto parere Donne (non) fatali contiene in nuce sotto forma simbolica il retroterra concettuale della produzione artistica di questa giovane disegnatrice che, lettrice dei classici, ha dalla sua anche una formazione stricto sensu umanistica.
L’arte, diversamente dall’impresa scientifica, prescinde dai fatti duri dell’esperienza – dalla “lordura dell’esperienza”, per dirla à la Immanuel Kant – e gravita nell’orbita ermeneutica delle metodologia esegetica. Insomma, nell’universo delle arti visive abbiamo a che fare con interpretazioni, non fatti. Sarà un portato del pensiero debole, ma con tutto questo gran parlare di Baudrillard e compagnia brutta sfido chiunque a negare che ci si trovi quantomeno nella temperie del post-postmodernismo. Comunque, bando alle ciance, Ernst Cassirer ce l’insegna: l’arte è una forma simbolica. E, proprio perchè essa può richiamare ataviche associazioni simboliche, nel caso specifico della produzione di Emila Sirakova Paper Swan rievoca il potere mistagogico dell’inconscio e psicoterapeutico dell’arte. Quasi una salamandrica immaginazione alchemica. Del resto, Carl Gustav Jung non diceva forse che?:
Ogni uomo porta in sè l’immagine eterna della donna, non l’immagine di questa o quella donna in particolare, ma un’immagine femminile ben definita. Tale immagine è fondamentalmente inconscia, fattore ereditario di origine primordiale, scolpita nell’organismo vivente dell’uomo, un “marchio” o”archetipo” di tutte le esperienze ancestrali della donna, per così dire il sedimento di tutte le impressioni prodotte dalla donna nel corso del tempo. 1
De facto, Emila Sirakova declina la proteiforme identità femminile esaltandone il fascino primordiale racchiuso in un modello archetipo ricco di complessità e sfaccettature, esulando tuttavia dall’iconografia tradizionale della femme fatale nella direzione di un tributo a quella moltitudine d’anime che alberga in ogni donna – e in ogni uomo!, ça va sans dire.
La sua produzione rappresenta quindi un tributo, non alla generalizzazione estrema e pia della donna, bensì alle donne individuate e singole che tale astrazione incarnano. Essenze carnali. O «le donne che compongono la donna», per citar l’eloqio perentorio dell’artista. Queste donne, raramente ritratte nella loro identità circostanziata, sono immerse piuttosto in un mondo personale di pensieri e desideri che sotto certi rispetti evoca la figura muliebre della temperie Art Nouveau – e nello specifico, se vogliamo fare i fiscali, della Wiener Secession. Gustav Klimt, per esempio. I lavori di Emila Sirakova rinnovano – ma potenziandola con un personalissimo punto di vista, che diamine! – quella tensione fra astratto e figurativo che impronta di sé lo stile di colui che fu tra i massimi esponenti dell’Art Nouveau. Anche nelle composizioni della Sirakova talune aree paiono quasi “illusionistiche”, griglie visuali vedo-non vedo come nei drappi fluenti di Chi cerca l’infinito, non ha che da chiudere gli occhi e E aprirai a volte la finestra, così, per il piacere. Mentre altrove sopravviene una più pronunciata bidimensionalità, specie negli accenti posti a latere della carnalità tissurale dell’immagine - si veda Il camminio naturale dell’anima. Il risultato è, come in Klimt, la rottura nel continuum della rappresentazione spaziale, attivata da dinamiche che occasionano vivaci sbilanciamenti fra regioni “illusionistiche” del film segnico e accenti più determinati. Una compressione volumetrica sospesa a mezz’aria fra stilizzazione e naturalismo, dove le donne emergono come simboli ex-statici, scorporati dal concetto di donna, ma prive dell’allure sensuale e morbosa della femme fatale che caratterizza l’immagine femminile nell’Art Nouveau. Le donne di Emila Sirakova non sono né la versione angelicata di un Dante Gabriel Rossetti, né la femme fatal di Beardsely o Klimt. Rispetto alla caratteristica serpentinità delle linee fin de siecle, la Sirakova predilige una struttura più “classica”, precipitato segnico di quello che il gallerista Roberto Milani ha definito Rinascimento avanguardistico: l’ossimorica coordinazione del disegno “classico” con la raffigurazione di un soggetto contemporaneo.
Ma d’altro canto, se, facendo qualche scorribanda col pensiero, trovassimo nell’estetica dei manifesti pubblicitari una delle fonti cui si abbevera l’ingegno di Emila Sirakova, non ci allontaneremmo affatto dal vero rispetto a quel comun sentire con certe sperimentazioni tipiche della temperie Art Nouveau: non sarebbe infatti peregrino riandare col pensiero a quell’Alphonse Mucha creatore di pannelli decorativi, cartelloni pubblicitari, manifesti teatrali, illustrazioni librarie et similia, che ogni bibliofolle – in special modo folle di libri illustrati di pregio – annovererebbe fra i gioielli della grafica editoriale e non solo.
Vedete? Con la Sirakova, anche coi libri e la scrittura, si va a parare. E, come per Aubrey Beardsley (altro predecessore che mi garba accostare alla disegnatrice, sebbene l’illustre epigono avesse molto insistito con quelle serpentinità lineari che inquadrerei nella categoria delle twisted structures), ritengo che anche Emila Sirakova pensi al disegno come a qualcosa di scritto su una superficie, pittorica o letteraria che sia. Il paragone calza per due motivi, uno estetico l’altro disinvoltamente “esistenziale”: si diceva infatti della formazione umanistica della Sirakova, che impronta di sè non soltanto gli esiti della sua produzione artistica ma anche la sfera sensibile del quotidiano (e poi la falange della mano destra della disegnatrice presenta il tipico callo del grafomane!). E possiamo affermare senza tema di smentite come tale portato artistico/letterario investa lo sviluppo materiale dell’opera nel suo insieme, che dal punto di vista dell’organizzazione compositiva risente molto di una tendenza a comprimere lo spazio attraverso l’azzeramento degli fondi e a realizzare un equilibrio simmetrico delle forme. Proprio qui sta il discrimine rispetto alle twisted structures di Beardsley e in generale alla sinuosità dello stile Art Nouveau, che tuttavia ritorna nell’opera della disegnatrice per altre vie, nella fattispecie attraverso queste volumetrie fluttuanti fra “illusionismo” e naturalismo.
E d’altro canto, per il nitore del segno non mi stupirei che il “metodo” di Emila Sirakova celasse altresì euritmie segrete con le stampe giapponesi. Anche a livello formale, per quanto attiene al tratto e al segno, il suo lavoro prescinde dal figurativo restando al contempo fedele a tale dimensione: si tratta, ancora una volta, di quella oscillazione fra “illusionismo” e determinatezza che abbiamo affrontato poc’anzi. E in questo senso la parte del leone la fanno le macchie di colore sullo sfondo che, organico al disegno in sé, occasiona l’eterno presente della sperimentazione in fieri - lo dico sempre: un artista deve sperimentare, sennò si consegna all’estinzione. Lo sfondo, nei disegni della Sirakova, si reifica attraverso la macchia facendosi materia che suggerisce, per assenza di ornamenti precisi, la messinscena dello sfondo stesso. Evocato in absentia, dunque.
Ma i disegni di Emila Sirakova incarnano anche un valore speculativo: sono pensieri disegnati, dialoghi col sé che richiamano il soliloquio del pensatore. Ludwig Wittgenstein consegnò alla parola scritta l’espressione del ripiegamento interiore attivando un serrato dialogo con se stesso che garba pensare come illustre precedente esplicativo dell’opera di Emila Sirakova, dove il segno grafico, base imprescindibile del fare artistico, è il vettore d’attivazione di una vera e propria meditatio vitae di spinoziana memoria (Homo liber nulla de re minus quam de morte cogitat: et eius sapientia, non mortis sed vitae, meditatio est – Spinoza, Ethica, IV, 67)2.
La giovane disegnatrice informa la complessità della figura femminile scorporando dalle donne reali i lati più affascinanti, assecondando al contempo quello stream of consciousness, flusso di coscienza, durante il quale lei, quasi in stato alterato di coscienza, dissociata dal mondo là fuori, attua una certa epochè fenomenologica – una momentanea messa in parentesi del mondo, dall’estensione indeterminata e potenzialmente senza fine – riattualizzando situazioni e persone in una dimensione quasi onirica. Anzi, onirico/critica, per citare il metodo paranoico/critico di Salvador Dalì. Perchè, come mi disse Emila Sirakova nel corso di una conversazione che ci vide comodamente disposti su sedute di velluto (?) rosso sorvegliati da due piccoli bouledogue francesi in posa come statue leonine,
«Il disegno rappresenta la mia più grande motivazione interiore e mi permette di dialogare con me stessa in modo spesso contraddittorio e critico»
In fin del conto anche lei, come Benedetto Croce, ci fornisce un contributo alla critica di se stessa! 3
Di suo, a mio modesto parere, la produzione di Emila Sirakova incarna il concetto revivalistico di stile di là dalla ridondanza retorica, tributandolo di una connotazione rinnovata che vede sì negli stillfragen – problemi di stile – l’illustre origine, discostandosene tuttavia per una marcata riattualizzazione fedele al presente e tesa a rappresentare la contemporaneità, non solo dell’arte, ma della vita stessa.
Una produzione artistica che, come nell’iconografia “subliminale” del delfino attorto a un’àncora con cui lo storico editore e tipografo umanista Aldo Manuzio volle contrassegnare la propria marca editoriale, assimila le grandi lezioni del passato seguendo un percorso di ricerca autonomo, libero come un delfino.
- Carl Gustav Jung, Opere. Vol. 17. Lo sviluppo della personalità, Milano, Bollati & Boringhieri, 1999
- Nulla v’è su cui l’uomo libero mediti meno che sulla morte; e la sua saggezza sta appunto nel meditare non sulla morte, ma sulla vita
- Benedetto Croce, Contributo alla critica di me stesso, Bari, G. Laterza & figli, 1945
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