Inactive thinkers
L’essere di seconda classe
di Cecilia Freschini
Il 5 febbraio del ’89, una donna entra nella Galleria Nazionale di Pechino e spara due colpi di pistola su una scultura. La manifestazione viene immediatamente chiusa e censurata.
Era il giorno dell’inaugurazione della mostra “China/Avant-Garde”, il primo evento di carattere sperimentale supportato dal governo cinese, Xiao Lu, una giovane artista, apre il fuoco non tanto per colpire l’oggetto in se stesso, ma la propria immagine riflessa sulla superficie dell’istallazione “Dialogue” da lei creata in collaborazione con Tang Song.
L’azione scatenò un’esplosione di forte impatto simbolico. La stampa estera classificò il gesto come un fatto di ribellione, mentre quella interna, sia di carattere politico che culturale, la celebrò l’artista come un’eroina.
Il governo reagì come a un attentato: un preallarme del disagio che poi, quattro mesi più tardi, avrebbe portato agli “incidenti” di Piazza Tiananmen.
Xiao Lu diviene immediatamente una figura di rilievo: la prima e l’ultima donna a raggiungere una celebrazione così importante. L’arte contemporanea cinese è a oggi un affare prevalentemente per soli uomini, dove nessuna donna ha davvero raggiunto il pantheon degli artisti-star, nati grazie al trend commerciale di questi ultimi anni.
In termini di considerazione femminile la Cina si presenta oggi come gli stati uniti nel ’63. La percentuale di addetti di sesso femminile che lavora all’interno del mondo dell’arte è sensibilmente inferiore. Le artiste di successo son così poche che si possono contare sulle dite di una mano così come le loro personali.
Non fanno notizia eppure queste donne ci sono, non scalano le classifiche d’asta e poche sono quelle rappresentate da prestigiose gallerie, ma spesso il lavoro è ben più forte e innovativo rispetto a quello proposto dalla loro controparte maschile.
Le ragazze cinesi hanno cominciato a esprimersi con forza e in maniera estremamente personale sin dal 1990. Prestando attenzione a una maggiore consapevolezza delle questioni femminili e il valore della loro vita interiore, creano opere che sono spesso strettamente legate alle loro storie personali. Scavando nel loro passato esse trasmettono sentimenti di perdita, fragilità, disillusione, introspezione e speranza.
Ci sono molte donne in politica, ingegneri, medici, imprenditori, ma nel mondo dell'arte ci deve ancora essere una vera e proprio svolta a riguardo. Questo non tanto ai fini di un’arte femminista, ma semplicemente per permettere alle voci femminili di essere ascoltate.
Le uniche ad aver raggiunto un certo successo economico e di critica sono quelle che collaborano con i propri mariti-artisti, in altre parole le metà di una coppia artistica. Come ad esempio, Lin Tianmiao, Yin Xuizhen o Lu Qing rispettivamente legate sentimentalmente a Wang Gongxin, Song Dong e Ai Weiwei.
Di fatto le donne in Cina sono ‘cittadini di seconda classe’ o come le definisce ms Lin con ironia e rassegnazione “inactive thinkers”.
Come per molte terminologie le cui definizioni son valide all’interno delle varie nazionalità occidentali, ma che prendono una diversa accezione all’interno della peculiare situazione cinese, anche il concetto di femminismo si è sviluppato in maniera autonoma. “La Cina non è ancora pronta per un’ondata di femminismo, è qualcosa di ancora troppo straniero e vago, che in Cina va considerato come un brand a parte rispetto alla vostra valenza” (Lin Tianmiao)
Il radicalismo occidentale degli anni ‘60 e '70 non ha mai messo radici qui. Molti artisti di sesso femminile, sono associati a una tendenza femminista, ma, di fatto, la loro intenzione primaria è capire chi sono.
Nel 1995, Xing Danwen, nella serie fotografica “Born With the Cultural Revolution”, prende in esame il disagio della propria generazione che è erede di un principio maoista di ugualità sessuale ma che viene minato dall’economia di mercato.
“Quando il coniglio maschio e la coniglia femmina corrono insieme appaiati, chi può distinguere il maschio dalla femmina?” Mao Tze Tung
Un lavoro molto complesso anche perché in realtà essere ragazza durante la rivoluzione culturale significava essere circondata dall’ignoranza, dalla follia e dalla perversione. La rivoluzione comunista avrebbe dovuto rendere tutti uguali e, infatti, quando negli anni 70 dai noi imperversava un certo femminismo di battaglia, si guardava alla Cina come un Paese modello, dove la questione femminista era stata risolta nel migliore dei modi. Effettivamente le donne avevano raggiunto la parità: dal ‘66 al ‘76 c’era ben poco, sia nel taglio sia nel colore che permettesse di distinguere l’abbigliamento delle donne da quello degli uomini. Ed era molto raro imbattersi in articoli di uso prettamente femminile. Il trucco i gioielli e i begli abiti esistevano solo nei romanzi messi all’indice. “C’era anche chi si presentava come fulgido esempio di moralità, ma poi sfruttava segretamente le donne che dovevano essere rieducate, facendo della loro sottomissione sessuale una prova di lealtà al partito. I colpevoli di quelle nefandezze erano i loro insegnanti, gli amici, e persino i padri e i fratelli, che avevano perso il controllo dei propri istinti animaleschi. Così le speranze delle ragazze furono distrutte e la loro capacità di provare piacere nell’atto sessuale irreparabilmente danneggiata.” (Xinran “La metà dimenticata – vita segreta della donne nella Cina di oggi”)
Nel 2000 Cui Xiuwen grazie ad una telecamera nascosta filma un gruppo di donne, molte di loro prostitute, che parlano, si truccano e contano i soldi, nel bagno di un karaoke club di Pechino. “Si percepisce chiaramente la tensione prima della battaglia” commenta l’artista. Il video intitolato “Lady’s Room,” è stato censurato durante la sua esibizione in occasione della Triennale di Guangzhou nel 2002. Molto probabilmente il divieto si deve alla sua autenticità, al fatto di rappresentare la realtà di donne attive nel settore dell’erotismo, il che si pone in contrapposizione con lo spettro d’ideali culturali che vuole un armonioso equilibrio tra i sessi e le donne sottomesse.
Di fatto, oggi, nascere femmina in Cina rimane la disgrazia più grande che possa capitare. Come drammatica conseguenza della politica del “figlio unico”, il Paese si avvicina a essere popolato prevalentemente da maschi, molti dei quali una moglie possono solo comprarla. Cresce quindi la domanda interna di donne che va a incrementare il numero di violenze, rapimenti, vendite e sfruttamenti ai danni di queste. Ci sono delle aree centro-occidentali talmente devastate dalla miseria da essersi diffusa la consuetudine della poliardia, ovvero situazioni di convivenza matrimoniale dove le mogli in comune vengono usate abitualmente da parecchi uomini anche durante la gestazione.
[ ASIA CALLIN’ - Rubrica di Cecilia Freschini – Voci da Oriente - N° 3 : Inactive Thinkers - pubblicato su lobodilattice il 11/09/2010 ]