James Bond e le sue sigle //// dal ’62 a oggi hanno fatto la storia


Skyfall, l’ultimo “Bond” è stato analizzato, sviscerato, raccontato, anche su MYmovies. Dopo aver visto lo 007 di Sam Mendes ho pensato a un altro codice importante e … trascurato: l’estetica curata e accurata della parte grafica della sigla di Bond, da sempre un “must” per colonne sonore e, appunto, per invenzione e poetica delle immagini.

Un precedente immutabile, nella memoria di tutti, è il frame della canna della Walter PPK sullo schermo, con al centro la figura dell’agente 007 che spara verso lo spettatore col sangue (allora rosso in contrapposizione al bianco e nero, più elegante e misterioso) che scende. Questo è Bond, e questo è l’inizio del suo percorso. Le colonne sonore sono sempre state accuratamente studiate da grandi compositori e cantate da grandi voci, che aderivano alla generazioni. Dal 1962, con Agente 007, licenza d’uccidere (Doctor No), al 1987 con  007 zona pericolo (ultimo film con Roger Moore nei panni di Bond), il compositore “storico” è stato l’inglese John Barry, mentre da allora a oggi il testimone è passato, per le canzoni contemporanee, a David Arnold. Da non dimenticare la comparsa di Burt Bacharach nel primo Casino Royale (1967).

Compositori, canzoni, e grafiche mirate perfettamente. Immagini ormai storicizzate come la “mitica” sigla di “Goldfinger”, o di una “Una Cascata di diamanti”: da allora  l’apertura dei vari Bond ha sempre proceduto su un fil rouge: musica importante, mescolanza di stili, grafica ricercata con elementi sempre ricorrenti, dalle donne alle pistole, dai coltelli alle sagome dei personaggi. Soprattutto il graphic designer storico, Maurice Binder, quello dei primi vent’anni, ha lasciato per sempre il suo timbro: figure antropomorfe, oggetti che diventano sagome di donnine sexy e in movimento, colori molto pop (il periodo, 1962, è proprio quello della Pop art americana), dove il marchio Warhol è ben visibile, soprattutto nei ritagli delle figure, nei frame su sfondo nero da sigla, come in Goldfinger e soprattutto in Thunderball, dove le figurine, stilizzate come sinuose silhouette sullo schermo, si muovono su sfondi monocromi rossi, arancioni, viola e blu. O ancora, di nuovo totalmente improntata sulla Pop art americana, la sigla di Agente 007 -  Al servizio segreto di sua maestà, le figure partono da una forma di bikini – altro elemento ricorrente e provocante  già dal primo Agente 007, licenza d’uccidere, con l’intrigante Ursula Andress – per poi diventare via via qualcosa di diverso: un bicchiere di Martini, una clessidra …passaggi grafici attraversati dai personaggi della saga di Bond, per  terminare con la corona della regina con i colori della “sua” bandiera inglese. Dunque Pop art, ma non solo in Andy Warhol, per colori e stile, ma anche in autori come Tom Wesselman e Mel Ramos, per le figure femminili sexy, le grandi bocche con rossetto rosso e le unghie smaltate scintillanti.

Oltre all’immagine estetica, la voce. Fatta eccezione per Agente 007, licenza d’uccidere, dove prevale la grafica a pallini anni ’60/’70 e non vi è voce, ma solo il noto tema di James Bond, ecco che negli anni prestano le loro voci artisti come: Lionel Bart (A 007, dalla Russia con amore, 1963) Shirley Bassey (Agente 007, missione Goldfinger, 1964; Agente 007 – Una Cascata di diamanti, 1971; Moonraker- Operazione spazio, 1979), Tom Jones (Agente 007, Thunderball – Operazione tuono, 1965), Nancy Sinatra (Agente 007- Si vive solo due volte, 1967), il “beatle” Paul McCartney che prestò la voce alle parole firmate da lui e la moglie Linda (Agente 007 Vivi e lascia morire, 1973), Rita Coolidge (Octopussy – Operazione piovra, 1983), i Duran Duran, (007 Bersaglio mobile, 1985), Tina Turner (007 Goldeneye, 1996), Sheryl Crow (007 il Domani non muore mai, 1997), i Garbage (il Mondo non basta, 1999), Madonna (007 – La morte può attendere, 2002), Alicia Keys e Jack White, il cantante dei White Stripes (Quantum of Solace, 2008), Chris Cornell (Casino Royale, 2006), fino alla personalissima voce di Adele per Skyfall. L’apertura del film di quest’anno è tra le più elaborate e speciali della saga: voce della giovane cantante inglese Adele, appunto, con un timbro forte e cupo, e animazione grafica di Daniel Kleinman. Kleinman, ritornato ai Bond dopo una pausa di sei anni con Casino Royale, è lo stesso graphic designer che ha debuttato con 007 Goldeneye e, successivamente, firmato tutte le sigle con Pierce Brosnan/Bond. Si è poi riproposto in Casino Royale, realizzando una delle sigle più elaborate e d’impatto: quella a sfondo di carte, con cuori, quadri, assi e picche, mescolati a pistole e figure umane stilizzate che durante l’azione spariscono sgretolandosi nella lotta. Lo stile di Kleinman, che utilizza le più avanzate tecnologie digitali e complessi effetti speciali, è molto grafico/pittorico, e in Skyfall raggiunge l’apoteosi: paesaggio totalmente dark, nubi scure, lapidi, pistole e coltelli che cadono in terra, a metà strada tra una novella gotica, un film di Tim Burton e la corrente artistica americana Lowbrow, con sfondi scuri, misteriosi, quasi orrorifici. Uno stile che partiva dalla Pop art, toccando gli anni ’70 come l’Optical art, con scene “alla Vasarely”, o addirittura elementi passati in stile Dalì (le figure femminili, le gocce, gli elementi deformati) fino ad arrivare allo stile fantasy come le donne cyborg di 007 il domani non muore mai. L’apice stilistico appartiene -legittimamente, valendosi di tanti esercizi precedenti- a Skyfall, con ricerche pittoriche anche all’interno del film, con richiami espliciti come il dipinto di Turner davanti al quale Craig/Bond si incontra con l’agente Q, o l’assassinio a Shangai davanti a un Modigliani, dopo una lotta tra vetri e luci che riconduce a Orson Welles de La Signora di Shangai (1948). Altri richiami contemporanei: la silhouette di Michél Ocelot, l’artista sudafricano William Kentridge, e il Theatre Optique dei primi film d’animazione. Insomma la storia continua, con i suoi riferimenti.








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