Sta spopolando nel mondo del web l’immagine di un israeliano che bacia un’iraniana, un’a(r)mata di pixel più potente, pare, delle minacciose testate nucleari dell’Iran, sul campo di battaglia virtuale del sito web "Israel Loves Iran" del 41enne insegnante israeliano Ronny Edry. Vien da chiedersi: quanto successo avrebbe avuto Hayez se a fine Ottocento avesse potuto postare l’immagine del proprio celebre dipinto su di un social network? Domanda forse sterile, perché in fondo quell’icona ha comunque conosciuto una fortuna esemplare nel candidarsi come pattern del baciarsi, con una malia che spande il proprio fluido da Luchino Visconti alla carta dei baci perugina, fino ai zuccherosi esteti (o fricchettoni?) dell’ultima ora di Facebook.
Per associazione d’idee, vien naturale capitolare alla tentazione di un micro-excursus sul bacio nell’arte. Micro, però; e col veto rigoroso di non citare né Klimt, né Giotto, né Canova, che pure virale fortuna postuma hanno avuto in relazione alle rispettive interpretazioni del bacio. Sempre che, naturalmente, possa considerarsi fortunata la sorte che vede trascolorare in cartolina una potente intuizione artistica: come “La Gioconda” messa sulle t-shirt, per intenderci.
Se dovessi pensare ad un trittico alternativo, e permanendo generosamente ancora nel campo dell’abbastanza “noto”, credo che il mio "mi piace" sarebbe dedicato a Munch, Rodin e Toulouse- Lautrec.
Il bacio di Edvard Munch del 1892 (Oslo), uno dei diversi esperimenti sul soggetto da parte dell’artista norvegese, anticipa per mal dosata, algida furtività quello dei due amanti incappucciati di Magritte. Non si può parlare di una visione angosciosa, tanto il “vedere” si nega, celando l’indistinguibile fusione dei corpi nell’ombra fredda di una clandestinità decentrata, come una rimozione fallita che fa capolino con misteriosa pesantezza. Il contatto amoroso è calibrato sulle tonalita glaciali del nord come per passione implosa: le sagome si avvinghiano con fisicità che scotta, ma il dolore presentito è come quello di un abisso raggelato, di un presagio del perdersi, di uno scambio delle proprie ombrosità più che d'interna vitalità. La finestra sui bagliori cristallini della città di notte è quasi un controcanto sereno di un’intimità anonima e pericolosa, urlo di passione insonorizzato in vitro. In questo senso, il bacio di Munch è la rappresentazione di un rischio controllato non meno della foto comparsa in bacheca del sito web “Israel Loves Iran”.
Ad Auguste Rodin penso spesso in questi giorni, dopo aver visto lo struggente e disturbante film Un couple parfait, produzione franco-giapponese per la regia di Nobuhiro Suwa, in cui lo sfilacciamento di una coppia raggiunge la massima tensione dopo la visita di lei, più sensibile, al Museo Rodin, con l’immediata percezione della propria solitudine nel tempio di una scultura unificante, che tutto (tras)fonde in un’unica vibrazione. Il bacio del 1886 sembrerebbe una variazione sul tema di Amore e Psiche di Antonio Canova, se non una materializzazione scultorea di un altro bacio, sensuoso incontro tra l’etereo ed il carnale: mi riferisco al Giove ed Io della serie realizzata da Correggio per il duca di Mantova Federico II Gonzaga all’inizio degli anni ’30 del ‘500. Eppure, nell’interpretazione di Rodin c’è come una vena reticente, un’impossibile prospettiva perfetta, che trasfigura la dimensione eroica prevista inizialmente in dimensione erotica. È noto, infatti, che Rodin pensasse di raffigurare nella Porta dell’Inferno la coppia di Paolo e Francesca nell’atto di baciarsi (“la bocca mi baciò tutto tremante”), per poi abbandonare il proposito per l’eccessiva staticità della coppia. Ma – a conferma di come il contesto dell’immagine sia qualificante – l’effetto che ne sortì curiosamente fu quello di uno shock psico-ormonale: un amplesso nel vuoto, la nudità di due contemporanei e non più di due effigi letterarie, una presenza fisica che, con fisicissima torsione, sembra negarsi in un avvolgimento acrobatico da cui emana una calda, atmosferica palpitazione materiale. Se i due piccioncini di “Israel Loves Iran” si sono trasformati in icona, non è forse tanto - vuoi vedere? - perché due individui hanno saputo rappresentare “Israel” ed “Iran”; ma, a ben vedere, per il contrario: per il fatto che, sia pure nella “politicità” del messaggio, Paolo e Francesca mediorientali, nel contesto dell’immagine, altro non sono che due persone che si baciano pubblicamente, muovendosi nel limbo - infernale? - della sospensione emblema\individualità.
Il bacio di Henri de Toulouse-Lautrec, infine, è un graffito tossico strappato ad una camera da letto, dove la sfrenata intimità, evocata dal ribollire del fondale rosso, rende semmai clandestina non la presenza dei due amanti, piuttosto quella di chi guarda, impavido nella propria voyeuristica e disincantata cronaca del rossore. Per certi versi, Lautrec coglie anche anche sul versante della rappresentazione più intima e spontanea un affiorante controllo da “teatro della vita”, col letto che diventa Mouline Rouge, molto rouge, mentre un’amante esperisce la frenesia di una danza passionale interiore, e l’altro\a, di sottecchi, spia più che contemplare, osserva con parsimonioso trasporto da borghese l’abbandono altrui, come uno spettatore al night parigino. Sul bacio contro la guerra dell'israeliano e dell'iraniana ho letto in questi giorni che il ragazzo pare piuttosto “timido”, nell’affondare la propria passionalità: com’era giusto che fosse, per un emblema pacifista piuttosto che per Hayez rinato su facebook. Ma: chissà che tanto (cl)amore, nella propria rigidità da manifesto, non riesca attraente, nell’inconscio collettivo, più per il nostro, lautrecchiano istinto vorace d’ingollare immagini della vie moderne dalle fauci del social rouge network, piuttosto che la bontà\buonismo post-hippie di chi, davvero, si commuova di fronte alla fraternité Israele – Iran. “Immagina un po’... A vedere come si amano... eh? Tecnica della tenerezza... “ (Toulouse-Lautrec).
Antonio Maiorino