Adelaide Di Nunzio: le foto "sociali" al borghese appaiono distanti.
Partiamo dalla tua formazione, nasci come artista eclettica, che attraversa i linguaggi e i generi dell'arte, a un certo punto fai una scelta di campo, quello della fotografia, cosa ti ha mosso in tale direzione?
La voglia di naturalismo?
La volontà di oggettivizzare e condividere il tuo sguardo su cose e situazioni o altro?
In fondo, lo si voglia o no, dietro uno sguardo di un fotografo, c'è sempre un punto di vista forza maggiore politico, o sbaglio?
La curiosità, questo è stato il motore della mia scelta, la fotografia mi ha permesso di muovermi nella realtà attraverso le mie azioni artistiche, attraverso il mio sguardo, attraverso le mie empatie, attraverso le mie fascinazioni e idee.
Mi ha permesso di incontrare mondi differenti, mi ha permesso di appropriarmi di immagini e trasformarle.
Mi ha permesso soprattutto di trasportare tutto in un attimo che non può essere che reale, l'attimo dello scatto, dove tutto accade sintetizzando con intensità interpretazione, sospensione e azione artistica.
Il tuo lavoro, sembra avere come traiettoria e direzione comune, la volontà di evidenziare, contornare, limare e raccontare l'umano in tutte le sue complesse sfaccettature, senza prendere mai delle derive di giudizio etico, estetico e morale, sondi la frontiera del "questo è", anche con una certa tenerezza, questa comprensione materna della complessità dell'umano, quanto è figlia della terra e dei luoghi dove ti sei formata?
Grazie per la tua riflessione la trovo molto attinente e mi da molta soddisfazione il fatto che tu l'abbia compresa così profondamente, posso aggiungere che l'accogliere appartiene alla terra, e la terra scorre sotto i piedi di tutti, ne accoglie dal sangue alle gioie, senza giudizio e senza morale.
L'uomo ha fa di tutto per vivere e la solitudine è la reale dimensione dell'uomo, ciò mi commuove.
Il Mediterraneo di sicuro ha formato il mio sguardo e la mia poetica, per muovermi nel mondo intero.
Il tuo lavoro e il tuo sguardo, nel relazionarti all'umano, ha una dimensione cosmopolita, mi piace però soffermarmi, sull'origine del tuo linguaggio e della tua sensibilità artistica, su quella empatia e magia di sincronizzazione con l'altro, che è insita nella dialettica delle relazioni e del linguaggio partenopeo; un tuo lavoro recente mi ha affascinato particolarmente, quello dei ritratti popolari della Napoli trans popolare, la Napoli del vicolo e del quartiere che per certi versi è sempre stata d'avanguardia rispetto una certa ipocrisia delle tradizioni popolari elevate ad atteggiamento borghese e Accademico; come ha risposto a questo tuo lavoro, lo sguardo della Napoli conservatorice, che con fatica apprende e osserva con interesse ciò che elude il limite e la norma?
Sempre che esistano limiti e norme nei racconti della complessità dell'umanità.
Il rapporto con i soggetti è importantissimo, io provengo dal teatro, questo mi ha dato l'opportunità di entrare in empatia con diverse tipologia di "umano.
Quando mi rapporto con i mondi vari creo dentro di me dei codici di comunicazioni, di movimenti e di linguaggio che può essere "sentito" dalla persona che mi è di fronte.
Questa non è un 'azione fasulla, in realtà gli uomini e le donne si somigliano, ognuno di noi ha qualcosa dell'altro.
Faccio rinascere quegli aspetti in me per creare complicità e fiducia.
Io mi occupo di Arte e Reportage , gli approcci sono differenti, anzi direi i risultati sono differenti, ma sono le mie due facce che a volte per magia si incontrano in un unica foto.
Napoli racconta a volte di sè come se stesse fotografando qualcosa che non le appartiene, quindi le foto sociali al mondo "borghese" appaiono lontane invece abitano nel vicolo di fronte.