Antonello Scotti: Condividere vuole dire progredire insieme.
Tempo fa mi dicesti che non sei un "facitore d'opere", ma curioso d'intessere relazioni, questa tua capacità e curiosità, porta forza maggiore i linguaggi dell'arte a relazionarsi e divenire parte integrante di una comunità, mi sbaglio?
Come avviene tutto questo?
Mi piacerebbe ci raccontassi di aporema e come interagisce e semina relazioni nella realtà napoletana.
Quando ti dissi di non essere un "facitore di opere", avrei dovuto anche aggiungere che, per me, l'opera è un comportamento che agisce trasversalmente nella storia:
è ricombinare differenti modi di educazione, è tradurre parole come 'comunità' in un significato che tenga conto della complessità in cui oggi ci si trova a convivere.
Quindi partendo da questa premessa, mi sento di dirti invece che continuo da sempre a 'fare' opere.
Oggi un'arte che si dichiara estranea da tutto ciò che accade, è estranea anche a se stessa, è inesistente-inconsistente; ma per strutturare processi di comprensione, necessita un'esperienza iconografica aperta, non settaria.
Il tentativo di aporema onlus, organizzazione non profit che da più di quindici anni struttura percorsi di educazione all'arte, è costruire ponti di condivisione tra il mondo dei linguaggi del contemporaneo e il mondo della scuola pubblica.
Imprende azioni il cui obiettivo è di far dialogare operatori visuali, con i giovani discenti delle scuole di ogni ordine e grado, contribuendo a far si che le arti contemporanee vengano percepite non in maniera ostica e distante, ma 'condivisa' nei suoi processi più 'intimi', dove l'autore - operatore, mette in gioco il suo pensiero.
Intessendo così una rete comportamentale, tra l'idea che l'operatore ha della 'sua' opera e l'idea che i giovani discenti hanno del percorso operativo del farsi di un'opera.
L'ibridazione è quanto da un punto di vista educativo più ci interessa; direi con una breve formula: condividere per ibridare il pensare.
Aporema onlus coinvolge artisti i quali credono che l'obiettivo del fare dell'arte, sia anche azione formativa-educativa dell'altro.
Costituisce una rete di musei diffusi sul territorio napoletano.
Linguaggi dell'arte e didattica dell'arte non sono la stessa cosa, così come i processi artistici sono cosa differente dal prodotto, quanto della tua attenzione ai processi costituenti dell'arte contemporanea, è figlia della diffusione e la partecipazione a questi, incentivata dai nuovi media integrati dell'arte contemporanea (applicazioni, smartphone, social media e quant'altro...)?
Vengo da una generazione che ha ancora memoria nella mano.
I nuovi media o comunque i nuovi vettori dell'informazione-formazione, sono in gran parte da me ignorati, ovvero sono ridotti, nell'utilizzo, all'osso.
Non hanno pervaso del tutto il mio modo di fare, anche se mi rendo ben conto che mi interessa molto la velocità di diffusione insita in un social media, questa ha ben modificato l'approccio linguistico verso la comunità 'virtuale' che di fatto virtuale non è.
Certamente mi sento un novello 'artiere' digitale, proprio perché sento di essere costantemente su di una soglia dove i percorsi metodologici insistono su territori sempre fluttuanti.
Seguo da qualche tempo un tuo processo di condivisione virale e artistico attraverso i social network, mi riferisco alla serie "...Orfeo per Napoli", dove tra astrazione del particolare e iper figurativismo del micro, racconti in maniera certosina, le complesse problematiche della terra che vivi e abiti, perché questa scelta poeticamente e concettualmente complicata?
Molto estetica ma forse troppo raffinata per il popolo del web, non era meglio una serie di lavori fotografici di stampo realsocialista?
"...Orfeo per Napoli " rappresenta una forma di condivisione, il cui modus comportamentale l'ho ricevuto da mia madre.
Condividere per me vuole dire progredire insieme, atto utopico che è tale solo perché non è ancora: gesto che fa sortire dal solipsismo e dall'atto narcisistico e banalmente mercantile che oggi in maniera perturbante impera.
Comunque registrare il territorio urbano in cui passeggio è di una complessità fenomenale, è ben raro trovare agglomerati urbani così stratificati, così intrecciati di umori e architetture, superfetazioni fluide.
Quando nell'agosto del 2013, dopo un viaggio a Parigi decisi col mio fotofonino di "immaginare" questa mia città, mi son lasciato, prima, trascinare dalle sollecitazioni degli interni delle chiese che è inevitabile frequentare visivamente e poi dai liquidi delle lave umane, dagli scarti che spesso acquistano forme inaspettate, grovigli di storie ai quali spesso restiamo impassibili per i troppi 'rumori' visivi - sonori.
Mi è sembrato che questo fosse un modo per attraversarla, per assorbirne quegli interstizi in - conosciuti i quali determinano un sentire, un flusso sì frammentario ma di grande permeabilità.
Per me sono azioni quotidiane dove l'etica si incrocia con l'estetica che non è mai predefinita, mai univoca come lo può essere un 'affresco' realsocialista.