Celant il Prandelli dell'arte contemporanea? Si dimetta!

Demetrio Paparoni, ex Direttore di "Tema Celeste".

 

Celant? Come Prandelli dovrebbe dimettersi!

"Il potere è diventato linguaggio, dominato dal linguaggio, dal denaro, degli scambi. Vedere se è possibile creare delle zone libere, dal linguaggio e dalla forza, limitando dal di fuori il dominio del potere fino a quando cade. Abbiamo bisogno della possibilità di costruire dal fuori al dentro, ciò significa lottare, creare modi di vita diversi, utilizzare la biopolitica contro il biopotere. In questo senso di vede come il termine di moltitudine diventi utile, in questo momento. Si carica di nuovi significati, di altri nomi, di definizioni che sono state rifiutate, lasciate da parte dalla tradizione operaia, ma che ora possono essere conquistate, poco per volta, per un nuovo progetto".

Toni Negri, "L'Europa e l'Impero".

 

Le utopie e i linguaggi dell'arte necessitano di radicalismo, una azione artistica quando è radicale?

Quando attraverso il linguaggio dell'arte riesce ad arrivare alla radice del problema, del processo del progetto. La parola latina radix, non si riferisce solo alle radici, ma anche alle fondamenta e alle origini.

Nell'attuale fase di globalizzazione della disuguaglianza dei linguaggi dell'arte, c'è la separazione su scala planetaria tra la casa pubblica e ciò che impone il mercato-impresa-fiera privata; questo rende il sistema dell'arte inattaccabile da qualsiasi valore che non sia la massimizzazione del profitto, fondato sull'omissione degli artisti che con i loro linguaggi vivono la loro comunità.

In sostanza gli artisti si trovano ad operare davanti a delle possibilità di ricerca che sono libere dalla politica e a fare i conti con una politica priva di potere di affermazione simbolica e culturale dei propri artisti. In altre parole, il potere economico del nuovo ordine dell'arte contemporanea è già globale, la politica e i suoi territori resta locale e i suoi operatori culturali in cerca di visibilità, comodamente si comportano come commissari di polizia incaricati di mantenere valore e ordine economico, dettato da fiere e case d'asta su scala globale.

Servi volontari che trasmettono idee di scuola civica del mercato culturale dell'arte che è per sua natura incivile verso i numerosi e locali linguaggi dell'arte contemporanea.

Quanto il sistema dell'arte e il suo mercato drogato si barrichino dietro posizioni che giustificano il male stato della cultura e della ricerca artistica contemporanea è incredibile:

Francesco Bonami dichiara che:  "non c’è di che scandalizzarsi dei 750mila euro dati a Germano Celant,  è stato contattato per  un lavoro, ha chiesto un compenso e gli è stato accordato.  Celant è come Mourinho o Prandelli, o come gli architetti superpagati, ma che in questi casi nessuno ha niente da ridire".

Nulla da ridire?

Andiamo per gradi:

Demetrio Paparoni puntualizza invece che:

Non è una società privata a pagare, ma lo Stato e che  anche sul compenso di Prandelli ci sono polemiche, come ce ne sono state e ce ne sono su quelli degli architetti. Un amico mi ha chiesto: "ma Celant ti ha fatto qualcosa?", come se la mia posizione potesse essere frutto di un rancore personale.

Questa domanda mi ha offeso e nello stesso tempo mi conferma quanto siano radicate nella nostra cultura le dinamiche del corporativismo.

Un altro mi ha detto: "ma ti rendi conto che quello è potente, che ti chiudi delle porte?"

Altra domanda che dimostra miseria intellettuale e morale.

Un altro mi ha scritto: "ma Celant secondo lei non è un bravo critico? Preferisce Sgarbi o D'Averio?".

In quest'ultima domanda non c'è stupidità (o ingenuità, o paura, o l'attitudine innata al servilismo), ma la malafede di chi vuole spostare i termini del dibattito, facendo perdere di vista i veri termini della questione.

Cosa aggiungere? Finchè la politica italiana penserà a liberalizzare i Selfie e a inseguire biecamente le logiche della crescita di un mercato della cultura per pochi, che spesso vede gli artisti a essere ridotti a essere conumatori di se stessi e delle informazioni che riguardano loro, pubblicate e editate da altri; questi episodi sono destinati a ripetersi.

In Francia l'industria culturale ha fatturato l'anno scorso 74 miliardi di euro, da noi si preferisce continuare a vivere con le logiche del clientelismo, degli affari di famiglia e della corruzione.

Non serve il modello Renziano del cambio dei ministri e dei selfie liberalizzati, la sua non è rottamazione, ma obsolescenza programmata.

Come fosse una impresa privata, la politica culturale nel nostro paese si è ridotta a proporre nuovi (finti) modelli di politica che escono a un ritmo vertiginoso, in altre parole non cambiamento ma rotazione degli uomini come necessità del sistema per riproporsi eguale a se stesso.

mimmo di caterino

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