Il linguaggio artistico di questo secolo è destinato a diventare processo sempre più veloce da fare e da tenere, nello stesso momento il tempo si congela e condividendolo diventa perpetuo. Il tempo non è più nel contemporaneo, una categoria della mente, il territorio è diventato digitale, postato, cercato e immediatamente raggiungibile, eterno nei motori di ricerca fin quando l'utente conserverà la sua memoria.
In rete è il fluire dei like, dei commenti e degli sharing a dare visibilità e rendere vive le cose (quanta arte contemporanea è pronta a questo?).
Che le velocità dei processi artistici che viviamo sia superficialità o superficie del linguaggio è tutto da dimostrare e verificare.
Il tempo non esiste, non più, il linguaggio dell'arte contemporanea è una babele di segni che ricevono (o meno) risposte immediati. Post e selfie del passato influenzeranno le vite di oggi e altri richiederanno molto tempo per essere visibili. Il linguaggio dell'arte di questo secolo è volatile e permanente.
Per la prima volta nella sua storia sociale, l'artista visivo usufruisce di una comunicazione e di una esposizione permanente priva di limiti, da controllare, da mediare e da "professionalizzare":
- Comunica in ogni momento, grazie al possesso dei dispositivi di connessione.
- Comunica da ogni luogo voglia, grazie al possesso di smartphone o tablet.
- Quando vuole e come vuole; per ogni motivo.
- Con chiunque voglia in maniera indiscriminata: amici, genitori, maestri, professori, colleghi, V.I.P. e V.O.P., con tutti nella stessa maniera.
Esperti di comunicazione in permanente connessione wireless, coscienze che galleggiano in un flusso continuo di comunicazione globale, facendosi trascinare da un contenuto e l'altro fatto notizia.
In fondo la RAI negli anni cinquanta ha insegnato agli italiani la loro lingua, ha fornito ai padri della mia generazione un modello di comunicazione e di linguaggio di massa, se gli artisti alle prese con i social network avessero la stessa responsabilità?
Probabile, l'alternativa a questa possibilità? Matteo Renzi e Suor Cristina.
Insomma, non mi troverà mai d'accordo chi sostiene che la generazione di artisti che sta arrivando, sia priva di senso civico, estetico, etico o politico; non hanno tessere di partito e non sanno aggregarsi intorno a un leader che spesso è un lader, non si sentono (giustamente) rappresentati neanche dalla loro foto cover su facebook, perché dovrebbero credere in ideologie di partito funzionali al vecchiume? Il problema reale è l'incapacità del conservatore Accademico, di riuscire a organizzare e fare parte con loro di processi mobili, di aggregarli in maniera comunitaria per progetti specifici, per quanto limitati; serve passione e cuore e non più proclami e programmi, serve un ibrido tra divertimento, voglia di presenza, comunicazione, essenza e attivismo artistico. Hanno la fortuna di non avere vissuto gli anni Ottanta dell'apparenza e del prodotto e neanche gli anni novanta dell'individualismo, sono nati con la caduta delle torri gemelle, bagnati nella realtà divenuta fatto globale, ora e dovunque. Che ci piaccia o no, che lo vogliate o no, siamo il vecchio e dobbiamo supportarli, sono il cambiamento di rotta e di schema, senza limiti, l'unico vero reale patrimonio dell'immobilismo di questo paese, reprimerli e educarli? Mi fa pensare a come quelli della mia generazione dopo Genova si sono fermati e allineati e nel nome di una pervenuta maturità postuma, si sono conformati e adagiati su un passato subito che come per incanto, lo scrivo? Renzi ha materializzato!