Quello dell'uomo e della scimmia, nella ricostruzione di come siamo arrivati a concettualizzare i linguaggi dell'arte è un rapporto indissolubile, il nostro codice genetico varia solo dell'uno virgola cinque per cento, eppur si dice, la scimmia non è in grado di esprimersi artisticamente.
Eppure Desmond Morris, etologo, ha dimostrato tra gli anni cinquanta e sessanta, che gli scimpazé, adeguatamente stimolati, possono disegnare e dipingere, in quel periodo i lavori di uno scimpazé in particolare, di nome Congo, imbarazzavano i teorici dell'espressionismo astratto e dell'action painting.
Lo stesso Pablo Picasso, si era dimostrato entusiasto del lavoro di Congo, arrivando a mordere un reporter che reputava il lavoro di Congo come non artistico, il tutto durante una esposizione dei lavori di Congo all'Istituto di arte contemporanea di Londra.
Etologia, antropologia, sociologia e linguaggi dell'arte non possono che incrociarsi ripetutamente e ininterrottamente nel loro divenire, spesso su questi monitor, ragioniamo su come l'estetica del selfie, stia mutando globalmente il linguaggio dell'arte contemporanea, siamo arrivati a sostenere che può bastare una applicazione di uno smartphone a sostituire un "addetto ai lavori" nell'intermediazione di un lavoro di un artista, ma cosa accade se l'artista che si autoritrae è un macaco indonesiano?
Nel 2011 David J. Slater, un fotografo naturalista inglese, visitando un parco in Indonesia si è ritrovato circondato da un gruppo di macachi neri che gli hanno preso una delle sue macchine fotografiche.
Risultato del “bottino" centinaia di selfie di scimmie.
La più famosa è la foto di un macaco femmina che sorride, l'icona è diventata virale.
Nel 2014 il selfie del macaco è tornato cool per merito di Wikimedia, organizzazione senza scopo di lucro proprietaria di Wikipedia, la quale ha giustamente rispedito al mittente la richiesta di Slater di rimuovere la foto da Wikimedia Commons (un archivio online di immagini gratuite).
Secondo Wikimedia, chi scarica una immagine sulla sezione Commons può “liberamente copiare, utilizzare e modificare qualsiasi file, purché siano rispettati i termini indicati dall’autore”, ossia accreditare la fonte e l’autore e consentire ad altri lo stesso uso (copie/miglioramenti) del file con gli stessi termini.
Slater pretendeva la rimozione dell'immagine perché proprietario del diritto d’autore, ma non è stato lui l'autore dello scatto, Wikimedia, giustamente gli ha risposto picche: “Questo file è di pubblico dominio perché, in quanto opera di un animale e non di un essere umano, esso non ha autore umano che possa vantare diritto d’autore ed è quindi libero di utilizzo”.
In altre parole Slater, non è l’autore della foto, non è quindi il proprietario del diritto tutelato dalla legge.
Lo stesso Copyright Office dichiara che “non registrerà opere prodotte dalla natura, animali o piante“.
Slater però non molla e iinsiste, secondo la legge americana il diritto d’autore si estende per foto scattate da un suo assistente, “credo che questo sia un caso in cui si debba considerare la scimmia come un mio assistente“.
Cosa altro aggiungere?
All'origine della natura scatenante dei linguaggi dell'arte, non esiste il diritto d'autore, ma solo il linguaggio e il suo riconoscimento, la scimmia l'ha dimostrato e ha vinto, si è espressa con il suo linguaggio artistico, ha dimostrato che noi come lei, davanti a uno smartphone non andiamo oltre l'effimero indagatore e scrutatore della propria apparenza e da questo momento le convenzioni di luogo, spazio e tempo, dei linguaggi dell'arte, fino al secolo scorso e anche dei suoi diritti, sono tutte da ridiscutere.