Il testamento di Trotskij

Il testamento di Trotskij di Dario Lodi 

 

«Morirò rivoluzionario, proletario, marxista, materialista dialettico e di conseguenza ateo convinto. La mia fede nell'avvenire comunista dell'umanità non è meno ardente, anzi è più salda oggi di quanto non fosse nella prima gioventù [...] La vita è bella. Invito le generazioni future a purificarla da ogni male, oppressione e violenza e a goderla a pieno.»

La frase sopra è nel testamento di Lev Trotskij (1879-1940), uno dei maggiori personaggi del ‘900. Il Nostro era nato in un paese dell’Ucraina come Lev Davidovič Bronštejn . Prenderà il suo nome di battaglia con la fuga dal carcere in Siberia, copiandolo dal capo dei guardiani. Siamo nel 1902. Trotskij andrà a Vienna, Parigi, Londra. Nel 1905 torna in Russia per la prima rivoluzione del nuovo secolo, finita nel 1907 con qualche concessione democratica zarista, con molti arresti e deportazioni. Il giovane Trotskij fu esiliato a vita e si rifugiò prima a Londra, poi a Vienna. Le cose andarono meglio nel 1917, quando i rivoltosi eliminarono lo zar. Questi combattenti furono battezzati “Armata Rossa” proprio per iniziativa di Trotskij che, al suo comando, sconfisse l’Armata Bianca” filo zarista e pose fine alla guerra civile.

Trotskij vero marxista

Va detto che la componente demagogica era preponderante nella filosofia di Marx. Marx fu portato alla realizzazione di una specie di bibbia a sostegno dell’individuo e contro il sistema (storicizzato) per ragioni umanitarie. Non dimentichiamo che il marxismo nasce nel momento più difficile del periodo romantico, quello che vede le sue istanze frustrate dall’avanzata sempre più implacabile del capitalismo. La reazione marxiana si condensa nella dichiarazione che recita: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” (Critica del programma di Gotha), per la verità mutuata dagli “Atti degli apostoli”. La differenza fra i due concetti sta nel tono dell’esortazione: per Marx occorre costruire e condividere, per gli apostoli il problema è distributivo, venendo tutto dalla divinità. La costruzione marxiana è rivoluzionaria nel senso che il suo uomo non aspetta i beni dal cielo, ma li crea da sé. La condivisione è invece un gesto materiale che deriva dalla divisione ingiusta che ai suoi tempi era consuetudinaria al punto di divenire una sorta di assioma, favorito dalla concorrenza della mano d’opera, causa dei bassi salari. Marx si commuove al racconto di bambini che lavorano 12-14 ore al giorno, domeniche comprese, in industrie malsane per una paga da fame. L’iniquità, tuttavia, non sta tanto nella paga, quanto nello sfruttamento fisico, come se una parte dell’umanità non avesse il diritto di essere umana. Chi contesta che la famosa frase solidaristica da Marx ripresa dagli apostoli sia utopica, dimentica che il classico egoismo è frutto di reazione istintiva, non razionale. Marx pone invece, e con forza, la razionalità al centro dell’attenzione dell’uomo, e quindi opera un cambiamento totale nel modo di concepire l’esistenza propria e altrui. Si viene così a operare una specie di materializzazione del dettato cristiano: la spiritualità, profonda quanto astratta (e spesso vince l’astrazione), viene sostituita dal materialismo, magari superficiale, ma programmaticamente concreto. È su questa strada che Trotskij s’incammina, sino a collegarsi con le teorie transumaniste (così codificate da Julian Huxley nel 1957) che prevedono, grazie alla scienza, l’affermazione assoluta dell’uomo sull’imponderabile naturale.

Trotskij vs Lenin

Trotskij predicava la rivoluzione permanente. Aveva capito che l’ideologia egualitaria (cosa che non ha niente a che fare con l’appiattimento sociale, ovvero con la sconfitta dell’individualità – perno, ricordiamolo, del progresso) doveva reggersi sul consenso, non sull’imposizione e che, di conseguenza, perché fosse efficace, tutti dovevano poter intervenire nell’evoluzione del mutamento del sistema. Trotskij non era tanto sprovveduto da credere in un passaggio facile da posizioni classiche a posizioni nuove nelle quali doveri e diritti dovevano essere pareggiati. Le posizioni classiche si portavano appresso secoli di oppressione dell’uomo sull’uomo ed erano responsabili delle creazioni di classi sociali per facilitare l’operato oppressivo. Questo tipo di socialità, diffusa ovunque, si basa sul potere del padre nella famiglia primitiva ed è regolato, da sempre, dalla forza, nel tempo aggiornata in modo opportuno. Ribaltare una realtà del genere, penetrata in ciascuna psiche, non è per niente cosa lieve e questo Trotskij, dotato di acuta intelligenza, lo sapeva bene. Nasce da qui la contrapposizione con Lenin. Le caratteristiche delle due personalità erano insomma diverse: Trotskij era per un ribaltamento globale (pensava in grande), Lenin, oberato di problemi pratici immediati, era invece per una rivoluzione diffusa ma guidata dagli intellettuali (non ribaltamento, dunque, bensì sostituzione di capi, per quanto provvisoria: egli sosteneva la necessità della rotazione al comando, unico dato democratico del suo pensiero). Prima di tutto, però, per Lenin occorreva sistemare la Russia, ed era una cosa quanto mai urgente, data la fragilità del successo, peraltro baciato da una serie di avvenimenti favorevoli. La fretta portò Lenin a ordinare il soffocamento brutale della rivolta dei marinai e cittadini di Kronštadt, nel 1921, contrari al governo centralizzato bolscevico. Pare che qui Trotskij non ebbe alcun ruolo. Tutto questo induce a ritenere che in fin dei conti il comportamento di Lenin non fu diverso da quelli tradizionali: egli sostituiva semplicemente lo zar, il sistema, i poteri forti (governo e chiesa) che, al contrario, Trotskij avrebbe voluto eliminare per sempre, secondo motivi robusti, poggiati sulla dignità umana generale, eredità romantica di Marx.

Trotskij vs Stalin

Trotskij fu un avversario duro per l’intellighenzia rivoluzionaria. Egli ammirava i teorici puri, Marx ovviamente, Engels, il nostro Labriola, Herzen. Non sopportava Plechanov (e ne era ricambiato) e tanto meno Stalin. Per lo meno, Lenin era un dittatore intelligente e in qualche modo illuminato: sperava in un futuro migliore, nel quale la centralità governativa non avrebbe più avuto un ruolo primario, ma sarebbe stato un organo di consultazione in quando sede di intelligenze elette, mentre Stalin era un rozzo georgiano (vero sino a un certo punto) fermo alla lotta senza quartiere contro ogni ostacolo alla marcia dello stato populista. Stalin concepiva il populismo come rimedio ai danni del gretto egoismo. Egli aveva fretta di consolidare la trasformazione della Russia da realtà piccolo-borghese a realtà nuova. Sotto certi aspetti, Stalin ereditò il carisma di Lenin. Quest’ultimo, anche per mancanza di tempo, si risolse a guidare da solo la neonata Unione Sovietica, accettando qualche compromesso che Stalin cancellò immediatamente, assumendo una veste dittatoriale non prevista dalla rivoluzione sovietica. I tentativi di Trotskij di opporsi a questo tradimento non ebbero successo. Il Nostro fu costretto all’esilio e anche lì venne tormentato in tutti i modi da agenti staliniani. Fu probabilmente la promulgazione della Quarta Internazionale (1938) a perderlo. Essa era in netta opposizione a Stalin. Ospitato in Messico da Diego Rivera e Frida Kahlo (due artisti) subì prima un attentato da parte di David Alfaro Siqueiros (un altro artista) e quindi ucciso con una piccozza da Ramon Mercader.

Riflessioni sul comportamento di Trotskij

Appare chiaro che Lenin e Stalin appartengano al vecchio, non al nuovo. I due, unitamente a Mussolini e a Hitler, sono figli del sistema sociale che prevedeva la figura di una sorta di entità superiore, un “capo-gregge”, con il gregge alla mercé di forze esterne, fra cui, sicuramente le peggiori, quelle del tutto irrazionali rappresentate dalla religione istituzionalizzata, dalla chiesa insomma. Il cristianesimo irreggimentato perse lo slancio solidale per abbracciare il potere e ottenere sottomissione: una fine ingloriosa per Cristo. Trotskij appartiene, invece, alla disciplina razionale per cui l’umanità, a qualunque livello, deve poter fare i conti con la consapevolezza di sé, degli altri e del mondo, intervenendo in tutti i casi con senso di responsabilità, senza ricorrere a intermediazioni sia concrete sia astratte.

La rivoluzione permanente trotskiana è un robusto tassello alla costruzione di un mondo laico, di un mondo cioè privo di credulità. Meglio il dubbio, ovviamente se gestito con volontà di migliorare la propria condizione intellettuale. Trotskij non individua un obiettivo fermo, ma ne immagina uno mobile, perfettamente in linea con i principi darwiniani, riguardanti l’evoluzione, e quelli filosofici moderni (Derrida ad esempio) relativi all’emancipazione. L’emancipazione in gioco si riferisce alla creazione di un mondo in opposizione a quello tradizionale.

Il tutto sotto l’egida provvidenziale della ragione, una ragione finalmente non più oscurata da miti e leggende, bensì libera di usufruire delle proprie, enormi, capacità speculative. A questo punto, si deve parlare in termini di umanità, non di singolo individuo: è la conseguenza della valutazione del concetto di rivoluzione permanente che prevede l’ausilio di quante più intelligenze possibili al fine di rapidizzare la liberazione da forzature deprimenti, tali da umiliare gravemente l’essere umano.

dario lodi

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