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Alla Banchina Molini il capannone diventa atelier

Recupero di spazi industriali abbandonati di Porto Marghera: otto artisti hanno realizzato il proprio laboratorio creativo al civico 14

di Laura Fiorillo

MARGHERA. Banchina Molini, Porto Marghera rinasce nel segno dell'arte. C'è un luogo a Porto Marghera dove la riconversione di cui tanto si parla è già partita quattro anni fa. In sordina, dal basso, senza alcun piano industriale o urbanistico. E' semplicemente successo.
Uno dopo l'altro, in poco tempo, otto artisti hanno preso in affitto un capannone ciascuno al civico 14 di Banchina dei Molini e vi hanno realizzato il proprio laboratorio. E come tutte le cose che nascono spontanee, nessuno ha pensato a un nome per quel posto. A tutti era chiaro che non si trattava di un luogo a sé, di uno spazio definito, come succede per una fabbrica o un nuovo locale da inaugurare, ma che, come il porto, anche quello fosse un luogo di scambio, indeterminato, sempre aperto a nuove influenze e contaminazioni e rivolto all'esterno.
Banchina Molini non era altro che una piazza, l'ampliamento della banchina antistante, chiamata dei Molini per la presenza del più importante stabilimento della GMI (Grandi Molini Italiani), costruito nel 1978. In quegli anni la Banchina veniva utilizzato prevalentemente come deposito, e fu così per molti anni, finché un pittore veneziano decise di istituire qui il proprio studio, a pochi metri dallo spettacolare ponte strallato e dallo specchio d'acqua della piccola darsena.
«Cercavo un capannone per le mie opere – racconta Michele Tombolini, il primo artista a mettere piede nella Banchina – Il mio piccolo spazio in via Trieste mi stava stretto, volevo un posto in cui esporre le opere per i galleristi e uno spazio in cui poter lavorare. Il luogo della produzione è fondamentale per un artista, perché deve assecondare e favorire la sua ispirazione. Era già un po' che giravo per la zona industriale ma la Banchina mi ha colpito per la sua intensità. Questo luogo sapeva esprimersi».
Così quattro anni fa, Tombolini ha trasferito qui il suo atelier, dove tuttora dipinge e detiene la maggior parte dei suoi quadri, appena rientrati da una mostra dal titolo “E luce fu” allestita lo scorso gennaio all'interno del Palazzo delle Prigioni a Venezia.
Nel grigio piombo della periferia industriale, Tombolini non nasconde di aver pensato più di una volta a come sarebbe stato bello immaginare la nascita di un nuovo quartiere basato sull'impulso creativo dell'arte, com'è accaduto nei docks di Londra, oppure a Marsiglia.
«Volevo che quel posto si circondasse di artisti e così un anno fa ho chiamato Matteo, un giovane pittore che avevo conosciuto da poco tempo. E' venuto a vedere il capannone di fronte al mio e l'ha preso in affitto con la sua ragazza Valentina, studentessa dello Iuav».
Poi sono arrivati Pietro (in arte S. Pietro), un artista esperto nella lavorazione del vetro, e Alberto, pittore e scultore. Gli ultimi in ordine, appena tre settimane fa, quattro giovani scenografi, scultori, musicisti, architetti, in generale artisti con professionalità diverse ma complementari. Sebbene al momento sia preponderante la presenza di creativi, considerate anche le numerose sale prova dove diversi musicisti si riuniscono per suonare, a Banchina Molini trovano attualmente spazio anche una chiesa gospel nigeriana e un'associazione di bikers, vale a dire gli appassionati della motocicletta.
Per il futuro, non è escluso che Banchina si possa ingrandire, ospitando nei suoi spazi altri artisti ma anche professionisti come avvocati, architetti, commercialisti. Dialogando con il Porto, con la città, con uno spirito internazionale. Dopotutto, è proprio da esperienze come questa che è partita la rivoluzione socio-culturale che ha cambiato il volto alle principali metropoli europee.
«L'arte non è più fatta di corporazioni – chiude Michele Tombolini – Non ci sono più solo i pittori, i musicisti, gli architetti. E' l'unione di tutte queste discipline che può dare linfa e nuova vita all'arte contemporanea. E un luogo solo che le riassume e le unisce in una commistione di competenze, sensibilità e tecniche espressive è senza dubbio un esperimento artistico e sociale a cui vale la pena di partecipare».
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