55. Biennale Arte di Venezia | Il debutto degli Ivoriani

Franck Fanny | Abdj by night

Padiglione della Costa d’Avorio
alla 55. Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia

Prima partecipazione ufficiale

Titolo della mostra: Tracce e segni
Artisti partecipanti: Frédéric Bruly Bouabré, Tamsir Dia, Jems Robert Koko Bi, Franck Fanny
Commissario: Paolo De Grandis
Curatore: Yacouba Konaté
Coordinatore a Venezia: Carlotta Scarpa, PDG Arte Communications
Coordinatore in Costa d’Avorio: Yacouba Konaté
Sede: Spiazzi, Arsenale, Castello 3865, 30122 Venezia

Sin dalla sua indipendenza nel 1960, sotto l’egida del presidente Félix Houphouët-Boigny, la Costa d’Avorio è riconosciuta come un paese fondamentale nel processo di sviluppo e di modernizzazione dell’Africa. Primo produttore mondiale di cacao, terzo produttore mondiale di caffè, il paese si pone anche nel novero dei principali produttori di hevea e olio di palma con unità industriali che esportano in tutta l’Africa occidentale, fungendo da volano dell’integrazione sub-regionale e regionale.

La Costa d’Avorio è, tuttavia, anche una terra di culture in cui sono presenti almeno cinque scuole e stili, tra cui le emblematiche maschere Dan, Guéré, Sénoufo, Baoulé e Gouro, che hanno ispirato gli inventori dell’arte moderna occidentale. Se, però, i capolavori di questo patrimonio beneficiano di una quotazione privilegiata sui mercati dell’arte primitiva, la creazione contemporanea ivoriana, dal canto suo, è poco nota. Il padiglione allestito intende rendere giustizia ad alcuni artisti che si muovono in tale ambito.

In un momento in cui la Costa d’Avorio si affranca da un decennio (1999-2011) di crisi sociale e politica, questa mostra vuole promuovere il talento e la genialità degli artisti ivoriani più che mai legati a valori che, come la creatività e l’originalità, sono accolti “universalmente senza concetto”, per usare le parole di Emmanuel Kant. Il padiglione testimonia, dunque, la volontà di uomini e donne della Costa d’Avorio di attingere dalle lezioni del passato la forza di reinventare il futuro.

L’esposizione è frutto di una collaborazione tra enti pubblici e settore privato. Dando il proprio apporto all’organizzazione, alcune associazioni di categoria (Petroci e Nour Al Hayat), da un lato, e alcune aziende (BIAO-NSIA BIAO-NSIA PROSUMA e IPS), dall’altro, danno prova della vitalità economica e culturale della Costa d’Avorio, un paese deciso a partecipare attivamente alla reinvenzione del destino dell’Africa contemporanea. Il successo dell’esposizione costituirà senza dubbio una tappa importante nello sviluppo della collaborazione tra pubblico e privato.

Il Commissario del padiglione
Yacouba Konaté

Tracce e segni
Avete già rivolto lo sguardo alle falesie, alle pitture rupestri, alle facciate o agli interni dei santuari dell’Africa precoloniale? Con coloranti vegetali, ma anche con birra di miglio, uomini e donne vi hanno tracciato iscrizioni grafiche con allusioni sociali, religiose o politiche. La modernizzazione dell’Africa e il suo ingresso irreversibile nella storia mondiale hanno destabilizzato questi sistemi di segni. Resta nondimeno intatta “una sorta di primato, se non addirittura di sovranità del segno. Attraverso il segno le cose esistono e prendono coscienza di se stesse; attraverso il segno, l’uomo, a sua volta, entra in possesso della maggior parte del suo regno, che è l’universo.  »

L’opera di Frédéric Bruly Bouabré è un’appropriazione del suo universo, non guardando il sole, bensì osservando gli effetti dei suoi raggi sulle cose. In questo senso, è un cacciatore di segni. Fondatore di una propria religione, inventore di un proprio alfabeto, poeta e saggista, questo osservatore infaticabile degli uomini e delle cose ha impresso nei propri disegni le cicatrici dei volti, la forma delle nuvole, le sfumature su un’arancia, le configurazioni delle ragnatele…

Dal canto suo, Tamsir Dia illustra un’altra dimensione della nazione di “tracce”. La serie che presenta in questa sede avrebbe potuto chiamarsi “gli sfregi del tempo”. Il pittore, infatti, compie un lavoro di memoria. Nel settembre 2006, la Probo Koala, una nave noleggiata dalla società olandese Transfigura e guidata da un equipaggio russo, ha scaricato nel porto di Abidjan 581 tonnellate di rifiuti tossici. Tamsir Dia ricorda la catastrofe ambientale che ciò ha provocato. Alcuni visi si muovono nel suo dipinto come ombre e fantasmi che ossessionano le buone coscienze, tutte le buone coscienze di oggi e di allora. Il pittore pone l’interrogativo delle responsabilità nazionali e internazionali nello scandalo della Probo-Koala. Le figure sulle tele non sono soltanto tracce per dovere di memoria, sono anche appelli al lavoro di memoria. “Perché i segni sono anche un mezzo per gestire esseri e cose.  Ciò che si esprime attraverso un segno ben compreso può essere messo in atto attraverso gli stessi segni”.

 

Jem’s Koko Bi assume un approccio decisamente politico nei confronti del segno. The Passengers è una piroga piena di sedie. Si può pensare a passeggeri clandestini, ma si può dimenticare che l’essenza della sedia, occupata o vuota, fa riferimento alla questione del potere? La sedia è il simbolo del potere che i politici di oggi o di allora si contendono in maniera più o meno agguerrita. La piroga che trasporta le sedie non simboleggia soltanto l’ambito politico, ma anche l’ambito sociale, lo spazio comune tra la società civile e la società politica. Sottolineare questa idea può indurre ciascun protagonista di conflitti politici a ricordare che, come i passeggeri di una nave, i cittadini di uno stesso paese sono accomunati da un destino solidale? Lo stesso dicasi per gli abitanti del pianeta Terra. Siamo tutti imbarcati, come aveva notato Pascal, il quale affermava: “siamo tutti imbarcati nella vita, è l’unica certezza”.

L’imbarcazione comune dell’uomo nel 2013 ha a che vedere con ciò che abbiamo convenuto di chiamare globalizzazione intensa come un’era postmoderna, post-confini, in cui il movimento delle idee attraverso il mondo avviene in maniera istantanea. Alcuni uomini hanno il privilegio di avere un vissuto in tema di globalizzazione. Franck Fanny è uno di loro. Una settimana a Singapore, la successiva a Washington, il resto del mese ad Abidjan, potrebbe riprendere le parole essenziali della famosa canzone di Maxime Leforestier : “Etre né quelque part/ C'est toujours un hasard (…)/ Etre né quelque part/ C'est partir quand on veut,/ Revenir quand on part”.   Il suo sguardo di fotografo segue il tracciato dei suoi viaggi dai quali trae immagini che esprimono lo spirito degli uomini e dei luoghi. Nella serie Abidjan By Night, Franck Fanny dimostra come un’immagine della città può assorbire il succo della vita che scorre a fiotti nei santuari dei piaceri notturni.

Icone, indici o simboli… i segni sono ancora ciò che erano? Indubbiamente continuano a proiettarsi nel concreto delle opere e nel reale delle nostre vite. La loro potenza di astrazione diventa folgorante, per cui marchi e segni appaiono inafferrabili, ma il segno non è più soltanto un marchio, bensì anche il precipitato di una favola, di un mito. L’artista è l’inventore dei suoi racconti; granello dell’universo come ciascuno di noi, conquista la legittimità di fabbricare, a suo nome e a sue spese, nuovi racconti.

1 Marcel Griaule e Germaine Dieterlein, Signes graphiques soudanais, Herman et Cie Editeurs, Parigi, 1951, pag. 5.
2 Né Quelque Part, 1988, Polydor, Francia.

 

 

Yacouba Konaté
Curatore

 

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