Anniversari:
Emilio Villa (1914-2003) era un intellettuale fuori dagli schemi, da qualunque schema, schedato anche come poeta. Va subito precisato che il Nostro era assai critico nei confronti dell’atteggiamento poetico in generale, reputandolo, specialmente quello italiano, un linguaggio inumano, prigioniero di rigide regole accademiche e supercilioso. La reazione del Nostro si basa su un tentativo di liberazione dalla prigionia di parole e di concetti tradizionali, di schemi da non superare, di sapere costretto entro spazi precisi.
Il fenomeno risponde ovviamente ad una processo storico convenzionale, ma non certo superficiale. Va scisso il processo originale d quello parodistico e semi-tale generati dagli effetti culturali del primo.
Tali effetti provengono dalla evoluzione della cultura laica ricalcata su quella religiosa ed opposta ad essa con la maturità dell’autonomia interpretativa dei fatti da parte dell’uomo: autonomia dal dogma fornito per secoli, i primi del Medioevo in modo particolare, dalla religione. Non dimentichiamo che tale autonomia ha una storia breve rispetto alla storia religiosa e specialmente cristiana. La nascita della scienza nel ‘600 è dapprima un tentativo di opporre prove concrete alla trascendenza ecclesiastica. Il successivo cammino scientifico è stato costellato di successi clamorosi, ma non tali da raggiungere quella autonomia assoluta ricercata originariamente. L’idea dell’insuccesso fondamentale, si manifesta alla fine dell’800 e agli inizi del ‘900: ne deriva il concetto di relativismo, per quanto non accettato del tutto. La messa in discussione del concetto in questione ha determinato varie reazioni, dalla disperazione allo sberleffo nei confronti della pretesa di assoluto, dal ritorno in grembo alla religione al tentativo di liberazione di risorse intellettuali sottovalutate o inesplorate. Emilio Villa appartiene al gruppo dei coraggiosi liberatori. Questo è provato dalle sue opere poetiche, scritte spesso con linguaggi oscuri o addirittura inventati e ricalcati su quelli tradizionali (i francesi se ne risentirono). Né Villa disdegna il dialetto (milanese nel suo caso). I fenomeni sorgono dalla sua preparazione di studioso, di glottologo, di esperto delle lingue antiche, anche di quelle morte da tempo immemore. Il Nostro fa rivivere il paleogreco, il semitico, il latino arcaico, il provenzale, e compone mixando i vari linguaggi allo scopo di suscitare la suggestione di passare a nuove ricerche di significati della realtà. Sotto certi aspetti, il suo intervento poetico ha un notevole valore in quanto apre nuovi orizzonti speculativi. Villa cerca di mettere a disposizione del sapere un ampio vocabolario umano, riesumando la formazione dei concetti e proponendo riletture della personalità umana attraverso la combinazione, apparentemente casuale, della parola vecchia con la nuova. All’interno di questa operazione, non mancano ironia e scetticismo nei confronti della conoscenza assoluta, ma neppure manca il piacere di fare arte per l’arte che è, di per sé, una forma, seppur ridotta, di assoluto. La “poesia visiva” alla quale si vuole Villa appartenga è cosa che si sviluppa a partire dagli anni ’50 e si evolve, in misura esponenziale, fra gli anni ’60 e ’70, rifugiandosi in diverse forme. Essa ha illustri precedenti. Apollinaire (“Calligrammi”), Mallarmé (”Coup de dés”), le parolibere e tipografiche del Futurismo e altro. Sotto certi aspetti, pure le “fanfole” di Fosco Maraini (nonsense godibilissimi per musicalità del verso) vi rientrano. Anche ciò che non è figurato, ma che si discosta dalla “normalità”, appartiene alla categoria “poesia visiva” in quanto comunicazione immediata, da godere prima di tutto con gli occhi della mente (ovviamente le discussioni a riguardo sono infinite). Francamente, Villa ci entra a forza perché egli è lontano da ogni forma di esibizionismo, sia cosciente sia incosciente e non è neanche tanto vicino alla sperimentazione. Semmai la sua intenzione è quella, sotterranea, di dare maggiori possibilità espressive alle parole, spingendole ad un’ avventura speculativa senza un autentico fine se non quello del piacere della scoperta continua. Villa ipotizza un crescendo infinito, non deterministico né finalistico. Questo crescendo infinito risponde, del resto alla cultura del momento, ad una cultura, cioè, condizionata dal relativismo derivato dalle nuove testi scientifiche e filosofiche che ridimensionano la ricerca umana di perfezione e la relativa pretesa di arrivarci con le sole forze dell’uomo. Villa può essere visto come una sorta di collega di Derrida, con la differenza che mentre l’uno costruisce, Villa, l’altro decostruisce: entrambi perseguono però lo stesso scopo, ovvero un ordinato caos intellettuale in risposta alla vecchia convinzione di possibile ordine assoluto raggiungibile dalla mente umana. Il caos intellettuale evidenzia una delusione per la consapevolezza improvvisa della convinzione errata, ma nel contempo, pur in modo più spontaneo che studiato, più intuitivo che razionale, cerca una via diversa per ottenere un risultato in grado di rassicurare l’intelletto sulla liceità della ricerca dell’assoluto. Emilio Villa non si concentra sulla via diversa, ma stoicamente resiste sulla propria posizione di studioso diverso alle prese con la proposta di una maggiore apertura mentale da parte dell’uomo.