Nel 1974 usciva in Francia l’autobiografia di Jean Renoir, figlio del celebre pittore Pierre-Auguste. Tra le riflessioni di Jean, troviamo anche quella sulle strade aperte all’impressionismo dalla creazione dei tubetti per trasportare i colori ad olio. Nuove possibilità tecniche permettono nuove possibilità espressive. Si consideri ora il fatto che Jean Renoir è stato un importante regista e che il suo libro era dedicato agli esponenti della Nouvelle Vague. Questo movimento cinematografico francese, nato alla fine degli anni ’50, è stato particolarmente attivo, attraverso i saggi critici di Bazin e di importanti registi, nel cercare di elevare agli occhi del mondo il cinema ad arte. Di fatto, questo modo di esprimersi veniva ancora guardato con alterigia, come mezzo di intrattenimento delle masse.
Tuttavia lo sviluppo della tecnica cinematografica ha permesso la nascita di un ulteriore linguaggio espressivo: la video arte. Se il cinema ha un modo narrativo ed è, quindi, più assimilabile alla letteratura, la video arte nega la consequenzialità, la linearità, la completezza del racconto. Se narra, se descrive, lo fa come farebbe un quadro o un gruppo scultoreo. Quando si serve delle parole, le usa come se fossero delle note.
Bisogna fare, tuttavia, un’ulteriore distinzione. Dalla fine degli anni ’50, si sviluppa l’arte performativa, nella sua versione legata ad azioni più casuali (scuola di Cage) e più programmate (scuola di Kaprow, che nel ’59 conia il termine ‘happening’). La musica ha molto influenzato questo nuovo modo espressivo: se Cage era allievo di Schömberg, Paik, definito come fondatore della video arte, aveva fatto la tesi proprio sul creatore della dodecafonia. Con la nascita del movimento Fluxus, le performance divengono sempre più numerose. Tuttavia, essendo legate a un determinato momento ed a un pubblico ristretto, sorge la necessità di immortalare questi eventi con foto e video.
Nel 1975 Giaccari pubblica Classificazione dei metodi di impiego del video in arte, distinguendo due macro tipologie : il "video diretto" (l’opera) e il "video mediato" (documentazione di una performance ).
Se si vuole fare un riferimento alle origini del mezzo cinematografico, si potrebbe ritrovare da un lato la vocazione sperimentale di Méliès e dall’altra quella descrittiva dei Lumière. Ad ogni modo, nel 1965, con l’uscita del primo video registratore (il Portapack della Sony) le proiezioni entrano stabilmente negli spazi espositivi. Se in un primo momento la video arte era uno dei modi espressivi dell’artista, ora c’è chi si dedica completamente ad essa. Si pensi al ciclo Cremaster di Matthew Barney, 5 lungometraggi che l’hanno impegnato per 8 anni (1994 -2002).
L’Associazione Open Art Milano vuole promuovere la creatività e l’arte contemporanea. Se pensiamo alle altre forme espressive, la video arte ci sembra appena nata e ancora capace di nuovi imprevedibili sviluppi (si pensi che la tecnologia digitale ha aumentato ulteriormente le possibilità). Il tubetto per i colori è stato inventato, vogliamo trovare i nuovi impressionisti.
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