L'idea. I due artisti, un uomo ed una donna, sono invitati a “rappresentare” l'amore attraverso la “raffigurazione” del cuore. Creeranno l'opera in un tempo prestabilito di 25 minuti. Durante questo tempo ognuno dei due potrà intervenire con il suo proprio segno sul dipinto dell'altro a simboleggiare una partecipazione, uno scambio, un'unione di anime. Alla fine del tempo fisico le due tele si uniranno per formare un grande dittico, simbolo della continuità dell'amore anche dopo il tempo corporeo.
Cosa domanda l’amore? In Lacan troviamo una riposta semplice: l’amore domanda l’amore. L’amore non domanda ciò che l’Altro ha, ma domanda l’amore, domanda il segno della mancanza dell’Altro. L’amore è domanda di essere amati. La domanda d’amore scaturisce da una faglia cioè da una mancanza, dalla mancanza dell’Altro, è domanda di mancare all’Altro. Amare è donare la propria mancanza. Ma questo implica che nell’amore ci sia sempre un muro, un a-mur. L’amore implica il muro. L’ Amuro. L’amour è a-muro. Il muro è il muro del linguaggio. Il linguaggio è un muro nel senso che è una struttura di separazione [ passo tratto da www.psychiatryonline.it ].
Nel nostro caso, invece, il muro che sta dentro la parola “amour” non è il linguaggio, bensì la rappresentazione e più precisamente la tela sul cavalletto che si para davanti ai due artisti proprio come un muro, un muro tra loro e l'amore che dovrebbero rappresentare. La tela non è semplicemente il supporto su cui dipingere, ma è quella rappresentazione che si intromette tra il soggetto e l'oggetto da rappresentare. Ma l'amore può essere ridotto a rappresentazione?
Verso la fine della loro performance gli artisti hanno continuato a dipingere seppur bendati con uno stesso nastro – quasi a dire che l'amore non può e non deve essere visto con gli occhi per poi rappresentarlo. Per vedere bisogna chiudere gli occhi soprattutto quando in gioco è l'amore. Non possiamo mettere a distanza l'amore come si fa con un oggetto al fine di meglio rappresentarlo. Rappresentare l'amore porta solo ad immagini stereotipe e retoriche, meschinamente romantiche ed intollerabilmente dolciastre. Ma quanto detto non basta. L'amore ed in special modo l'amore tra un uomo e una donna (è questo l'amore che in questa performance è in gioco, non a caso è stata organizzata proprio a ridosso della festa di San Valentino) ha a che fare con l'esperienza dell'intimità: ora l'intimità può essere solo sentita e vissuta, non può essere rappresentata – rappresentarla significa violarla e profanarla. Nell'intimità viene meno la opposizione soggetto-oggetto che porta fatalmente con sé la rappresentazione. L'intimità una volta rappresentata trasforma il pudore in vergogna. I nostri artisti, invece, rifiutandosi nella loro arte alla logica reificante della rappresentazione hanno tolto quel muro che dall'amore ci separa. Essi hanno tolto la distanza di sicurezza che noi poniamo tra noi stessi e le cose per non farci da queste travolgere al fine di meglio gestirle ed amministrarle. Essi hanno tolto il muro della rappresentazione scegliendo di avvicinarsi pericolosamente all'amore fino ad esporsi pericolosamente a quell'emozione che può essere solo sentita, ma che non deve essere rappresentata pena la sua perdita. Chi rappresenterebbe un campo magnetico raffigurando semplicemente un magnete? Chi rappresenterebbe l'amore raffigurando semplicemente un cuore? Eppure sembra che i nostri artisti facciamo proprio questo – ma così non è. Qui – trattandosi di una performance – è più importante il percorso del punto di arrivo. Qui è più importante l'energia dinamica che si sprigiona tra la tela ed il pennello che il risultato raggiunto. Il cuore qui non è semplicemente il simbolo o l'allegoria dell'amore, ma è lo stesso palpitare della pittura; è il cuore pulsante della creazione artistica. É un cuore che batte: non solo il cuore degli artisti, ma anche il cuore dei riguardanti che sono coinvolti in prima persona a partecipare emotivamente al processo artistico a cui stanno assistendo.
Ora i due artisti tentano di togliere questo muro della rappresentazione che li divide e ci divide dall'amore ognuno con un suo proprio stile (qui veramente lo stile è l'uomo). In Evita Andujar è in gioco una erotica, mentre in Emiliano Yuri Paolini abbiamo a che fare non con eros, ma con porno; in Paolini, se così possiamo dire, è in gioco qualcosa di porno-grafico.
Abbattere il muro della rappresentazione significa, quindi, rifiutare la logica gnoseologistica che distingue e mette in relazione soggetto ed oggetto separandoli per poi opporli ed in ultimo unificarli in una superiore sintesi. Ora Andujar togliendo la rappresentazione si espone pericolosamente al suo oggetto; tra lei e quest'ultimo viene tolta ogni distanza che sia misurabile; non si capisce cosa voglia raffigurare proprio perché ha rinunciato alla rappresentazione. Non si capisce dove finisca lei e dove cominci l'oggetto in una con-fusione creatrice che mettendo fuori gioco la rappresentazione abolisce l'oggetto così presentandoci non più l'apparire di questo o di quello, bensì presentandoci l'apparire dell'apparire medesimo – al di là di soggetto ed oggetto: la carne! Ma attenzione: non si sta dicendo che Andujar rappresenti la carne; tutt'altro! Andujar ci fa sentire la carne palpitante della rappresentazione. Quindi abbiamo a che fare con una erotica senza oggetto del desiderio; oppure con una erotica dove l'oggetto è talmente prossimo da far riposare il desiderio nell'intimità di un abbraccio. Andujar stessa commentando la sua opera ci ha detto che le sue più che pennellate erano carezze. Quindi, più che un desiderio con il suo oggetto, una carnale intimità.
Se nell'opera di Andujar è in gioco l'apparire, in Emiliano Yuri Paolini è in gioco il segno: non l'immagine di una scrittura, ma l'immagine stessa come scrittura. Questo è subito chiaro. In questo senso la sua opera resta come sospesa tra segno ed immagine dove tra i due c'è un rimando continuo. Fin dall'inizio Paolini comincia con lo scrivere sulla tela come se si trattasse di un foglio e scrive: “Storiesoprastorie”. Poi comincia ad apporre pennellate grumose e colanti somiglianti anch'esse a antiche lettere incrostate e torte. Lo stesso cuore che emerge in-intenzionalmente da questo intrico di segni che è la pittura-scrittura di Paolini è una lettera come un'altra; anzi conserva tutta la enigmaticità dei geroglifici egiziani – un enigma, però, la cui soluzione è sconosciuta anche allo stesso Paolini. Le pennellate sono segni; anzi, Paolini sembra di-segnare col colore. Sovrappone segno su segno popolando il territorio della tela di una giungla intricatissima di tratti. La sua è, sì, una scrittura, ma illeggibile – anzi questi tratti sembrano proprio volersi rifiutare ad essere letti. Qui la forma (cioè il cuore palpitante dell'opera) si rivela essere non altro che una stratificazione del contenuto (sto naturalmente facendo riferimento al filosofo Theodor Adorno). É da questo intrico di segni che può emergere (ma il risultato non è garantito) la forma. Paolini non ha una idea pregressa all'opera che poi prenderebbe in maniera progressiva possesso del quadro; anzi, l'arte di Paolini più che messa in opera si presenta come un'arte inoperosa. Abbiamo parlato a proposito del dipinto di Paolini di porno-grafia nel senso che il rapporto che qui è in gioco non è più un rapporto soggetto-oggetto, bensì è un rapporto tra oggetto ed oggetto (porno), tra segno e segno (grafia) dove il soggetto si assenta completamente venendo meno esso stesso come soggetto desiderante e rappresentante (obliandosi) lasciando il campo libero a questa proliferazione di segni. Allora il cuore diventa quella tavola su cui solo può essere inscritta la legge dell'amore. Quindi la tela di Paolini lungi dall'essere una rappresentazione è davvero una lettera d'amore indirizzata a tutti coloro che vorranno esporsi al rischio di leggerla.
Un'ultima parola sul rapporto (con-creativo) tra i due artisti. Tra loro non c'è un rapporto riconducibile a qualsiasi tipo di psicologia. Infatti il loro non è un rapporto a due: anzi tra loro non v'è rapporto anche se l'uno in maniera molto discreta ha interagito col quadro dell'altro. Tra loro non si è data nessuna dialettica – potremmo dire che si è trattato di un dialogo tra sordi autentici. Eppure da questo silenzioso dialogo qualcosa è risuonato. Padre Marko Ivan Rupnik, teologo ed artista, una volta ha detto: “É importante che in amore ci sia il terzo e che questo terzo sia l'amore”. Queste parole sono quanto mai appropriate per descrivere quanto è successo in occasione di questa performance di Paolini e Andujar. Effettivamente il terzo c'era ( anche se presente come assente): non ci stiamo solo riferendo alle persone che alla performance non solo hanno assistito, ma in qualche modo hanno anche partecipato in quanto coinvolte nel processo creativo. Infatti questo terzo, l'amore, si è veramente incarnato in questo bel dittico realizzato con tanta passione dai nostri due artisti. Allora l'arte divenendo memoria incarnata della comunione si fa celebrazione liturgica a cui noi tutti siamo invitati a partecipare.
Foto di Francesco Chiarosi