La personalità di Emanuel Carnevali
Dobbiamo la conoscenza della personalità letteraria di Emanuel Carnevali alla sorellastra Maria Pia e all’autore teatrale Gabriel Cacho Millet (uno dei massimi esperti di Dino Campana): quest’ultimo riuscì a far pubblicare qualcosa dello scrittore da editori di nicchia. La sorellastra mise in un certo ordine le opere di Emanuel (dopo che ad esse avevano dato una prima sistemazione il maestro di musica David E. Stivender e la scrittrice Kay Boyle), li tradusse dall’inglese, e li propose all’Adelphi. Ne uscì un volume, nel 1978, intitolato “Il primo dio”, comprendente un romanzo autobiografico con questo nome, alcune poesie, alcuni racconti, dei testi critici e tre testimonianze prestigiose (di William Carlos Williams, di Sherwood Anderson e di Robert Mc Almon). Ne usci la ristampa nel 1994 con maggior fortuna.
Emanuel Carnevali è uno scrittore particolare. Non è legato a schemi di sorta, è molto diretto, scrive ciò che sente profondamente, non è mai banale. Quando morì la madre, divisa dal padre, egli, poco più che bambino, si ritrovò a dover vivere con quest’ultimo e non lo sopportò. Nel romanzo autobiografico Emanuel parla malissimo del padre, definendolo un ottuso tiranno: nella prefazione, la sorellastra Maria Pia, cerca di mettere le cose a posto con notevole impegno obiettivo. La sua testimonianza convince. Emanuel se la prende con il genitore perché costui, involontariamente, ne soffoca l’estro, ne deprime la sensibilità, volendo costringerlo ad una irreggimentazione nel vivere convenzionale. Alla fine, il figlio sedicenne fugge da casa e va ad imbarcarsi per gli Stati Uniti. Giungerà a New York senza sapere una parola d’inglese, ma lo imparerà presto e alla perfezione. Farà lavori umili, si metterà a scrivere come un forsennato e invierà i suoi pezzi a tutti gli editori della città. Finalmente qualcuno gli darà spazio, dapprima con poesie, poi con scritti critici e racconti.
La pubblicazione delle poesie lo farà avvicinare al cantore della natura William Carlos Williams, a Ezra Pound e a molti altri che, come lui, stavano inseguendo la gloria. Emanuel non la avrà mai perché la sua scrittura è speciale e la sua personalità è singolare: egli non ha il coraggio di esporsi, se non casualmente e senza grandi speranze (si veda il carteggio con Benedetto Croce e Giovanni Papini, concepito dal Nostro come una sorta di disturbo di cui si vergogna).
Egli pensava ad un riconoscimento automatico della propria bravura nel duettare con l’esistenza, ritenendo forse possibile il successo di un protagonismo coerente con la sincerità delle idee e con il progetto armonico, in pace con tutto e tutti, che esse sottintendevano. Non parole, non concettosità, ma elaborazione di sensazioni e di sentimenti puri, in linea con l’anima delle cose, secondo un sentire romantico baciato dalla ragione e contro qualsivoglia opportunismo a favore del sistema mercantile così in voga negli Stati Uniti. Emanuel, in uno degli scritti critici, se la prende con Ezra Pound e con il suo “Imagismo”, in quanto, a suo dire, persona e movimento falsamente sopra le cose, per desiderio di mitizzazione di entrambi in appoggio ad uno sciamanesimo interessato. Sicuramente un’esagerazione che però la dice lunga sui vari tentativi del tempo di essere accettati dal sistema, ed anzi adottati, con il pretesto di una correzione dall’interno dello stesso (tanto poca era sentita l’intelligenza dell’affarismo).
Emanuel non cede a questa tentazione, non ha l’indole del compromesso, e rimane solo, solo con la sua illusione di importanza della purezza e sincerità nelle espressioni. Sono, le sue, espressioni che si basano su un’osservazione diretta della realtà. Emanuel non ha filtri, non si rifà a consuetudini, a tradizioni: la a poesia è cristallina, la prosa è ridotta, essenziale, la sua narrazione è vissuta parola per parola.
Ammirato, ma tenuto sostanzialmente alla larga, il nostro personaggio fu tormentato dalla povertà, persino dalla fame vera e propria. Quando nel 1922 si ammalò di encefalite letargica (infiammazione dell’encefalo da virus sconosciuto: allora era una malattia pandemica e mortale al 40%, oggi è quasi del tutto scomparsa), tornò in Italia e cominciò a girare per sanatori. Non guarì. Ma venne a mancare in maniera assurda: finì soffocato da un boccone di pane nel gennaio del 1942.
Emanuel Carnevali scriveva solo in inglese, non per offendere la sua patria, ma per togliersi dal provincialismo che gli veniva ricordato dalla figura del padre, da lui evidentemente demonizzata. D’altro canto, gli Stati Uniti erano a quei tempi una nazione in pieno sviluppo, dotata di mezzi poderosi e di un entusiasmo sconosciuto da noi. Si dice che Emanuel abbia contribuito a creare la letteratura americana moderna. Ci si potrebbe “fermare” alla letteratura in genere. Purtroppo il sistema premia i Dan Brown, anche grazie alla pigrizia dei lettori, non premia chi sa scrivere la vita.
Dario Lodi