SPAZIO ALL'ARTE !

OPIEMME, senza rinunce, 2011. Courtesy OPIEMME
Oggi diamo volentieri la parola a Susanna Sara Mandice, curatrice indipendente e professionista emergente nel mondo dell'Arte contemporanea torinese e non solo.
Abbiamo fatto tre domande sulla sua collaborazione con l'artista OPIEMME, che ha portato all'organizzazione della mostra SENZA BANDIERE (qui il link per saperne di più).
 
"Come nasce l'idea di una mostra così controcorrente rispetto alla retorica dell'Unità d'Italia?"
 
Forse è la retorica stessa dell’Unità d’Italia a essere controcorrente!
Scherzi a parte, non credo che ‘Senza Bandiere’ sia una mostra controcorrente, tutt’altro. Per lo meno non nel senso in cui normalmente la parola viene usata.
‘Senza bandiere’, non sta per un rifiuto della bandiera. I lavori in mostra denunciano l’assenza di valori, la mancanza di punti di riferimento, ma lo fanno proponendo una ricerca di ideali, la riappropriazione delle proprie vite, delle proprie responsabilità, del proprio futuro. In tal senso ‘Senza Bandiere’ è una mostra in linea con il 150° anniversario. Lo celebra, però ha il coraggio di analizzare brutalmente lo stato delle cose. Semplicemente non commemora un’unità supposta, si interroga piuttosto su come sia possibile proporre delle alternative. I nostri padri, 150 anni fa, lo hanno fatto. Ora è il nostro tempo!
Ne abbiamo parlato a lungo Opiemme ed io. Siamo entrambi stanchi della critica sterile, del partito del NO, degli atteggiamenti distruttivi. Essere rivoluzionari oggi, significa non limitarsi ad essere CONTRO, ma provare ad essere PER!
L’esposizione (così come tutto il lavoro di Opiemme) raccoglie consensi e apprezzamenti proprio perché parte da sentimenti diffusi, come il disagio e l’opposizione, che se ci pensi non sono così inconsueti. Mi spiego meglio: a dispetto di ciò che dicono i media; nonostante i reality in televisione; in contrasto con chi ci vorrebbe muti, sordi e ciechi, c’è un fiume di gente che ha voglia di poesia, che vive di cultura, che è costantemente alla ricerca di un’emozione estetica. Penso che Opiemme sia profondamente in linea con il proprio tempo: lo analizza, lo seziona e ci riporta la sua idea. Ed è allora che ci accorgiamo che la sua arte può essere la nostra voce. Opiemme parla di poesia, politica, musica, filosofia. Realizza le sue tele con meticolosità, precisione e, soprattutto, emozione. E la gente ha bisogno di emozioni. Le celebrazioni dell’Unità non emozionano nessuno? Beh, chi è davvero controcorrente?
"Cosa ti ha colpito nel lavoro e nella ricerca artistica di OPIEMME ?"
La sua attualità, la puntualità della sua ricerca.
E poi lo spiazzamento che le sue opere inducono. Opiemme è un alchimista che combina l’apparente caos dell’arte di strada con le regole ferree della poesia, colora le parole e fa parlare le immagini. Utilizza le lettere come icone artistiche, mescolando il linguaggio aulico della poesia all’immediatezza grafica della street art. Spiazza il visitatore che, sedotto da un’iconografia apparentemente riconoscibile vi si avvicina come al canto delle sirene per poi scoprire un contenuto multiforme, impegnato, colto. (E pertanto pericoloso).
Nessuno sa quale sia il suo volto, a me piace suggerire un’immagine. Opiemme è come un ragazzetto di periferia, un po’ schivo ma determinato, che si muove tra gli spazi di cemento. A un certo punto sale su un’altalena arrugginita e che fa? Recita una poesia. Te lo immagini lo straniamento?
"A tuo parere il pubblico dell'arte contemporanea torinese è pronto a performance e progetti fuori dagli schemi?"
Lo spero proprio, sarebbe una gran delusione se non fosse così! Credo che la gente abbia voglia di sperimentare e di scoprire linguaggi nuovi (e quello di Opiemme lo è di certo).
Prendi ad esempio la performance collettiva di sabato 29 gennaio: “La maleducazione uccide”. Abbiamo lasciato in distribuzione circa 150 kit del dissenso e sono terminati! Significa che c’era un centinaio di persone in giro per Torino a protestare contro l’inciviltà, a ricordare che lo spazio pubblico appartiene a tutti. Ogni partecipante ha posto uno o più cartoncini bianchi con la scritta “La maleducazione uccide” sugli escrementi canini che tempestano strade, marciapiedi, aiuole. È stato un modo inedito di esprimere il proprio dissenso. Un semplice gioco diventa un gesto per ridestare le persone dalla noia, dall’abitudine. La performance collettiva è stata pensata come un evento artistico che promuove lo stimolo e la risposta, la partecipazione e l'unità del pubblico, la trasmissione di valori positivi, per tutti.
A mio avviso, il pubblico è pronto, lo è da tempo, curioso e affamato. Il problema non è il pubblico, sono le proposte culturali. Il pubblico ha voglia di stupirsi, di mettersi in gioco. Diamogliene la possibilità!

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